Ho paura di vederti
“Ho paura di vederti
bisogno di vederti
speranza di vederti
dispiacere di vederti
Ho voglia di trovarti
preoccupazione di trovarti
certezza di trovarti
miseri dubbi di trovarti
Ho urgenza di ascoltarti
allegria di ascoltarti
fortuna di ascoltarti
cioè
riassumendo
sono infastidito
e raggiante
forse più il primo che il secondo
e viceversa.”
Mario Benedetti
*****
“Non c’è più tempo.
“I miei pensieri sono qualcosa
che la mia anima teme.
Fremo per la mia allegria.
A volte mi sento invadere da
una vaga, fredda, triste, implacabile
quasi-concupiscente spiritualità.
Mi fa tutt’uno con l’erba.
La mia vita sottrae colore a tutti i fiori.
La brezza che sembra restia a passare
scrolla dalle mie ore rossi petali
e il mio cuore arde senza pioggia.
Poi Dio diventa un mio vizio
e i divini sentimenti un abbraccio
che annega i miei sensi nel suo vino
e non lascia contorni nei miei modi
di vedere Dio fiorire, crescere e splendere.
I miei pensieri e sentimenti
si confondono
e formano una vaga e tiepida anima-unità.
Come il mare che prevede una tempesta,
un pigro dolore e un’inquietudine
fanno di me il mormorio
di un incalzante stormo.
I miei inariditi pensieri si mescolano
e occupano le loro interpresenze,
e usurpano gli uni il posto degli altri.
Non distinguo nulla in me
tranne l’impossibile amalgama
delle molte cose che sono.
Sono un bevitore dei miei pensieri.
L’essenza dei miei sentimenti
inonda la mia anima.
La mia volontà vi si impregna.
Poi la vita ferma un sogno
e fa sfiorire la bellezza
nel dolore dei miei versi.”
Fernando Pessoa, “Sensazione”
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Liberi di pensarla a modo loro
“La pena avrà creduto fosse pena.
L’ansia avrà creduto fosse ansia.
Liberi di pensarla a modo loro,
la coppia che si dava tante arie.
No, ci volle tutta la neve appesa al tetto
basso sopra il suo letto, e questo
fin da quando era un ragazzetto,
per indurre l’unica l’unica neve sulla sua testa.
Ma ogni volta che il tetto si imbiancava
la testa nel buio sottostante era
sempre meno colore della notte
e sempre più colore della neve.
La pena avrà creduto fosse pena.
L’ansia avrà creduto fosse ansia.
Ma nessuno dei due aveva rubato
il colore corvino dei capelli.”
Robert Frost, da “Fuoco e ghiaccio”
E me ne vorrei andare
E finalmente giungere,
Pietà, dove si ascolta
L’uomo che è solo con sé.
Non ho che superbia e bontà.
E mi sento esiliato in mezzo agli uomini.
Ma per essi sto in pena.
Non sarei degno di tornare in me?
Ho popolato di nomi il silenzio.
Ho fatto a pezzi cuore e mente
Per cadere in servitù di parole?
O foglie secche,
anima portata qua e là…
No, odio il vento e la sua voce
Di bestia immemorabile.
Dio, coloro che t’implorano
Non ti conoscono più che di nome?
M’hai discacciato dalla vita.
Mi discaccerai dalla morte?
Forse l’uomo è anche indegno di sperare.
Anche la fonte del rimorso è secca?
Il peccato che importa,
se alla purezza non conduce più.
La carne si ricorda appena
Che una volta fu forte.
È folle e usata, l’anima.
Dio guarda la nostra debolezza.
E compiangici dunque, crudeltà.
Non ne posso più di stare murato
Nel desiderio senza amore.
Una traccia mostraci di giustizia.
Fulmina le mie povere emozioni,
liberami dall’inquietudine.
Sono stanco di urlare senza voce.
Malinconiosa carne
dove una volta pullulò la gioia,
occhi socchiusi del risveglio stanco,
tu vedi, anima troppo matura,
quel che sarò, caduto nella terra?
È nei vivi la strada dei defunti,
siamo noi la fiumana d’ombre,
sono esse il grano che ci scoppia in sogno,
loro è la lontananza che ci resta,
e loro è l’ombra che dà peso ai nomi,
la speranza d’un mucchio d’ombra
e null’altro è la nostra sorte?
E tu non saresti che un sogno, Dio?
Almeno un sogno, temerari,
vogliamo ti somigli.
È parto della demenza più chiara.
Non trema in nuvole di rami
Come passeri di mattina
Al filo delle palpebre.
In noi sta e langue, piaga misteriosa.
La luce che ci punge
È un filo sempre più sottile.
Più non abbagli tu, se non uccidi?
Dammi questa gioia suprema.
L’uomo, monotono universo,
crede allargarsi i beni
e dalle sue mani febbrili
non escono senza fine che limiti.
Attaccato sul vuoto
Al suo filo di ragno,
non teme e non seduce
se non il proprio grido.
Ripara il logorio alzando tombe,
e per pensarti, Eterno,
non ha che le bestemmie.
Giuseppe Ungaretti, “La Pietà”, in “Sentimento del tempo”, 1933
“Nella mia infanzia, avendo la mia parte di cielo,
provavo sempre a imparare a volare.
Adesso non posso più volare nemmeno nei miei sogni
e il mio cielo appoggia sulla terra.
Ma, quando apri gli occhi della mia anima,
tu mi presenti l’intero Universo, io perdo il mio corpo
e sento il mio respiro farsi leggero.
Talvolta lascio la terra e sento il mio cuore così stretto,
che la tristezza di un orfano senza madre
riempie il mio silenzio.
Inspiegabili i tempi in cui Gesù scriveva sulla sabbia.
Scriveva e cancellava, e quello che cancellava
è rimasto eternamente in noi.”
Givi Alkhazishvili, poeta georgiano
“Pende alla mia finestra
l’erba azzurra del cielo.
Come lungo mille fili
scendono infinite stelle.
L’anima è una spugna
che assorbe le lacrime – lenti
delle stelle – ad una ad una,
bianche lucenti e tremanti.
La lanugine della mia tristezza
si avvolge di notte alla tristezza,
le ciglia di Dio
cadono nel mio calamaio.
Apro il libro: il libro si lamenta.
Cerco il tempo: non c’è tempo.
Vorrei cantare: non canto, esisto,
sembra che io sia e non esisto più.
Il mio pensiero, di chi è pensiero?
In quale racconto o idea
mi viene alla mente che, forse,
ho fatto parte di tutto?
Scrivo qui, curvo, senza memoria
ascoltando la voce strana
dello stagno e del frutteto
e firmo:
Tudor Arghezi.”
Tudor Arghezi (Romania), “incertezza”, da “Poesie”, 1966 – Traduzione di Salvatore Quasimodo