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L’allegro cimitero

19.05.2020

In un angolo della vecchia Europa c’è un luogo insolitamente variopinto che, proprio per questa sua stranezza, è diventato motivo di attrazione turistica: stiamo parlando del Cimitirul Vesel (letteralmente “cimitero allegro”), situato nel paese di Săpânța, nel distretto di Maramureș, nella Romania settentrionale.
Ogni tomba è dipinta, raffigurando scene di vita del defunto, in chiave gioiosa o ironica. Anche le croci spiccano con i loro colori vivaci, mentre le lapidi si distinguono non per parole malinconiche di cordoglio, bensì per poesie e battute umoristiche ad hoc, o anche per epitaffi che, invece di esaltare le virtù del defunto, ne rammentano i difetti.
In realtà è probabile che questo bizzarro cimitero sia nato per caso. Intorno agli anni Trenta, lo scultore Stan Ioan Patraş cominciò a vedersi commissionare, oltre ai consueti lavori, anche le croci del cimitero, che cercò di rendere sempre più belle e diverse le une dalle altre. Poi Stan prese l’abitudine di dipingere le croci, forse per diletto o forse, più semplicemente, per proteggerle dalle intemperie e, per farlo, scelse colori brillanti, soprattutto il blu, una tonalità con la quale venivano spesso pitturate anche le case. Cominciò anche a decorarle con motivi geometrici o floreali, prendendo ispirazione dai tessuti, dalle ceramiche e dalle pitture su vetro.
Ad un certo punto, però, le decorazioni più o meno astratte non lo appagarono più, per cui si divertì a dipingere volti, soprattutto quello di Cristo. Il suo estro creativo si sbizzarriva: i volti lo affascinavano, anche quelli della gente comune e le scene che prendevano vita sotto le sue mani diventarono sempre più realistiche.
Erano scene tratte dalla vita quotidiana in cui, per esempio, un uomo rimasto ucciso in un incidente d’auto era rappresentato accanto alla sua macchina, o intento a raccontare quanto gli era capitato, oppure colto nel momento stesso dell’incidente.
La sua idea si rivelò vincente e il cimitero diventò ben presto una vera e propria attrazione.
E non solo per l’incredibile fantasmagoria di immagini e di colori: le non meno strane epigrafi ne fanno una sorta di “Spoon River transilvana”, come è stato definito questo strano cimitero. Ogni lapide diventa una vera e propria narrazione, in cui a raccontarsi è lui, il defunto.
C’è chi ama farsi ricordare per la propria casa o per l’amore che aveva per i suoi animali e c’è anche chi parla di guerra.
L’epigrafe più nota è quella di Dumitru Holdis: «La grappa è un veleno puro | che porta pianto e tormento. | Anche a me li ha portati. | La morte mi ha messo sotto i piedi. | Coloro che amano la buona grappa | come me patiranno | perché io la grappa ho amato | con lei in mano sono morto».
La morte, qui a Săpânţa, non è una “livella”, fredda, senza volto, se non quello affidato a una stereotipata sequela di foto e di nomi. Qui la morte si nutre di colore, di racconti, e diventa vita, affidata all’immortalità.
L’idea di un “cimitero allegro” sembra quasi un ossimoro, può persino urtare un po’ per la sua carica apparentemente dissacratrice, ma l’immagine della morte non è ovunque e per tutti così luttuosa come lo è per noi. Se le tradizioni possono trovare una spiegazione soltanto nella storia di un popolo, è possibile che il binomio morte/gioia trovi la sua ragion d’essere nei Daci, dai quali i romeni discendono.
Se i Daci fossero monoteisti, non è ancora del tutto chiaro, ma una cosa è certa: veneravano una divinità suprema, Zamolxis, identificato con Gebeleizisil, dio dei fulmini e delle tempeste e, stando a quanto riferisce Erodoto nelle sue “Storie”, ritenevano che la morte forse una sorta di viaggio verso di lui, che li avrebbe accolti nel suo regno donando loro l’immortalità.

“I miei visitatori sono:
un signore interrotto nel mezzo,
una donna continua
e la loro figlia di latta,
un professore che insegna formaggio,
un assassino raffreddato, una colonna
di formiche nubili,
un albero coi baffi,
una cicogna giovane,
un bambino con una gamba di cartone
e tre che ignorano le leggi del moto.
Alla fine compare
il cane della sera
abbaia forte
e li caccia tutti via.”

Nina Cassian, “Alle prese con il caos”, da “C’è modo e modo di sparire”

 

 

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