Cosa sono le “greguerìas”?
Gesualdo Bufalino le definisce così:
“Brevi o minimi testi (di) un’acutezza bizzarra, un’analogia strabiliante, uno scatto di elettrico umore, come di fronte a un funambolo che guizzi da un trapezio all’altro, prima di scomparire a rompersi il collo dentro un buco del telone.”
E ancora:
“Poiché questo sono, le greguerías: piroette e volteggi mentali, matrimoni morganatici fra creature di sangue diverso, combinati da un mezzano illusionista, dietro i cui passi penetriamo nel più mercuriale degli universi, un luogo ubiquo che è tutti i luoghi e nessuno, e dove fiori, pietre, animali, tavole pitagoriche e abbecedari, meteore e wagons-lits s’ intrecciano con allegria, come in una quadriglia dei lancieri o in una tela di Miro. Giochi di prestigio adorabilmente datati, che domandano orecchie e occhi bambini. Non senza che vi risuoni dentro talora, a turbare il carnevale, un presagio funebre, un sentimento di cenere.”
(Gesualdo Bufalino, da “Sghiribizzi”, 1997)
Ramón Gómez De La Serna, che ne è considerato l’ideatore, ne dà una definizione decisamente lapidaria:
“umorismo +metafora = greguería
Secondo Laurie-Anne Laget, la “greguería” sarebbe “nata ufficialmente nel 1912 nell’ultimo numero (38) della rivista Prometeo che era allora diretta da Ramón Gómez De La Serna. Ma lo stesso Ramon ha creato in seguito delle false piste affermando “desde 1910 me dedico a la greguería” (dal 1910 mi dedico alla greguería)“.
Ma, insomma, cos’è questa “greguería”?
La parola – che in spagnolo vuol dire “schiamazzo”, “parlottio”, “trambusto” – indica soprattutto – come spiega Fabrizio Caramagna in “Aforisticamente” – “metafore visive e giochi di parole con tocchi di umorismo e, a volte di assurdo”, nelle quali “c’è sempre un elemento di sorpresa per il lettore”.
Ecco alcune “greguerías” tratte dalla raccolta “Mille e una gregueria“, pubblicata nel 1993 con la traduzione di Danilo Manera:
“Il sogno è un deposito di oggetti smarriti.”
“Sui fili del telegrafo rimangono, quando piove, delle lacrime che rendono tristi i telegrafi.”
“Ci sono cieli sporchi in cui sembra che siano stati sciacquati i pennelli di tutti gli acquarellisti del mondo.”
“L’arcobaleno è il nastrino che si mette la natura dopo essersi lavata la testa.”
“I laghi sono le pozzanghere rimaste dopo il diluvio.”
“La chiave ci prende in giro fingendo di non appartenere alla serratura a cui appartiene.”
“I baci sono come francobolli: ce n’è che si attaccano e altri che non prendono.”
“L’acqua non ha memoria: per questo è così limpida.”
“Le spighe fanno il solletico al vento.”
“Gli zeri sono le uova da cui sono nate le altre cifre.”
“Quando il treno parte mentre siamo affacciati al finestrino, rubiamo addii che non sono per noi.”
(“Greguerías” tratte dal sito “Aforisticamente”)
Nell’immagine: Chema Madoz, “Senza titolo”, 2012