Linguaggi

Anime innamorate

14.02.2025
“Ὲρέω τε δηὖτε κοὐκ ἐρέω,
καὶ μαίνομαι κοὐ μαίνομαι.”
(“Amo e non amo,
sono pazzo e non sono pazzo”)
Anacreonte (VI secolo a. C.), Frammento 46, Gentili
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Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior”
“Odio e amo. Forse chiederai come sia possibile;
non so, ma è proprio così e mi tormento”
Catullo, Carme 85
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“Ama mihi cum mererem minus, quoniam erit cum ne egerent.”
“Amami quando meno me lo merito, poiché sarà quando ne avrò più bisogno.”
Gaio Valerio Catullo
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“È da sapere che per amore (…) sempre s’intende esso studio, lo quale è applicazione de l’animo innamorato de la cosa a quella cosa.”
Dante, da “Convivio”, XV, 10
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Vorrei che fossi qui
“Vorrei che fossi qui
Che bussassi alla porta
E mi dicessi sono io
Indovina che cosa ti porto
E mi portassi te.”
Boris Vian
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Bansky
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Amare
“Saper vedere
che cade
fra i fiocchi della neve
la piuma bianca dell’uccello migratore
riparato sotto la grondaia.
Ecco amare”
Sunay Akın (poeta, giornalista e filantropo turco, fondatore del “Museo Del Giocattolo” di Istanbul), “Amare”, da “AntiQuori”, 2005 – Traduzione di Laura Rotta e Giampiero Bellingeri
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Foto di Avaro Fogliani
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“Quasi che il sonno, l’uno all’altra
li rapisse, nel buio intrecciano le dita
si sfiorano con la punta del piede
e pensano – gli estremi si toccano
nel cuore della notte.”
Biancamaria Frabotta, da “La pianta del pane”
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Egon Schiele, “Coppia addormentata”, 1909
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Mai smetterò di amarti
“Mai smetterò di amarti
E ti dimenticherò quando venerdì sarà mercoledì, quando le rose cresceranno dappertutto, azzurre, come uova di tordo.
Quando il topo griderà “chicchiricchì”.
Quando la casa si reggerà sul comignolo, quando il salame mangerà l’uomo.
E quando ti sposerò.”
Andrej Andreevič Voznesenskij
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Luisa Azevedo
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Tempo d’amarsi a Saint-Antoine
“Questo cielo
Non è il cielo di ogni giorno su Saint-Antoine
Certo è tempo d’amarsi
Per prime si sono aperte le finestre
Le formiche sono spuntate fuori dai nidi
Il muschio si è ravvivato
La volta del cielo si è tesa sempre più
La ragazza che cuce alla finestra è felice per la prima volta
Le case e i caffé rivolti al mare per la prima volta sono felici
Lambodis non ha più da temere
Eleni non deve temere
Tutti i colombi spiccheranno il volo, nessuno più saprà cos’è la paura
Nell’ora in cui tutto si risveglia
L’amore avrà inizio
E tutto si arresterà
Le mani della ragazza, stendendosi sul vestito, si bloccheranno
Saint-Antoine si leverà dal sarcofago per incamminarsi verso la costa
Lo seguiranno tutte le tombe, le immagini dei santi e Gesù stesso
Ogni cosa lascerà il posto all’amore
La sedia, all’amore
La finestra, all’amore
Il soffitto di Saint-Antoine s’incamminerà verso un altro soffitto
Il portone, verso un portone diverso
Nulla avrà voglia di ritrarsi
Vedremo il cielo espandersi ancora
Il mare farsi più blu
Quell’amore passerà dagli occhi ad altri occhi come una pelle scura
Adesso è lui a venire a Istanbul con i canti più belli
Per questo le mani della ragazza, la sua bocca, ora crescono da qualche parte
Per questo il bimbo non si stacca dal petto della madre
I colombi di Saint-Antoine
È per questo che volano nel cielo
L’ansia dell’ordine in poesia viene da qui
Né avrà mai altre ragioni
Questa volta del cielo.”
İlhan Berk (poeta turco), da “L’antico mare”, 1982 – Traduzione di N. Verderame
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Foto di Rodney Smith
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Amore a prima vista
“Sono entrambi convinti
che un sentimento improvviso li unì.
É bella una tale certezza
ma l’incertezza è più bellaNon conoscendosi, credono
che non sia mai successo nulla tra loro.
Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi
dove da tempo potevano incrociarsi?Vorrei chiedere loro
se non ricordano –
una volta un faccia a faccia
in qualche porta girevole?
uno “scusi” nella ressa?
un “ha sbagliato numero” nella cornetta?
– ma conosco la risposta.
No, non ricordano.Li stupirebbe molto sapere
che già da parecchio tempo
il caso stava giocando con loro.Non ancora del tutto pronto
a mutarsi per loro in destino,
li avvicinava, li allontanava,
gli tagliava la strada
e soffocando una risata
si scansava con un saltoVi furono segni, segnali,
che importa se indecifrabili.
Forse tre anni fa
o lo scorso martedì
una fogliolina volo via
da una spalla a un’altra?
Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto.
Chissà, era forse la palla
tra i cespugli dell’infanzia?Vi furono maniglie e campanelli
su cui anzitempo
un tocco si posava sopra un tocco.
Valigie accostate nel deposito bagagli.
Una notte, forse, lo stesso sogno,
subito confuso al risveglio.Ogni inizio infatti
è solo un seguito,
e il libro degli eventi
è sempre aperto a metà.”
Wislawa Szymborska, “Amore a prima vista”, da “La gioia di scrivere”, Traduzione di Pietro Marchesani, 2009
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Foto di Henri Cartier-Bresson
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Les enfants qui s’aiment

 

“I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è soltanto la loro ombra
Che trema nel buio
Suscitando la rabbia dei passanti

La loro rabbia il loro disprezzo i loro risolini
la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Loro sono altrove ben più lontano della notte
Ben più in alto del sole
Nell’abbagliante splendore del loro primo amore.”

 

Jacques Prévert, “Les enfants qui s’aiment”, da “Spectacle”, 1951
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Gilles Peress, 1975
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È quel che è

“È assurdo
dice la ragione
È quel che è
dice l’amore

È infelicità
dice il calcolo
Non è altro che dolore
dice la paura
È vano
dice il giudizio
È quel che è
dice l’amore

È ridicolo
dice l’orgoglio
È avventato
dice la prudenza
È impossibile
dice l’esperienza
È quel che è
dice l’amore.”

 

Erich Fried, da “Poesie d’amore di paura di collera”,  1988

 

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Foto di Ferdinando Scianna

 

 

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Perdona i traditori

 

“Ogni volta che tornerò
ti incontrerò.
E dovremo ricominciare da capo
alla scoperta della favola del bosco,
capirci con le parole
che ci porta la pioggia
e aprire la notte
con un lampo di lucciole.
E ricordare il tuo nome,
il tuo nome di mele e strade,
dell’eucalipto profumato delle farmacie,
di piccole e azzurre lontananze.
E dovremo tornare
alle stazioni ferroviarie
che esistono solo nel cuore
e aspettare quel treno notturno
che attraversa gli inverni
per andare insieme a quella città silenziosa
dove il sole matura presto
e le stelle scendono
fino a sfiorarci i capelli.
Era un’altra epoca. Non ne dubito.
Ora abitiamo la nostalgia
come se fosse una vecchia casa.
Una stanza chiusa che non ci permette di vedere
oltre le mani.
Così
Io ti ascolto, tu mi ascolti
Ti amo, tu mi ami.
E siamo di nuovo
quello che eravamo ieri.
Una specie di luce tra le reti del destino
Come uno che si sveglia, ritorno
a quando il tuo corpo si è girato verso il mio
e l’amore cresceva lentamente
in un bagliore rotondo
e cristallino.
E in mezzo a due mondi tremanti
quelle gocce di luce
attraverso l’oscurità.”
Marino Muñoz Lagos (Cile), “Perdona i traditori”, da “I volti della pioggia”, 1971
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Foto di Massimo Della Latta
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Amare è questo errore essenziale
“Amare è questo errore essenziale
per vivere,
questo modo diverso di sentire la pioggia
quando arriva l’autunno
e la saliva
dei parchi più tristi
parla solo all’orecchio dei pazzi,
dei sani di legare,
di questa poesia
inzuppata di sete,
morta d’amore e di freddo,
scogliera sull’orlo di un abisso
che non ho mai scritto prima.”
Fernando Beltràn (poeta spagnolo), da “Amore cieco”, 1995
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Ralph Gibson, “Mary Ellen”, 1967
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Un’altra sosta
“Appoggiami la testa sulla spalla:
ch’io ti carezzi con un gesto lento,
come se la mia mano accompagnasse
una lunga, invisibile gugliata.
Non sul tuo capo solo: su ogni fronte
che dolga di tormento e di stanchezza
scendono queste mie carezze cieche,
come foglie ingiallite d’autunno
in una pozza che riflette il cielo”
Antonia Pozzi, “Un’altra sosta”, da “Appoggia la testa sulla spalla”, 2024
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Viceversa
“Ho paura di vederti
necessità di vederti
speranze di vederti
inquietudine di vederti.
Ho voglia di trovarti
affanno di trovarti
certezze di trovarti
poveri dubbi di trovarti
Ho urgenza di sentirti
allegria di sentirti
fortuna di sentirti
e timore di sentirti.
Insomma,
per dirla tutta,
sono fottuto
e radioso
forse più la prima
che la seconda.
E anche viceversa.”
Mario Benedetti – Traduzione di Milton Fernández
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Foto di Paolo Roversi
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Ogni volta che andrai via da te stessa
“Ogni volta che andrai via da te stessa
non dimenticarti che ti aspetto
in tre o quattro punti cardinali
ci sarà sempre un posto in qualche posto
con una quantità di benvenuti
ciascuno ti riconosce da lontano
e prepara una festa così discreta
senza canti né lampi né tamburi
che solo tu saprai che è in tuo onore
ogni volta che andrai via da te stessa
fa’ in modo che la vita non si rompa
che il tuo altro io non muoia d’abbandono
e per favore non dimenticarti che ti aspetto
con questo cuore appena rimediato
nel miglior mercatino della domenica
ogni volta che andrai via da te stessa
non distruggere la via del ritorno
tornare è una forma di incontrarsi
e anche lì vedrai che io ti aspetto”.
Mario Benedetti, Traduzione di Milton Fernández
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Katrien De Blauwer
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Non ho smesso di pensarti
“Non ho smesso di pensarti,
vorrei tanto dirtelo.
Vorrei scriverti che mi piacerebbe tornare,
che mi manchi
e che ti penso.
Ma non ti cerco.
Non ti scrivo neppure ciao.
Non so come stai.
E mi manca saperlo.
Hai progetti?
Hai sorriso oggi?
Cos’hai sognato?
Esci?
Dove vai?
Hai dei sogni?
Hai mangiato?
Mi piacerebbe riuscire a cercarti.
Ma non ne ho la forza.
E neanche tu ne hai.
Ed allora restiamo ad aspettarci invano.
E pensiamoci.
E ricordami.
E ricordati che ti penso,
che non lo sai ma ti vivo ogni giorno,
che scrivo di te.
E ricordati che cercare e pensare son due cose diverse.
Ed io ti penso
ma non ti cerco.”
Charles Bukowski
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Édouard Boubat, Paris, 1968
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Ora che arriva il buio, amore mio
“Ora che arriva il buio, amore mio
il malanimo dei giorni
questo tempo che raffredda i piedi
solo a pensarci
quando cola il naso
e la sera piomba in casa all’improvviso.
Prima che arrivi il gelo
amore mio
ad augurarci la buona giornata
e bisognerà volare come i pipistrelli
e camminare con le mani avanti
quando verranno i tempi oscuri
in cui non ci riconosceremo più
che non ci trovino inermi
che nessuno ci convinca ad abbassare le braccia
che la paura non abbia la meglio
che le mie mani non perdano la strada per arrivare a te
che il tuo corpo
nel groviglio del letto
continui ad essere il miglior indizio per trovare la via di casa
ora che arriva il buio,
amore mio.”
Milton Fernández
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Ho stirato finestre
“Ho stirato finestre
verniciato camicie
spazzolato i gatti
e accarezzato i libri
ho sorriso alle cozze
tradotto il lavandino
sturato gli amici
riordinato i vicini
ho cavato dal buco
il ragno
ho pianto di gioia
disperato di noia
abbracciato a un lampione
ho disossato il modem
stuprato il decoder
e avvelenato il mouse
non so perché ho fatto tutto quanto
ma tu non ci sei più
e io faccio fatica a riorganizzare l’universo.”
Milton Fernàndez
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Salvador Dalì, “Donna con testa di fiori”, 1937
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Regalami la tua voce
“Regalami la tua voce
Regalami il tuo volto
Le tue gioie e tuoi dolori
I tuoi sogni e la tua realtà
Le tue mani sul mio corpo
Le tue labbra sulle mie
Le tue certezze e i tuoi dubbi
Il tuo sorriso più spontaneo
E le lacrime
Che hai cercato di trattenere
Riportami fra le stelle
La gravità della terra
Mi fa venire le vertigini
Regalami I tuoi odori
I tuoi desideri più intimi
I tuoi pensieri più intensi
Così che io possa riconoscermi
Nei tuoi occhi quando si poseranno sui miei
Regalami la tua anima
Poiché la mia ti appartiene già.”
Edvania Paes, poetessa brasiliana
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Foto di Brassaï (pseudonimo di Gyula Halász)
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Graffiti di fuoco
“Nei mesi oscuri la mia vita scintillava
solo quando ti amavo.
Come la lucciola si accende e si spegne, si accende e si spegne,–
dai bagliori si può seguire il suo cammino
nel buio della notte tra gli ulivi.
Nei mesi oscuri l’anima stava rannicchiata
e senza vita
ma il corpo veniva dritto verso di te.
Il cielo notturno mugghiava.
Furtivi mungevamo il cosmo e siamo sopravvissuti.”
Tomas Tranströmer, da “Poesia dal silenzio”, a cura di M. C. Lombardi, 2025
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Ciao
“Tu, che giungi camminando
dal fondo della mia vita;
che porti come una bandiera
la musica delle tue risa;
tu che negli occhi nascondi
ciò di cui la mia anima ha bisogno;
tu, che nel mio petto hai vissuto
per anni addormentata
e oggi mi risvegli di colpo
tanto che non ha spazio
il mio piccolo cuore
per questa esplosione di felicità.
Sei il fiume dove volli
un giorno porre delle dighe.
Oggi che si è levata la tua corrente
non ci sono dighe che le resistano.
Nella casa del mio petto,
nel sonno e nella veglia,
nelle strade delle mie mani,
nelle città dei miei giorni,
nella patria dei miei passi
e nel paese della mia vita
vieni, entra e governa: è il tuo regno,
la tua vittoria, la tua conquista.”
Manuel José Arce (Guatemala), “Ciao”
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Foto di Ernst Baumann
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Vorrei essere pane
“Vorrei essere pane
e lasciare che tu mi prenda
come capita
– per avidità
appetito
o abitudine dell’ora.
Vorrei essere pane
perché tu avessi almeno
il dovere di poggiarmi
alla tua tavola
– in offerta
senza più la libertà d’affamarti.
Vorrei essere pane
perché l’unico dolore
sarebbe quello del coltello
che incide la crosta.
Poi saresti lieve
pur nell’ansia di conoscere
il mio cedevole bianco.
Vorrei essere quel pane
che tu dovresti avere lo scrupolo
d’impastare
e per il quale ti leveresti
a trascurare le notti.
A farmi crescere
sotto il panno di cure
della tua carne.”
Elisa Ruotolo, da “Corpo di pane”, 2019
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Foto di Aikaterini Theocharidou
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Lei
“Viene lentamente,
entra
inciampa nella mia tosse,
nella mia abitudine di lasciare il collo
ovunque.
Viene lentamente,
mette in ordine i miei silenzi,
slega le parole necessarie
riceve la corrispondenza dei miei occhi.
Viene lentamente,
e stende le sue tovaglie d’amore.
Viene lentamente,
fatta solo di fumo per non svegliarmi.
Si apre il passo tra bicchieri scaraventati contro il giorno,
ritratti di donne,
notti di risse e di gin.
Viene lentamente,
entra,
si inginocchia vicino alla mia anima
a ricomporre i frammenti delle mie risate.
Poi vola via azzurra come il pomeriggio.”
Jorge Boccanera (Argentina), da “Parola d’ordine”, 1976
*****
In evidenza: Foto di Sonia Simbolo

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