In una stanza gotica a volta, stretta e altera, Faust, inquieto, nella poltrona davanti al suo scrittoio
Faust
E le ho studiate, ah! filosofia,
giurisprudenza e medicina
– anche, purtroppo, teologia –
da capo a fondo, con tutto l’ardore.
Povero pazzo: e ora eccomi qui
che ne so quanto prima.
Dicono: “professore”. Persino “maestro”, dicono;
– su e giù, dritto e traverso – gli studenti
li meno per il naso…
E mi è chiaro che nulla possiamo conoscere!
E’ qualcosa che quasi mi brucia il cuore. Certo
io ne so più di tutti quei saccenti,
maestri, professori, chierici e segretari.
Non mi tormentano dubbi né scrupoli,
non ho paura d’inferno o di diavoli:
ma in cambio non ho più piacere di nulla,
non ho idea di sapere qualcosa che abbia un senso,
per migliorarli, gli uomini, o mutarli.
E non ho beni né ricchezze,
non onori e splendori mondani.
Neanche un cane potrebbe resistere così!
Ecco perché mi sono dato alla magia
se mai per forza o voce dello spirito
qualche segreto mi s’aprisse
e non dovessi più sudare sangue
a dire quello che non so.
E conoscessi, il mondo, che cos’è
che lo connette nell’intimo,
tutte le forze che agiscono, e i semi eterni, vedessi,
senza frugare più tra le parole.
Oh tu guardassi, luce di plenilunio,
per l’ultima volta al mio dolore
tu che a mezzanotte ho attesa
tante volte a questo leggìo !
Allora su libri e su carte
m’apparivi, amica triste.
Ah, nel dolce tuo lume potessi
andare sopra le vette dei monti,
vagare intorno alle grotte dei monti,
insieme agli spiriti, errare
nel tuo albore sui prati,
e fuor dei fumi d’ogni sapere
guarirmi nella tua rugiada.
Come? Ancora io qui carcerato?
Tana maledetta tetra
dov’è anche la luce cara del giorno
fila torbida dai vetri di colore!
Cerchiato da questo cumulo di libri
che ti rodono i tarli, la polvere copre,
che carte annerite circondano
fino alla vòlta, lassù,
e tutto fitto di vasi, di teche,
di strumenti accatastati, zeppo
di ammennicoli d’antenati…
Questo è il tuo mondo! Questo si dice un mondo!
E ancora chiedi perché l’angoscia
in petto il cuore ti stringe,
perché un dolore incomprensibile
ti reprime ogni moto di vita?
Invece di quella natura vivente
dove Iddio ha disposto gli uomini,
tra fumo e muffa hai d’intorno soltanto
scheletri di bestie, ossa di morti.
Va’ via! Su, verso liberi spazi!
E questo libro misterioso,
manoscritto di Nostradamus,
non è per te guida che basti?
Conoscerai il corso degli astri
E, se Natura ti ammaestra, allora a te
quel potere dell’anima si schiuderà, che intende
Come ad un altro spirito uno spirito parla.
Che il tuo rovello arido interpreti
qui per te i sacri segni, non serve:
voi mi volate accanto, spiriti!
Se mi sentite, rispondetemi!
Spalanca il libro e scorge il segno del Macrocosmo.
Oh, se qui guardo, che estasi
subito m’empie tutti i sensi!
Sento una giovane felicità di vivere
corrermi, fuoco nuovo, nervi e arterie.
Fu dunque un dio chi scrisse questi segni,
alla sconvolta anima pace,
gioia al mio cuore triste,
che per impulso misterioso
le forze della Natura svelano intorno a me?
Sono io forse un dio? Ogni cosa
si fa così chiara. Io guardo come
in questi segni limpidi
la natura creatrice mi si rivela all’anima.
Solo ora intendo quel che dice il Saggio:
“Non è serrato, il mondo degli spiriti:
hai chiusa la tua mente, hai morto il cuore.
Su, discepolo, osa immergere
il tuo petto terrestre nel lume dell’aurora!”
Contempla il segno
Come ogni cosa si intesse in un tutto
e una nell’altra opera e vive!
Come scendono e salgono le potenze celesti
e i secchi aurei si tendono!
Vanno su ali che spirano grazie
dal cielo attraverso la terra,
armoniosa universa risonanza.
Che scena! Ah, ma è soltanto una scena.
Natura illimitata, dove stringerti?
Voi, seni, dove? Voi, sorgenti d’ogni vita
da cui la Terra e il Cielo pendono,
cui questo petto esausto tende,
colmi, per ogni sete… E inutilmente
io a struggermi qui?
Sfoglia con dispetto il libro e vede il segno dello Spirito della Terra
Come opera diverso, su di me, questo segno!
Spirito della Terra, tu mi sei più vicino.
Già mi sono cresciute, lo sento, le forze,
già ardo come per vino nuovo.
Sento il coraggio di affrontare il mondo,
di reggere alle pene terrene, alle gioie terrene,
di contrastare le bufere, di
non tremare allo schianto del naufragio!
Sopra di me una nuvola…
La luna si vela…
Cala la fiamma della lampada!
Come una nebbia…Intorno alla testa ho scintille
rosse, lampi. Un brivido
s’abbatte dalla vòlta
e m’afferra. Lo sento,
mi aliti intorno, Spirito invocato!
Rivelati!
Oh, come in cuore qualcosa si spezza!
A percezioni nuove insorgono
tutti i miei sensi. A te
si dà, lo intendo, l’anima intera!
Tu devi! Tu devi! Mi costasse la vita!
Prende il libro e con accento di mistero pronuncia il segno dello Spirito, Guizza una fiamma rossastra, nella fiamma appare lo Spirito.
[Escono Lucifero, Belzebù e Mefistofele.
L’orologio batte le undici.]Faust
Ah Faust!
Non hai che un’ora misera di vita
e poi sarai dannato, eternamente!
Oh fermatevi, voi sfere del cielo
che senza pace andate, affinché il tempo
possa finire, e mai venir la mezza-
notte; o pupilla
della lieta Natura, sorgi dunque
o Sole, sorgi ancora, e fa’ che resti
un giorno eterno; o fai tu che quest’ora
sia un anno, un mese, sia una settimana
o un giorno solo mi penta e salvi!
O lente, lente currite, noctis equi! [15]
Ma le stelle si muovono, ed il tempo
corre, quell’ora presto suonerà,
verrà il demonio, e Faust sarà dannato.
Oh mi solleverò fino al mio Dio!
Chi mi trascina giù? oh guarda, il sangue
di Cristo scorre e inonda il firmamento!
Ed una sola goccia mi potrebbe
salvare. Ah Cristo!… Non straziarmi il cuore
se imploro Cristo mio! Lo chiamo ancora!
Risparmiami, Lucifero! E dov’è
ora il demonio, dove? Ecco è sparito!
E vedi come Dio stende le braccia
e aggrotta quelle sue ciglia adirate!
Montagne e rocce, venite, venite,
piombatemi sul capo, nascondetemi
dalla tremenda collera di Dio!
No, no!
Io cercherò di subissarmi
a capofitto nella terra: o terra,
apriti! Oh no, non mi darà riparo!
Stelle che brillavate alla mia nascita
e che mi avete dato questa morte
e questa dannazione, or sollevate
voi Faust in alto come densa nebbia
nel grembo a quelle nubi tempestose,
che quando giù vomiterete poi
nell’aria, possan le mie membra uscire
dalle fumose bocche, ma la mia
anima possa ascendere nel cielo!
[Suona l’orologio.]
Ah, mezz’ora è passata! E passerà
tutta, ben presto! O Dio,
se dell’anima mia pietà non senti,
per Cristo almeno, che m’avea redento
col sangue suo, disponi all’incessante
angoscia qualche fine; sia dannato
mille anni, centomila, e poi mi salvi!
Oh, non è posto limite ai dannati!
Perché non fosti tu una creatura
senz’anima? O perché sarà immortale
questa che hai? Ah tu, metempsicòsi
pitagorèa, se tu fossi vera
quest’anima da me s’involerebbe
ed io potrei mutarmi in qualche bruto
animale! Felici, gli animali
tutti! Perché, se muoiono,
l’anime loro presto si dissolvono
negli elementi; ma la mia vivrà
per essere cruciata eternamente.
Maledetti coloro che mi fecero!
No, Faust, tu devi maledir te stesso,
maledire Lucifero tu devi
che ti privò del dolce paradiso.
[Suona mezzanotte.]
Oh, suona! Suona! Corpo ora dissolviti
in aria, o vivo ti trarrà in inferno
Lucifero! E tu cangiati in minute
gocciole, anima mia, e giù precipita
nell’oceano, che mai non ti si trovi!
Tuono. Entrano i Demòni.
Mio Dio, mio Dio, oh non guardare tanto
feroce su di me! Serpenti e vipere
lasciate ch’io respiri
ancora un poco almeno! Inferno orrendo,
non spalancarti! Non venir, Lucifero!
Io brucerò i miei libri! Ah, Mefistofele!
[Escono i Demòni con Faust.]
Una prova
1803
Dunque a che fine la pazzia del saggio?
(Shakespeare di Schlegel, Come vi piace, III, 1)
Faust. Il suo Spirito buono e il suo Spirito cattivo, due voci
Lo studio di Faust, illuminato da una sola lampada.
Faust:
Breve, la gioventù volge alla fine,
finiti gli anni del vigore, Faust!
Già declina per te il sole del vivere.
Hai sognato per ore amare e innumeri,
per il vero lottato, pigmee energie
sprecato in battaglie con giganti? Folle!
Tu, che ti scialasti in una selvaggia
gioventù infocata, ignaro del futuro
e di te stesso, dell’immenso mondo
che ti ruota attorno solo il piacere
afferri e brami, ardi di conoscere.
Adelbert Von Chamisso, “Faust” , 1881
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