“La vita è un flusso continuo che noi cerchiamo d’arrestare, di fissare in forme stabili e determinate, dentro e fuori di noi, perché noi già siamo forme fissate, forme che si muovono in mezzo ad altre immobili, e che però possono seguire il flusso della vita, fino a tanto che, irrigidendosi man mano, il movimento, già a poco a poco rallentato, non cessi.
Le forme, in cui cerchiamo d’arrestare, di fissare in noi questo flusso continuo, sono i concetti, sono gli ideali a cui vorremo serbarci coerenti, tutte le finzioni che ci creiamo, le condizioni, lo stato in cui tendiamo a stabilirci.
Ma dentro noi stessi, in ciò che noi chiamiamo anima, il flusso continua, indistinto, sotto gli argini, oltre i limiti che noi imponiamo, componendoci una coscienza, costruendoci una personalità.
In certi momenti tempestosi, investite dal flusso, tutte quelle nostre forme fittizie crollano miseramente; e anche quello che non scorre sotto gli argini e oltre i limiti, ma che si scopre in noi distinto e che noi abbiamo con cura incanalato nei nostri affetti, nei doveri che ci siamo imposti, nelle abitudini che ci siamo tracciate, in certi momenti di piena straripa e sconvolge tutto.
E per tutti può rappresentare talvolta una tortura, rispetto all’anima che si muove e si fonde, il nostro stesso corpo fissato per sempre in fattezze immutabili.
‘Oh perché proprio dobbiamo essere così, noi. – Ci domandiamo talvolta allo specchio – Con questa faccia, con questo corpo.
Alziamo una mano, nell’incoscienza; e il gesto resta sospeso.
Ci pare strano che l’abbiamo fatto noi.
Ci vediamo vivere.
In certi momenti di silenzio interiore, in cui l’anima nostra si spoglia di tutte le finzioni abituali, e gli occhi nostri diventano più acuti e più penetranti, noi vediamo noi stessi nella vita, e in se stessa la vita, quasi in una nudità arida, inquietante; ci sentiamo assaltare da una strana impressione, come se, in un baleno, ci si chiarisse una realtà diversa da quella che normalmente percepiamo, una realtà vivente oltre la vista umana, fuori dalle forme dell’umana ragione.
Oggi siamo, domani no.
Che faccia ci hanno dato per rappresentare la parte del vivo.
Un brutto naso.
Che pena doversi portare a spasso un brutto naso per tutta la vita.
Fortuna che, a lungo andare, non ce n’accorgiamo più.
Se ne accorgono gli altri, è vero, quando noi siamo finanche arrivati a credere d’avere un bel naso; e allora non sappiamo più spiegarci perché gli altri ridano, guardandoci.
Sono tanti sciocchi! Consoliamoci guardando gli orecchi che ha quello e che labbra ha quell’altro; i quali non se n’accorgono nemmeno e hanno il coraggio di ridere di noi.
Maschere, maschere, un soffio e passano, per dar posto ad altre.
Quel povero zoppetto là, chi è.
Correre alla morte con la stampella.
La vita, qua, schiaccia il piede a uno; cava là un occhio a un altro.
Gamba di legno, occhio di vetro, e avanti! Ciascuno si racconcia la maschera come può – la maschera esteriore.
Perché dentro di noi c’è l’altra, che spesso non s’accorda con quella di fuori.
E niente è vero! Vero il mare, sì, vera la montagna; vero il sasso; vero un filo d’erba; ma l’uomo.
Sempre mascherato, senza volerlo, senza saperlo, di quella tal cosa ch’egli in buona fede si figura d’essere.
L’uomo non ha della vita un’idea, una nozione assoluta, bensì un sentimento mutabile e vario, secondo i tempi, i casi, la fortuna.
L’albero vive e non si sente: per lui la terra, il sole, l’aria, la luce, il vento, la pioggia, non sono cose che esso non sia.
All’uomo, invece, nascendo è toccato questo triste privilegio di sentirsi vivere, con la bella illusione che ne risulta: di prendere cioè come una realtà fuori di sé questo suo interno sentimento della vita, mutabile e vario.
Luigi Pirandello, da “L’umorismo”, 1908
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