«Perché avete scelto il vostro mestiere? »: si tratta di un’inchiesta condotta su base mondiale dall’Unesco, i cui risultati non sono stati ancora resi pubblici ma di cui siamo in grado di offrire in anteprima un minimo campionario. Fa impressione la totale concordanza tra le risposte di quanti esercitano le più diverse professioni e mestieri e le risposte date dagli scrittori all’inchiesta di “Liberation” «Perché scrivete? », della quale il lettore italiano conosce l’ampia scelta pubblicata su “Reporter” (13 e 23 aprile). Del resto, proprio il commento di “Reporter” sembra anticipare il problema quando parla di «risposte che potrebbe dare ciascuno di noi », e acutamente conclude: «È questo lo spirito del tempo: siamo tutti scrittori, o potremmo esserlo. Non lo siamo per un pelo.»
Jose Benguela, facchino (Angola).
«Ho cominciato a fare il facchino molto giovane, perché avevo la sensazione che qualcosa di essenziale mi mancasse. Assolutamente. Voglio sapere che cos’è. Dunque faccio il facchino. Non capisco profondamente la realtà se non nell’atto di portare bagagli. E solo in quell’atto mi scopro. E in esso mi nascondo. Quando porto bagagli, non sento alcuna mancanza: etica, politica, affettiva. Niente. Al di fuori del facchinaggio, sono un perenne frustrato. Faccio il facchino per sentirmi vivo. Per vivere.»
Osvalda Gutierrez, cuoca (Argentina).
« Non ho mai saputo con precisione perché facessi la cuoca. Arrischierò una risposta: prima di tutto c’è il piacere, la sensualità degli ingredienti che scelgo per aprire uno spazio di libertà nell’universo che costruirà il piatto che preparo. Poi, c’è la mia preoccupazione di argentina impegnata nel mio tempo e nella società in cui mi è stato dato di vivere … Ogni piatto che cucino è per me una nuova vecchia storia che racconto a me stessa per popolare le ossessioni della bambina che non ho mai cessato di essere. Io rispondo alla necessità di cucinare col piacere di cucinare. E se vi trovo una certa dose di angoscia, so bene che è il prezzo da pagare. E cucino, anche, per spartire la mia solitudine.»
Peter Kucke, elettricista (Austria).
«Perché faccio l’elettricista? Non so. Forse domani.»
Hugo Floriot, calciatore (Belgio).
«Gioco al calcio, dunque sono. Perché? Per curiosità. Per orgoglio. Perché bisogna pur scegliere tra il suicidio e il gol.»
Joao Mineiro, farmacista (Brasile).
«Faccio il farmacista perché voglio, è un atto di volontà cosciente. Credo di avere la vocazione del farmacista. Credo che la farmacia sia una parte vitale del processo di autoconoscenza del popolo brasiliano e di poter contribuire, per la mia parte, a questo processo.»
Francis Dedey, barbiere (Camerun).
«Io faccio il barbiere per dire alt al razzismo di oggi. Che neofascisti, xenofobi e altri razzisti non lo dimentichino mai! Fare il barbiere è prima di tutto lottare per la libertà.»
Nicolas Aguirre, architetto (Cuba).
«Io faccio l’architetto per quelli che non hanno potuto fare l’architetto, repressi dal fischio del piombo e dal fumo dei fucili nemici puntati contro i grandi desideri dell’umanità progressista.»
Françoise Soupault, sguattera (Francia).
«Perché adoro farlo.»
Boris Lacroix, massaggiatore (Francia).
«Massaggiare è per me una seconda vita, più ricca e più interessante della mia esistenza umana. Per questo temo che il massaggiatore sia un po’ un vampiro che non fa del male a nessuno, ma che conduce tuttavia un’esistenza misteriosa, doppia, d’oltretomba. Quando si massaggia, ci si dimentica di sé, si smette di pensare, ed è questo che è sublime. L’immersione nell’arte del massaggio che è più grande di noi e sfiora la creazione magica del mondo.»
Philippe Sagan, frate carmelitano (Francia).
«Perché mi diverte.»
Natale Rubbi, usciere (Italia).
«Faccio l’usciere da moltissimi anni. In principio per imparare a fare l’usciere. Poi per non disimparare. Sempre ho pensato che facevo l’usciere perché mi piaceva immensamente. Fare l’usciere vuol dire tante cose insieme. È ozio e fatica; è febbre e tranquillità; è imperio e ubbidienza; è assoluta solitudine e piena comunione col prossimo. Tuttavia non credo che si faccia l’usciere per provare tutte insieme queste sensazioni diverse. In verità si fa l’usciere senza una ragione al mondo.»
Francesco Vitali, assessore (Italia).
«Bisogna accettare di non sapere del tutto perché si fa l’assessore. C’è una linea d’ombra oltre la quale non si deve e non si può andare…»
Harry van Zeeland, industriale – settore materie plastiche (Olanda).
«Faccio l’industriale perché i miei prodotti in plexiglàs formano il mio secondo corpo che mi sopravviverà e tutte le altre considerazioni sono secondarie.»
Isaac Samuelson, rappresentante di commercio (Usa).
«Io faccio il rappresentante di commercio per la stessa ragione per cui respiro; perché. se non lo facessi, morirei.»
Friedrich Zeller, camionista (Svizzera).
«La questione è: perché ho scelto un lavoro cosi duro? Perché è una passione. Quando guido il mio camion, sono davanti a una catastrofe. Ho sempre l’impressione di essere un dilettante, di non saper guidare, di non conoscere il percorso, la destinazione, i segnali stradali, di essere davanti al nulla. Ma è una passione».
Piergiorgio Bellocchio, Alfonso Berardinelli, da “Diario 1985-1993”, 2010
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Nell’immagine: Opera di Hernan Bas