Linguaggi

Odi et amo…

08.11.2021
“Odi et amo
Quare id faciam, fortasse requiris
Nescio, sed fieri sentio et excrucior
(“Ti odio e ti amo
Come possa fare ciò, forse ti chiedi
Non lo so, ma sento che così avviene e me ne tormento”)
Gaio Valerio Catullo, da “Carmina”, Carme 85
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“Odero, si potero,
si non, invitus amabo.”
(Odierò, se potrò, altrimenti amerò mio malgrado)

Ovidio, da “Amores”, Libro III

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“Vivamus mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis!
soles occidere et redire possunt:
nobis cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda.
Da mi basia mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum.
dein, cum milia multa fecerimus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.”

Catullo, Carme V

“Viviamo, o mia Lesbia, e amiamoci,
e le dicerie dei vecchi severi
consideriamole tutte di valore pari a un soldo.
I soli possono tramontare e risorgere;
noi, quando una buona volta finirà questa breve luce,
dobbiamo dormire un’unica notte eterna.
Dammi mille baci, poi cento,
poi ancora mille, poi di nuovo cento,
poi senza smettere altri mille, poi cento;
poi, quando ce ne saremo dati molte migliaia,
li confonderemo anzi no, per non sapere (il loro numero)
e perché nessun malvagio ci possa guardare male,
sapendo che ci siamo dati tanti baci.”

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“E’ un amore impossibile” – mi dici.
“E’ un amore impossibile” – ti dico.
Ma scopri che sorridi se mi guardi,
e scopro che sorrido se ti vedo.
“Di notte” – tu confessi – “io ti penso… Ti penso giorno e notte, e mi domando se stai pensando a me, mentre ti penso.
… La società, le regole, i doveri… ma tremi quando stringo le tue mani.”
“Meglio felici o meglio allineati?”
– Ti chiedo.-
E il tuo sorriso accende il giorno, cambiando veste ad ogni mio pensiero.
“Questo amore è possibile” – ti dico.
“Questo amore è possibile” – mi dici.”

Sesto Aurelio Properzio (Assisi, 47 a.C. circa – Roma, 15 a.C. circa)

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La cosa più bella

“Dicono alcuni sulla nera terra
esser la cosa più bella uno stuolo
di navi, altri di fanti o cavalieri.
Io, ciò che ami.
È nota a tutti questa verità:
Elena, la più splendida creatura,
lasciò il marito, ottimo fra gli uomini,
senza pensiero
per la figlia né per i genitori
e alla città di Troia andò per mare
tanto l’aveva Cipride sconvolta
di folle amore.
Ed anche a me fa ora ricordare
Anattoria lontana, non più qui:
di lei vorrei dinanzi agli occhi avere
l’amabile figura
e ammirare i bagliori luminosi
del suo volto, piuttosto che dei Lidi
i carri e di soldati tumultuosi
armate schiere.”

Saffo

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  Symeon Solomon, “Sappho and Erinna in a Garden at Mytilene”, 1864

                 

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Prendi il mio cuore e portalo lontano
“Prendi il mio cuore e portalo lontano,
dove nessuno ci conosce,
dove il tempo non esiste,
dove possiamo incontrarci,
senza età e ricordi, senza passato.
Con una luce che nasce all’orizzonte
e un domani sereno e silenzioso.
Prendi il mio sguardo e portalo lontano,
dove possa vederti ogni giorno
e darti mille baci
e quindi cento
e dartene altre mille
e quindi cento
quindi mille continui
e quindi cento.
Perché a me pare uguale agli dei,
chi siede a te vicino e il dolce suono
ascolta mentre parli, e ridi amorosamente.
Subito a me il cuore si agita in petto
sol che appena ti veda, e la voce non esce.
E la lingua si spezza.
Un fuoco sottile sale rapido alla pelle,
e gli occhi più non vedono,
e rombano le orecchie,
e tutto in sudore e tremante
com’ erba patita scoloro.
E morte non pare lontana a me, rapito di mente.”
Saffo, da “Frammenti”
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Miguel Carbonell Selva, “Morte di Saffo”, 1881

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Sonetto n. 28

“Dovrei paragonarti a un giorno d’estate?
Tu sei più amabile e più tranquillo.
Impetuosi venti scuotono le tenere gemme di Maggio,
E il corso dell’estate ha fin troppo presto una fine.
Talvolta troppo caldo splende l’occhio del cielo,
E spesso la sua pelle dorata s’oscura;
E ogni cosa bella la bellezza talora declina,
spogliata per caso o per il mutevole corso della natura.
Ma la tua eterna estate non dovrà svanire,
Né perder la bellezza che possiedi,
Né dovrà la morte farsi vanto che tu vaghi nella sua ombra,
Quando in eterni versi nel tempo tu crescerai:
Finché uomini respireranno o occhi potran vedere,
Queste parole vivranno, e daranno vita a te.”

William Shakespeare, Sonetto n. 28

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Ed è cielo e fiamma e alberi

“Ed è cielo e fiamma e alberi
ma soprattutto
è sicuramente acqua
questo nostro amore.
L’azzurro è ansia senza fine
e si scioglie nella vita
inarrestabile.
Si dice che alla morte si diventa terra
no, noi no
noi ci faremo acqua.”

Fazıl Hüsnü Dağlarca (poeta turco)

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Faccio tutto ciò che posso

“Faccio tutto ciò che posso
perché il mio amore
non ti disturbi,
ti guardo di nascosto,
ti sorrido quando non mi vedi.
Poso il mio sguardo
e la mia anima ovunque
vorrei posare i miei baci:
sui tuoi capelli,
sulla tua fronte,
sui tuoi occhi,
sulle tue labbra,
ovunque le carezze
abbiano libero accesso.”

Victor Hugo, “Faccio tutto ciò che posso”

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  Disegno di Dino Buzzati, 1971

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Vorrei che tu venissi da me

“Vorrei che tu venissi da me
In una sera d’inverno
E stretti insieme dietro i vetri
Guardando la solitudine
Delle strade buie e gelate
Ricordassimo gli inverni
Delle favole dove si visse
Insieme senza saperlo”

Dino Buzzati

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Donna che apre riviere
“Sei donna di marine,
donna che apre riviere.
L’aria delle mattine
bianche è la tua aria
di sale — e sono vele
al vento, sono bandiere
spiegate a bordo l’ampie
vesti tue così chiare.”

Giorgio Caproni, “Donna che apre riviere”

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“Per lei voglio rime chiare,
usuali: in a-re.
Rime magari vietate,
ma aperte: ventilate.
Rime coi suoni fini
(di mare) dei suoi orecchini.
O che abbiano, coralline,
le tinte delle sue collanine.
Rime che a distanza
(Annina era così schietta)
Conservino l’eleganza
Povera, ma altrettanto netta.
Rime che non siano labili,
anche se orecchiabili.
Rime non crepuscolari,
ma verdi, elementari.”
Giorgio Caproni, “Per lei”
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Miloš Englberth (artista ceco)
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Ama di me quello che non sai

“Ama di me quello che non sai.
I segreti che proteggo.
Le parti scure che possiedo.
Ama di me quella ruga che detesto.
La pancia che odio.
L’anima incerta.
Ama di me la stanchezza del corpo.
Il tempo che resta.
E quello che è stato.
Ama di me l’amore disilluso.
La fiducia che conosco.
I buchi neri che non so affrontare.
Ama di me l’intraprendenza.
Gli spazi vuoti.
Dove non riesco a guardare.
Ama di me i figli che porto.
Quelli che avrei voluto.
Quelli che non desidero.
Ama di me la solitudine che cerco.
La fronte corrugata.
Il viaggio che ho intrapreso.
Ama di me ciò che non si vede.
Quello che non sono.
L’amore che non riesco.
Ama di me la verità. E scegli di restare.
Ancora un attimo.
Un’ora.
Un giorno.
Che sa farsi eternità.”

Cinzia Pennati (Penny)

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Ma tu davvero pensi
“Ma tu davvero pensi
che amore sia
tormentarsi la notte
perché non arriva un suo messaggio
e cominciare a chiedersi dov’è e con chi e non dormire fino a che non ti scrive
che è a casa?
Amore è leggerezza.
Davvero pensi
che amore sia
sapere tutti i pensieri e tutti i sogni
e imparare a memoria il passato e programmare intensamente il futuro,
pretendere di conoscere ogni dettaglio
ogni desiderio più intimo?
Amore è intuizione.
Ma tu davvero
ma davvero davvero
pensi che amore sia
stare insieme tutto il tempo
ogni momento
non separarsi neanche un attimo
perché insicuri
deboli
protettivi?
Amore è tenersi le mani anche lontani
è rispondere al telefono a qualsiasi ora
solo perché ti va tanto
di parlare un po’.
Tu pensi
che amore
sia chiedersi continuamente
mi ami?
Ti amo?
Ci amiamo, sì?
Amore è dubbio
ma dubbio lieve
dubbio ch’è un sollievo
ch’è consolazione
d’essere l’uno per l’altro
certezza sicura.
Pensi dunque
che amore sia
chiudersi in una gabbia d’oro e non vedere neanche più il mare
e non innamorarsi più di niente?
Amore è
cercarsi tra la gente
e trovarsi in altri occhi
e non costringersi
a non vedere più nessuno sguardo
perché amore non è proibire
è accettare
non è sperare
è sognare
non è sapere ma è credere
e non è obbligo, ma fiducia.
Amore è equilibrio e follia
e non è appuntamento fisso
è aspettarsi sempre e comunque
in qualsiasi caso.
Amore è scegliere
e per scegliere c’è bisogno
d’avere un sacco di opzioni
se no che si sceglierebbe?
Amore è stare
in un modo o nell’altro
sempre dentro a qualcun altro
e dentro a un altro riconoscersi
ecco
amore non è mica perdersi,
amore è ritrovarsi.”

Marzia Sicignano

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E ho avuto questa sensazione

“E ho avuto questa sensazione
incredibile: che anche tu,
proprio in quel preciso momento,
stessi pensando a me.
Dirai che ho troppa fantasia;
magari tu pensavi al teatro,
o alla crisi economica,
o decidevi se comprare
delle tende nuove.
Ma all’improvviso,
nel bel mezzo
di quella piccola scena di follia,
mi sono reso conto
che avere qualcuno,
da qualche parte, che ti capisce,
che ti desidera, che vede in te
una versione migliore di te stesso,
è il dono più incredibile di tutti.
Anche se non siamo insieme,
sapere di essere quell’uomo, per te,
è ciò che mi permette di andare avanti.”

Jojo Moyes (scrittrice e sceneggiatrice inglese)

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Egon Schiele, “L’abbraccio”, 1917

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E’ come una marea

“È come una marea, quando lei inchioda su di me
i suoi occhi luttuosi,
quando sento il suo corpo di creta bianca e mobile
stirarsi e palpitare accanto al mio,
è come una marea, quando lei è al mio fianco.
Ho visto, disteso davanti ai mari del Sud,
travolgersi le acque e distendersi
incontenibilmente,
fatalmente
nelle mattine e verso sera.
Acqua delle risacche sulle vecchie impronte,
sulle vecchie tracce, sulle cose vecchie,
acqua delle risacche che dalle stelle
si apre come un’immensa rosa,
acqua che continua ad avanzare sulle spiagge come
una mano audace sotto un vestito,
acqua che penetra tra gli scogli,
acqua che si schianta sui promontori,
acqua implacabile come i vendicatori
e come gli assassini silenziosa,
acqua delle notti sinistre
sotto i mobili come una vena aperta,
come il cuore del mare
in una irradiazione tremante e mostruosa.
È qualcosa che mi rapisce da dentro e mi cresce
immensamente vicino, quando lei è al mio fianco,
è come una marea che s’infrange nei suoi occhi
e bacia la sua bocca, i suoi seni e le sue mani.
Tenerezza di dolore, e dolore d’impossibile,
ala dei desideri terribili,
che si agita nella notte della mia carne e della sua
con una forza acuta di frecce nel cielo.
Una sorta di fuga immensa,
che non passa, che graffia dentro,
qualcosa che scava nelle parole pozzi tremendi,
qualcosa che contro tutto cozza, contro tutto,
come i prigionieri contro le pareti della cella!
Lei, scolpita nel cuore della notte
dall’inquietudine dei miei occhi allucinati:
lei, intagliata nei tronchi degli alberi del bosco
dai coltelli delle mie mani,
lei, il suo piacere insieme al mio,
lei, i suoi occhi luttuosi,
lei, il suo cuore, farfalla insanguinata
che con le due antenne dell’istinto mi ha toccato!
Non le può bastare questo stretto altipiano della mia vita!
È come un vento scatenato!
Se le mie parole inchiodano appena come aghi
dovrebbero squarciare come spade o aratri!
È come una marea che mi travolge e mi piega,
è come una marea, quando lei è al mio fianco!”
Pablo Neruda, “E’ come una marea”

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Se tu mi guardi
“Se tu mi guardi con i tuoi occhi
dai quali mi viene incontro la tenerezza
e se io guardandoti con i miei occhi
ti faccio spazio dentro di me,
in questo incrocio di sguardi
che riassume milioni di attimi e di parole,
in questo scambio silenzioso
che per entrambi è guardare e lasciarsi guardare,
in questo penetrare l’uno nell’altro
nel tempo con benevolenza,
ci è dato tessere la reciprocità di questo amore
e forse la gratuità.”

Pablo Neruda

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         Ambrogio Alciati, ”Il convegno”, 1918
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Riempiti di me

“Riempiti di me.
Desiderami, prosciugami, versami, immolami.
Chiedimi. Raccoglimi, contienimi, nascondimi.
Voglio esser di qualcuno, voglio esser tuo, è la tua ora.
Sono colui che è passato con un  salto sulle cose,
il fuggitivo, il sofferente.

Ma sento che è la tua ora,
l’ora in cui la mia vita cada a gocce sulla tua anima,
l’ora delle tenerezze che non ho mai dispensato,
l’ora dei silenzi che non hanno parole,
la tua ora, alba di sangue che mi nutrì di angosce,
la tua ora, mezzanotte che mi passò solitaria.

Liberami di me. Voglio uscire dalla mia anima.
Io sono questo essere che geme, che brucia, che soffre.
Io sono questo essere che attacca, che urla, che canta.
No, non voglio esser così.
Aiutami a rompere queste porte immense.
Con le tue spalle di seta dissotterra queste ancore.
Così una sera crocifissero il mio dolore.

Voglio non aver limiti e levarmi verso quell’astro.
Il mio cuore non deve tacere oggi o domani.
Deve partecipare di ciò che tocca,
deve essere di metalli, di radici, di ali.
Non posso essere la pietra che si alza e che non torna,
non posso essere l’ombra che si disfa e passa.

No, non può essere, non può essere, non può essere.
Allora griderei, piangerei, gemerei.
Non può essere, non può essere.
Chi voleva rompere questa vibrazione delle mie ali?
Chi mi voleva sterminare? Che disegno, che parola?
Non può essere, non può essere, non può essere.
Liberami di me. Voglio uscire dalla mia anima.

Perché tu sei la mia rotta. Ti forgiai nella lotta viva.
Dalla mia lotta oscura contro me stesso, nascesti.
Da me hai preso questo marchio di avidità non saziata.
Da quando li guardo i tuoi occhi sono più tristi.
Andiamocene insieme. Apriamo questa strada insieme.
Sarò la tua rotta. Passa. Lasciami andare.
Desiderami, prosciugami, versami, immolami.
Fa’ vacillare gli assedi dei miei ultimi limiti.

E che io possa, al fine, correre in folle fuga,
inondando le terre come un fiume terribile,
sciogliendo questi nodi, ah Dio mio, questi nodi,
distruggendo,
bruciando,
abbattendo
come una lava folle ciò che esiste,
correre fuori di me, perdutamente,
libero da me, furiosamente libero.
Andarmene,
Dio mio,
andarmene!”

 

Pablo Neruda, da “Poesie erotiche”, VIII

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Tienimi tra

“Trattienimi
trattienimi mentre precipito
lo so che non ci sei più
ma se solo ci fossi
se solo potessi esserci solo per un po’
quel po’ che mi serve per tenermi
tenermi tra
trattienimi
o tienimi non troppo lontano
se non vuoi tenermi vicino
se non riesci a trattenermi
allora tienimi dentro
ma dimmelo che mi tieni dentro
così potrò trattenermi io
a quel brandello di cielo viola
prima che diventi notte
prima che la notte sia solo
un vuoto dove precipitare
senza rumori e senza mani
trattienimi per favore
solo il tempo di un respiro
il tempo di costruire un’illusione
che abbia una mano
che mi trattenga
o tienimi stretta
il tempo giusto per riattaccarmi
il tempo che la colla si asciughi
e io possa ancora farcela”

m.c.m. (Maria Carmela Miccichè), “Tienimi tra”

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Judith Leyster (pittrice olandese del Seicento), ”La proposizione”

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Cucire

“Vorrei tu fossi l’ago del rammendo,
io il tuo refe doppiato a trapassarti
sgomitolato da me stesso inquieto
e posti insieme noi, siamo un cucire.
è un verbo di lavoro e ha un senso caro
di coppia che rinsalda opposti lembi
ma, soli, tu puoi solo le punture
e io afflosciare, rete senza un mare.”

Guido Oldani, “Cucire”

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Reminiscenza

“Si incrociarono un breve istante
il tuo sguardo e il mio.
E seppi all’improvviso
– non so se anche tu –
che in un tempo
senza anni né orologi,
un altro tempo,
i tuoi occhi e i miei
si erano incontrati,
e quella di allora
non era che un’eco,
l’onda che ritorna,
attraversando mari,
all’antica spiaggia.”

Meira Delmar, “Reminiscenza”

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Édouard Manet, “Chez le père Lathuille”, 1879 

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Sparite tutti

“A che scopo
Mi dovrei conservare
Mi sento viaggiatore
Mi sento di passaggio
Sparite tutti
Vi prego
Scusate tanto
Ma sparite tutti
O non si salva nessuno
Scusa
Lo so che ho esagerato
Le mie romantiche idee
Il mio passato
Io sono il mio egoismo
La mia rabbia
La mia indole
Io sono la mia bocca
Le mie labbra
E chi le tocca
E quando sono te
La tua voce
Il tuo respiro
Io sono innamorato
Io sono innamorato
Sparite
E ormai non serve a niente
Alcuna
Ragione
Si salvi chi può
Ora
O non si salva nessuno
Si salvi chi può
Ora
O non si salva nessuno”

Andrea Laszlo De Simone, “Sparite tutti”

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  Robert Mapplethorpe, “Two-men-dancing”, 1984

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Noi due ragazzi che stretti ci avvinghiamo

“Noi due ragazzi che stretti ci avvinghiamo,
mai che l’uno lasci l’altro,
sempre su e giù lungo le strade, compiendo escursioni a Nord e a Sud,
godiamo della nostra forza, gomiti in fuori, pugni serrati,
armati e senza paura, mangiamo, beviamo, dormiamo, amiamo,
non riconoscendo altra legge all’infuori di noi,
marinai, soldati, ladri, pronti alle minacce,
impauriamo avari, servi e preti, respirando aria,
bevendo acqua, danzando sui prati o sulle spiagge,
depredando città, disprezzando ogni agio, ci beffiamo delle leggi,
cacciando ogni debolezza, compiendo le nostre scorrerie.”

Walt Whitman

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Tu non vivi fra queste piante

“Tu non vivi fra queste piante che s’attorcigliano
attorno a questo mio piede senza vasi,
e non hai nella tua linea alcuna canzone per
questi miei versi sterili ora che tu non
avvicini le tue labbra strette a questo mio
corpo ombrato.
Tu non appari a chiarire il mistero della
tua non-presenza, tu non stimoli i fiori
in corona attorno al mio polso, rotto perché
non posso tenerti vicino. La luna ha anch’essa
un pendio misericordioso ma tu non agganci
stretti fili alla mia mano che tanto lontana
non può sollevare i pesi dalla tua testa
rotta dai singulti.
Temo di fare con la mia presenza scempio
delle occasioni, ora che tu non rinverdisci
l’orizzonte. Temo di apparire strana, confusa
a belare quest’incomprensione. Temo di stendere
vigne vuote sul tuo piede scarlatto. Non
ho altro sorso dalle tue arse labbra che
questo mio empio mistero, noia del giorno
spaccato in mille schegge.”

Amelia Rosselli, da “Variazioni belliche”

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Se non è noia è amore

“Se non è noia è amore. L’intero mondo carpiva da me i suoi
sensi cari. Se per la notte che mi porta il tuo oblio
io dimentico di frenarmi, se per le tue evanescenti braccia
io cerco un’altra foresta, un parco, o una avventura: –
se per le strade che conducono al paradiso io perdo la
tua bellezza: se per i canili ed i vescovadi del prato
della grande città io cerco la tua ombra: – se per tutto
questo io cerco ancora e ancora: – non è per la tua fierezza,
non è per la mia povertà: – è per il tuo sorriso obliquo
è per la tua maniera di amare. Entro della grande città
cadevano oblique ancora e ancora le maniere di amare
le delusioni amare.”

Amelia Rosselli, da “Variazioni belliche”

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Julius Kronberg (1850-1921), “Romeo and Juliet on the balcony”

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Due parole

“Questa notte all’orecchio m’hai detto due parole.
Due parole stanche
d’esser dette.
Parole così vecchie da esser nuove.
Parole così dolci che la luna che andava
trapelando dai rami
mi si fermò alla bocca.
Così dolci parole
che una formica passa sul mio collo e non oso
muovermi per cacciarla.
Così dolci parole
che, senza voler, dico: “Com’è bella la vita!”
Così dolci e miti
che il mio corpo è asperso di oli profumati.
Così dolci e belle
che, nervose, le dita
si levano al cielo sforbiciando.
Oh, le dita vorrebbero
recidere stelle.”

Alfonsina Storni, “Due parole”

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Sulle dune

“A me non piace il vano dizionario
delle frasi e vocaboli d’amore:
“Sei mio.” “Son tua.” “Io t’amo!” “Tuo per sempre.
A me non piace essere schiavo. Io guardo
la donna bella in fondo alle pupille
e le dico: “Stanotte. Sai, domani
è un altro giorno, nuovo e bello. Vieni.
Portami una follia nuova, trionfale.
All’alba me ne andrò via per cantare”.
L’anima mia è semplice. Nutrita
fu dal vento salmastro e dall’aroma
resinoso dei pini. Ella è segnata
dalle impronte medesime che rigano
la pelle segaligna del mio viso,
che è bello della squallida bellezza
delle fredde marine e delle dune.
Così pensavo lungo la frontiera
di Finlandia, la lingua decifrando
strana nei verdi occhi dei Finni scialbi.
C’era gran pace. Accanto alla banchina
un treno pronto accese fuoco e fumo.
Pigra la russa guardia doganale
riposava su un cumulo di sabbia
erto, dove finiva il terrapieno.
Là cominciava un’altra terra, e muta
una chiesa ortodossa contemplava
lo sconosciuto estraneo paese.
Così pensavo. Ed ella sopraggiunse,
si fermò sulla china: erano gli occhi
rossi di sabbia e sole. Ed i capelli,
unti come la resina dei pini,
cadevan sulle spalle in flutti azzurri.
S’accostò. S’incrociò il suo ferino
sguardo col mio sguardo ferino. Rise
ad alta voce. E gettò contro a me
un ciuffo d’erba e un pugno d’aurea sabbia.
Poi con un balzo risalì. Scomparve,
galoppando al di là del terrapieno.
La inseguii di lontano. Mi graffiavano
le felci il volto. Insanguinai le dita,
mi lacerai il vestito. Ma correvo
urlando come belva e la chiamavo:
e la mia voce era suon di corno.
Ma lei, delineando un’orma lieve
sulle dune friabili, scomparve
fra le trame notturne degli abeti.
Ora io giaccio anelando sulla sabbia.
Ma ancora nelle mie rosse pupille
ella corre, ella ride: ed i capelli
ridono ancora, ridono le gambe,
ride al vento la veste nella corsa.
Io giaccio e penso: oggi sarà notte.
Domani sarà notte. Rimarrò
qui finché non l’agguanti come fiera
o col suono di corno della voce
non le tagli la fuga. E non dirò:
“Mia. Sei mia”. Purché lei mi dica:
“Son tua! son tua!”.

Aleksandr Blok, “Sulle dune”

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Invece di parole

“Il mio amore ha una veste bianca e lunghissima
di sonno, d’insonnia e di nozze,
va a sedersi la sera a un tavolino
sopra cui posa un pettine, due fiale,
una spazzola, invece di parole.
Dagli abissi della chioma pesca
molte forcine e poi le mette in bocca, invece di parole.
La scompiglio, lei si pettina,
nuovamente scompiglio. Poi che resta?
Lei si addormenta invece di parole,
e il suo sonno ormai mi conosce,
scodinzola con la sua coda di sogni lanosi,
il suo ventre s’è impregnato facilmente
di tutte le funeste profezie
della fine dei tempi.
Io la sveglio: siamo gli umili
strumenti di un difficile amore.”

Yehuda Amichai, “Invece di parole”, da “E non per ricordare” (1971)

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Frida Kahlo, “L’amoroso abbraccio dell’universo, la terra (Messico), io, Diego e il signor Xolotl”, 1949  

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Nella saliva…

“Nella saliva
nella carta
nell’eclisse.
In tutte le linee
in tutti i colori
in tutti i boccali
nel mio petto
fuori, dentro
nel calamaio – nelle difficoltà a scrivere
nello stupore dei miei occhi
nelle ultime lune del sole
(il sole non ha lune) in tutto.
Dire “in tutto” è stupido e magnifico.
Diego nelle mie urine – Diego nella mia bocca
nel mio cuore – nella mia follia – nel mio sogno
nella carta assorbente – nella punta della penna
nelle matite – nei paesaggi – nel cibo – nel metallo
nell’immaginazione.
Nelle malattie – nelle rotture – nei suoi pretesti
nei suoi occhi – nella sua bocca
nelle sue menzogne.”

Frida Kahlo

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Se mi ami, amami intera
“Se mi ami, amami intera,
non per zone di luce o ombra…
Se mi ami, amami nera
e bianca. E grigia, e verde, e bionda,
e bruna…
Amami di giorno
amami di notte…
E all’alba alla finestra aperta!
Se mi ami, non mi ritagliare:
Amami tutta… O non amarmi!”

Dulce María Loynaz (poetessa cubana), “Se mi ami, amami intera”

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Klaudia Tatuaz art

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Non somigliarmi

“Non somigliarmi,
non avere, con me, niente in comune,
lascia che sia, ogni volta,
l’imprecisa dolcezza di un saluto
a condurre i tuoi passi
e quel tremore trepido che guarda
il niente per cui è dato accompagnarsi.”
Francesco Scarabicchi, “Non somigliarmi”, da “Il prato bianco”
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Tu

“Chi ha nostalgia di te
quando io ho nostalgia di te?
Chi ti accarezza
quando la mia mano ti cerca?
Sono io o sono
i resti della mia gioventù?
Sono io o sono
gli inizi della mia vecchiaia?
È il mio coraggio di vivere
o la mia paura di morire?
E perché la mia nostalgia
dovrebbe dirti qualcosa?
E che cosa ti dà la mia esperienza
che mi ha solo reso triste?
E che cosa ti dànno le mie poesie
in cui dico soltanto
come è diventato difficile
essere o dare?
Eppure brilla nel giardino
il sole nel vento prima della pioggia
e profuma l’erba che muore
e il ligustro
e io ti guardo e
la mia mano tastando ti cerca.”

Erich Fried, “Tu”

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E’ quel che è

“È assurdo
dice la ragione
È quel che è
dice l’amore
È infelicità
dice il calcolo
Non è altro che dolore
dice la paura
È vano
dice il giudizio
È quel che è
dice l’amore
È ridicolo
dice l’orgoglio
È avventato
dice la prudenza
È impossibile
dice l’esperienza
È quel che è
dice l’amore”
Erich Fried, “E’ quel che è”
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    Jak Vettriano, “The Singing Butler”, 1992
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Mi fanno male le nuvole nel petto

“Mi fanno male le nuvole nel petto

le finestre rotte degli occhi

il cuore che ha luce dura

di stazioni, viavai,

(lo sai,

lo sai)

amare è l’occupazione

di chi non ha paura”

 

Davide Rondoni, da “La natura del bastardo”

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Credo in te

 

“Credo in te come al profumo
Come al cantar d’uccello nelle tenebre
Credo in te come al mare
Credo in te come alla rosa schiusa a mezzanotte
Credo in te sola in faccia al mondo
Là dove il sole si fa neve e l’aria fuoco
Io credo in te sola all’orizzonte dell’uomo
Ti credo a perdifiato
Alla vertigine e allo stordimento
Alla caduta e all’annientamento
Io credo in te come alla vita
Si crede nel momento della morte
Io credo in te senza tenermi ad alcun sostegno
Io credo in te nell’assenza e nel sonno
O mia magnolia d’insonnia
Io credo in te nel frastuono e nel silenzio
Io credo in te nel dolore
Io credo in te come alla prova dell’esistenza
Come allo strazio dell’addio
Io credo in te più della mia stessa ombra
Io credo in te come l’acqua nera dai riflessi d’oro
Come la polvere al piede nudo
Io credo in te come alla pioggia il deserto
Come la solitudine all’abbraccio
Come all’orecchio crede il grido.”

 

Louis Aragon, “Credo in te”

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L’amore non basta per amare

 

“Non si può amare solo con la voglia di amare.
Con il voler amare.
Con il voler restare.
Con il crederci.
Con io lo amo.
Perché poi non basta.
Non regge.
L’amore non basta per amare.
Bisogna che ci sia la storia, per amare.
La vita, per amare.
Non bastano le parole, per amare.
Neanche quelle giuste, bastano.
Neanche le parole d’amore bastano per amare.
Dobbiamo fare una passeggiata.
Dobbiamo cenare insieme.
Leggere un giornale.
Andare a fare la spesa.
Fare una cosa insieme.
Che sia nostra. Che siamo noi.

Io e te.
Non basta fare sesso per fare l’amore.
Anzi.
Ci vogliono i baci.
Ci vuole anche solo stare con la fronte appoggiata alla fronte.
Per amare ci vuole una storia. Da vivere. Vissuta.
Ci vuole tempo.
Non puoi non esserci mai.
Per amare ci vuole una storia. Da fare e raccontarsi.
Non puoi non aver voglia di parlare.
Non puoi parlare sempre.
Una storia da fare insieme.
Non puoi trovare tutto pronto.
Arrivare quando tutto è fatto.
Io amo solo chi fa la giornata con me.
Chi fa la vita con me.
Chi fa la spesa con me.
Chi fa una passeggiata con me.
Chi fa tempo con me.
Chi fa storia con me.
Non amo se no.
Amo solo chi sa stare tutto con me.
Chi parla con me.
Chi torna da me.
Chi chiama per non dire niente.
Chi mi bacia la testa, tra i capelli, passandomi vicino.
Chi mi porta i capelli indietro.
Io non le voglio le romanticherie.
Voglio le cose che sono nella mia giornata.
Voglio che sono con te.
Fatte con te.
Raccontate a te.
E poi ti racconto le cose solo mie.
Che faccio io.
Entro e esco dalla tua vita.
E tu dalla mia.
Come l’ago che cuce .
Come l’ago che per unire, entra e esce.”

 

Mauro Leonardi, “L’amore non basta per amare”

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Fra me e te

 

“Fra me e te
voglio piantare un frutteto.
Con le tue braccia intreccerò una vite
e quando la pioggia verrà
non ti lascerò sola.
Appena il sole sarà alto
ti canterò nelle vene.
Ogni sera verrò a bere
ai tuoi grappoli,
poi l’alba verrà.”

Rocco Scotellaro, “Fra me e te”

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Giovanni Segantini,  “L’amore alle fonti della vita (La fontana della giovinezza)“,1896 (dettaglio)

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Anche tu sei l’amore

 

“Anche tu sei l’amore.
Sei di sangue e di terra
come gli altri. Cammini
come chi non si stacca
dalla porta di casa.
Guardi come chi attende
e non vede. Sei terra
che dolora e che tace.

Hai sussulti e stanchezze,
hai parole – cammini
in attesa. L’amore
è il tuo sangue – non altro.”

 

Cesare Pavese, “Anche tu sei l’amore”

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Lo spiraglio dell’alba

“Lo spiraglio dell’alba
respira con la tua bocca
in fondo alle vie vuote.
Luce grigia i tuoi occhi,
dolci gocce dell’alba
sulle colline scure.
Il tuo passo e il tuo fiato
come il vento dell’alba
sommergono le case.
La città abbrividisce,
odorano le pietre ‒
sei la vita, il risveglio.

Stella sperduta
nella luce dell’alba,
cigolio della brezza,
tepore, respiro ‒
è finita la notte.

Sei la luce e il mattino.”

 

Cesare Pavese

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Poesia dell’amore inevitabile

 

“Tu arrivasti alla mia anima quando era dimenticata:
le porte divelte, le sedie nel canale,
le tende cadute, il letto sradicato,
la tristezza curata come un vaso di fiori.
Con le tue piccole mani di donna laboriosa
ponesti tutte le cose in fila:
lo sguardo al suo posto, al suo posto la rosa,
al suo posto la vita, al suo posto la stuoia.
Lavasti le pareti con uno straccio bagnato
nella tua chiara allegria, nella tua fresca dolcezza,
collocasti la radio nel luogo appropriato
e pulisti la stanza di sangue e spazzatura.
Ordinasti tutti i libri dispersi
e stendesti il letto nel tuo enorme sguardo,
accendesti le povere lampade spente
e lucidasti i pavimenti di legno consumato.
Fosti d’un tratto enorme, ampia, potente, forte:
sudasti grandi fatiche lavando arnesi vecchi.
Apprendesti che nella mia anima d’ avanzo era la morte
e la tirasti all’ orto con pezzi di specchio.”

 

Jorge Debravo, “Poesia dell’amore inevitabile”

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Il tuo cuore lo porto con me

 

“Il tuo cuore lo porto con me
Lo porto nel mio
Non me ne divido mai. Dove vado io, vieni anche tu, mia amata; qualsiasi cosa sia fatta da me, la fai anche tu, mia cara.
Non temo il fato perché il mio fato sei tu, mia dolce.
Non voglio il mondo, perché il mio, il più bello, il più vero sei tu. Questo è il nostro segreto profondo radice di tutte le radici germoglio di tutti i germogli e cielo dei cieli di un albero chiamato vita, che cresce più alto di quanto l’anima spera, e la mente nasconde. Questa è la meraviglia che le stelle separa.
Il tuo cuore lo porto con me, lo porto nel mio.”
Edward Estlin Cummings, “Il tuo cuore lo porto con me”
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Amore

“Ho perso l’andatura trascurata,
ho perso la mia risata presuntuosa
e il silenzio mite dell’anima,
e la freschezza nello sguardo distratto,
e di notte il sonno.

Ho perso i sentieri che mi attiravano,
la ribellione, e la libertà,
l’imprevisto, e il suono dei canti –
ho perso tutto, ma sono la più ricca
la più prodiga del mondo.”

 

Blaga Dimitrova, “Amore”, da “A domani. Versi” (1959)

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 Max Beckmann, “Siesta”, 1924-1934

 

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Ti lascio passeggiare un po’ tra i miei pensieri

 

“Ti lascio passeggiare un po’ tra i miei pensieri
non farti spaventare dal disordine
fa parte dell’arredamento.
Troverai qualche soldatino di guardia
fanno tanto i duri, ma in fondo vogliono solo una carezza.
Ti lasceranno entrare.
Paura e ansia non le guardare
sono due prime donne
non aspettano altro che farsi belle agli occhi delle novità
prosegui pure avanti, hanno poco da raccontarti.
Appena superata la curva della speranza
diciamo tra incoscienza e (s)ragione
lì potrai affacciarti ai miei desideri.
Vedi quelli in corsivo ?
Ecco, per loro ho scelto un vestito elegante.
Di quelli proibiti ho perso la chiave.
Ma non sono in prigione.
Già che ci sei, liberami un po’ di follia.
La notte urla e straparla
non mi lascia riposare.
La malinconia è sempre a leggere in disparte
un po’ per scelta un po’ per arte.
Sì, insomma, non cercare di fare ordine
l’ultima volta mi ci sono voluti due anni di analisi
per risistemare.
Puoi fermarti quanto vuoi, o restare a dormire
ma ricordati di baciarmi gli occhi
se deciderai di uscire.”

 

Andrew Faber (pseudonimo di Andrea Zorretta), “Ti lascio passeggiare un po’ tra i miei pensieri”

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Ricongiungimento

 

“Se io capissi
quel che vuol dire
– non vederti più –
credo che la mia vita
qui – finirebbe.

Ma per me la terra
è soltanto la zolla che calpesto
e l’altra
che calpesti tu:
il resto
è aria
in cui – zattere sciolte – navighiamo
a incontrarci.

Nel cielo limpido infatti
sorgono a volte piccole nubi,
fili di lana
o piume – distanti –
e chi guarda di lì a pochi istanti
vede una nuvola sola
che si allontana.”

 

Antonia Pozzi, “Ricongiungimento”

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“Appoggiami la testa sulla spalla:
ch’io ti accarezzi con un gesto lento,
come se la mia mano accompagnasse
una lunga invisibile gugliata.
Non sul tuo capo solo: su ogni fronte
che dolga di tormento e di stanchezza
scendono queste mie carezze cieche,
come foglie ingiallite d’autunno
in una pozza che riflette il cielo.”
Antonia Pozzi, da “L’età delle parole”, 2016

 

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Yves Pires, “Il bacio”

 

 

 

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L’ultimo suono del tuo addio

 

“L’ultimo suono del tuo addio,
mi disse che non sapevo nulla
e che era giunto
il tempo necessario
di imparare i perché della materia.
Così, tra pietra e pietra
seppi che sommare è unire
e che sottrarre ci lascia
soli e vuoti.
Che i colori riflettono
l’ingenua volontà dell’occhio.
Che i solfeggi e i sol
implorano la fame dell’udito.
Che le strade e la polvere
sono la ragione dei passi.
Che la strada più breve
fra due punti
è il cerchio che li unisce
in un abbraccio sorpreso.
Che due più due
può essere un brano di Vivaldi.
Che i geni amabili
abitano le bottiglie del buon vino.
Con tutto questo già appreso
tornai a disfare l’eco del tuo addio
e al suo posto palpitante a scrivere
La Più Bella Storia d’Amore
ma, come dice l’adagio
non si finisce mai
di imparare e di dubitare.
E così, ancora una volta
tanto facilmente come nasce una rosa
o si morde la coda una stella fugace,
seppi che la mia opera era stata scritta
perché La Più Bella Storia d’Amore
è possibile solo
nella serena e inquietante
calligrafia dei tuoi occhi.”

 

Luis Sepúlveda, “L’ultimo suono del tuo addio”

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Ciò che tu sei

 

“Ciò che tu sei
mi distrae da ciò che dici.
Lanci parole veloci
inghirlandate di risa,
e m’inviti ad andare
dove mi vorranno condurre.
Non ti do retta, non le seguo:
sto guardando
le labbra dove sono nate.
Guardi, improvvisa, lontano.
Fissi lo sguardo lì, su qualcosa,
non so che, e scatta subito
a capirla la tua anima
affilata, di saetta.
Io non guardo dove guardi:
sto vedendo te che guardi.
E quando tu desideri qualcosa
non penso a ciò che vuoi,
e non lo invidio: non importa.
Oggi lo vuoi, lo desideri;
domani lo scorderai
per un desiderio nuovo.
No. Ti attendo più oltre
dei limiti, dei termini.
In ciò che non deve mutare
rimango fermo ad amarti, nel puro
atto del tuo desiderio.
E non desidero più altro
che vedere te che ami.”

Pedro Salinas, “Ciò che tu sei”, da “La voce a te dovuta”

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 William John Hennessy, “L’orgoglio di Digione”, 1879

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Tu vivi sempre nei tuoi atti

“Tu vivi sempre nei tuoi atti.
Con la punta delle dita
sfiori il mondo, gli strappi
aurore, trionfi, colori,
allegrie: è la tua musica.
La vita è ciò che tu suoni.

Dai tuoi occhi solamente
emana la luce che guida
i tuoi passi. Cammini
fra ciò che vedi. Soltanto.

E se un dubbio ti fa cenno
a diecimila chilometri,
abbandoni tutto, ti lanci
su prore, su ali,
sei subito lì; con i baci,
coi denti lo laceri:
non è più dubbio.
Tu mai puoi dubitare.

Perché tu hai capovolto
i misteri. E i tuoi enigmi,
ciò che mai potrai capire,
sono le cose più chiare:
la sabbia dove ti stendi,
il battito del tuo orologio
e il tenero corpo rosato
che nel tuo specchio ritrovi
ogni giorno al risveglio,
ed è il tuo. I prodigi
che sono già decifrati.

E mai ti sei sbagliata,
solo una volta, una notte
che t’invaghisti di un’ombra
— l’unica che ti è piaciuta —.
Un’ombra pareva.
E volesti abbracciarla.
Ed ero io.”

Pedro Salinas, da “La voce a te dovuta”

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L’anima innamorata

“Amami,
e nel ricordo prendi la fionda antica
e battimi i capelli.
Mi vedrai crescere nera
come la foresta dell’Amazzonia.
Ma se scosti i miei rami
vedrai nella mia lingua
uccelli variopinti
e paradisi terrestri.
Allora non pregare il Signore,
perché la dovizia del mio canto
io l’ho rubata a lui
in un giorno di distrazione.”

Alda Merini, “L’anima innamorata”

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Prima di venire

“Prima di venire
Portami tre rose rosse
Prima di venire
Portami un grosso ditale
Perché devo ricucirmi il cuore
E portami una lunga pazienza
Grande come un telo d’amore
Prima di venire
Dai un calcio al muro di fronte
Perché li dentro c’è la spia
Che ha guardato in faccia il mio amore
Prima di venire
Socchiudi piano la porta
E se io sto piangendo
Chiama i violini migliori
Prima di venire
Dimmi che sei già andato via
Perché io mi spaventerei
E prima di andare via
Smetti di salutarmi
Perché a lungo io non vivrei.”

Alda Merini, “Prima di venire”

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Appartenere a qualcuno 

“Appartenere a qualcuno significa entrare
con la propria idea nell’idea di
lui o di lei e
farne un sospiro di felicità.

A volte
succedono cose strane, un incontro,
un sospiro, un alito di vento che
suggerisce
nuove avventure della mente e del cuore. Il
resto
arriva da solo, nell’intimità dei misteri
del mondo.

Ieri
sera mi hai portato due quadri, anzi tre e due giravolte.

Mi hai
detto: “Da quando sei grassa io ti amo di più”. Invece io mi
nascondevo
e scappavo di qua e di là come l’acqua. Dio mio, spiegami amore
come si fa
ad amare la carne senza baciarne l’anima.”

 

Alda Merini, da “L’anima innamorata”

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Ieri sera era amore

 

“Ieri sera era amore,
io e te nella vita
fuggitivi e fuggiaschi
con un bacio e una bocca
come in un quadro astratto:
io e te innamorati
stupendamente accanto.
Io ti ho gemmato e l’ho detto:
ma questa mia emozione
si è spenta nelle parole”.

Alda Merini

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Giuliano Grittini

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Accarezzami

“Accarezzami, amore ma come il sole
che tocca la dolce fronte della luna.
Non venirmi a molestare anche tu
con quelle sciocche ricerche
sulle tracce del divino.
Dio arriverà all’alba
se io sarò tra le tue braccia.”

Alda Merini

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Perché era amore solamente

 

“Cademmo nell’abbraccio,
ci separammo dal mondo,
non sapevamo se eravamo due corpi
o due anime
o un corpo e un’anima
o se semplicemente
non eravamo
perché era amore solamente
e poi solamente fu
la marea d’argento del nulla.”

 

Wislawa Szymborska, “Perché era amore solamente”

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Non capirsi è terribile

 

“Non capirsi è terribile
non capirsi e abbracciarsi,
ma benché sembri strano,
è altrettanto terribile
capirsi totalmente.

In un modo o nell’altro ci feriamo.
Ed io, precocemente illuminato,
la tenera tua anima non voglio
mortificare con l’incomprensione,
né con la comprensione uccidere.”

 

Evgenij Aleksandrovič Evtušenko, da “Poesie d’amore”

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Desideri semplici

 

“Oggi vorrei
che le tue dita
scrivessero
favole sui miei capelli
e
vorrei baci
sulla spalla
coccole
che mi dicessi
le più grandi verità
o
le più grandi menzogne
che mi dicessi per esempio
che sono la donna più bella del mondo
che mi ami tanto
cose così semplici
banali,
che seguissi il profilo del mio viso
che indugiassi a guardarmi negli occhi
come se la vita intera dipendesse
dal loro sorriso
che solleva tutti i gabbiani fra la spuma.
Così vorrei che percorressi il mio corpo
sentiero alberato e fragrante,
come tu fossi la prima pioggia dell’inverno
che si lascia cadere adagio
e poi va scrosciando.
Desidero cose
come
una grande onda di tenerezza
che mi travolga
un suono di conchiglia
un branco di pesci nella bocca
qualcosa così
fragile e nudo
come
un fiore in procinto di affidarsi
alla prima luce del mattino
o
semplicemente
un seme
un albero
un po’ d’erba
una carezza
che mi faccia dimenticare
lo scorrere del tempo
la guerra
il pericolo della morte.”

 

Gioconda Belli, “Desideri semplici”

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   Ferdinand Waldmuller, ”Gli innamorati spiati”

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L’abbraccio

“Tu dormi accanto a me così io mi inchino
e accostato al tuo viso prendo sonno
come fa lo stoppino
da uno stoppino che gli passa il fuoco.
E i due lumini stanno
mentre la fiamma passa e il sonno fila.
Ma mentre fila vibra
la caldaia nelle cantine.
Laggiù si brucia una natura fossile,
là in fondo arde la Preistoria, morte
torbe sommerse, fermentate,
avvampano nel mio termosifone.
In una buia aureola di petrolio
la cameretta è un nido riscaldato
da depositi organici, da roghi, da liquami.
E noi, stoppini, siamo le due lingue
di quell’unica torcia paleozoica.”
Valerio Magrelli, “L’abbraccio”, da “Esercizi di tiptologia”
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Fulgida stella
“Fulgida stella, come tu lo sei
fermo foss’io, però non in solingo
splendore alto sospeso nella notte
con rimosse le palpebre in eterno
a sorvegliare come paziente
ed insonne Romito di natura
le mobili acque in loro puro ufficio
sacerdotale di lavacro intorno
ai lidi umani della terra, oppure
guardar la molle maschera di neve
quando appena coprì monti e pianure.
No, – eppure sempre fermo, sempre senza
mutamento sul vago seno in fiore
dell’amor mio, come guanciale; sempre
sentirne il su e giù soave d’onda, sempre
desto in un dolce eccitamento
a udire sempre sempre il suo respiro
attenuato, e così viver sempre,
– o se no, venir meno nella morte”
John Keats, “Fulgida stella”

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Senza di te

“Non posso esistere senza di te.
Mi dimentico di tutto tranne che di rivederti:
La mia vita sembra che si arresti lì,
Non vedo più avanti.
Mi hai assorbito.
In questo momento ho la sensazione
Come di dissolvermi:
Sarei estremamente triste
Senza la speranza di rivederti presto.
Avrei paura a staccarmi da te.
Mi hai rapito via l’anima con un potere
Cui non posso resistere;
Eppure potei resistere finché non ti vidi;
E anche dopo averti veduta
Mi sforzai spesso di ragionare
Contro le ragioni del mio amore.
Ora non ne sono più capace.
Sarebbe una pena troppo grande.
Il mio amore è egoista.
Non posso respirare senza di te.”

 

John Keats, “Senza di te”
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Corona

“L’autunno mi bruca dalla mano la sua foglia: siamo amici.
Noi sgusciamo il tempo dalle noci e gli apprendiamo a camminare:
lui ritorna nel guscio.

Nello specchio è domenica,
nel sogno si dorme,
la bocca fa profezia.

Il mio occhio scende al sesso dell’amata:
noi ci guardiamo,
noi ci diciamo cose oscure,
noi ci amiamo come papavero e memoria,
noi dormiamo come vino nelle conchiglie,
come il mare nel raggio sanguigno della luna.

Noi stiamo allacciati alla finestra, dalla strada ci guardano:
è tempo che si sappia!
E’ tempo che la pietra accetti di fiorire,
che l’affanno abbia un cuore che batte.
E’ tempo che sia tempo.

E’ tempo.”

Paul Celan, “Corona”, da “Papavero e memoria”

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Penso a come dire questa fragilità

“Penso a come dire questa fragilità
che è guardarti,
stare insieme a cose come bottoni o spille,
come le tue dita,
i tuoi capelli lunghi marrone.

Ma d’aria siamo quasi,
in tutte le stanze,
dove ci fermiamo davanti a noi,
un momento,
con la paura che ci ha assottigliati
in un sorriso,
dopo la paura in ogni mano,
o braccio, passo,
che ogni mano,
o braccio, passo,
non ci siano.”

Mario Benedetti

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Conciliazione

“Cadrà una grande stella nel mio grembo…
Vogliamo vegliare la notte,
pregare nelle lingue
che come arpe sono intagliate.
Vogliamo conciliarci la notte,
tanto trabocca Dio.
I nostri cuori sono bambini
che dolci di stanchezza vorrebbero riposare.
E le nostre labbra vogliono baciarsi,
che cosa temi?
Non confina il mio cuore col tuo,
sempre il tuo sangue mi colora le guance in rosso.
Vogliamo conciliarci la notte,
se ci abbracciamo, non moriamo.
Cadrà una grande stella nel mio grembo”
Else Lasker-Schüler, “Conciliazione”
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Egli desidera il tessuto del cielo
“Incantami
lasciami il colore della luce
confuso col sonno all’alba
lasciami un odore buono
come la rugiada che si posa
o il sapore della pelle sulla pelle
l’incanto della notte
quando la preghiera ricongiunge
ogni corpo al proprio dio
lasciami del mare il canto
il latte della luna nella bocca
calmerà la fame
ed io andrò incontro a te
che cammini sulle acque
e segni il limite dell’infinito
andrò, seguendo il passo degli alberi
le orme dei lupi e il senso del silenzio
so che è incanto
posare il cuore accanto al tuo”
Mariangela Ruggiu
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   Marc Chagall, “Le tre candele”, 1938-40

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I tuoi occhi mi toccano

 

“Con te io sono giovane
Quando laggiù gli alberi minacciano
E il cielo vanisce in lontananza
I tuoi occhi mi toccano

Quando ogni passo si perde sull’erba
Quando ogni passo sfiora le acque
Quando le onde mi fervono in testa
E dall’azzurro qualcuno mi chiama

Con te io sono giovane
Cadono i miei anni come foglie
E qualcuno colora le mie tele
Allora esse brillano di te

E sul tuo volto il sorriso è radioso
Più chiaro assai delle nubi più chiare
Allora io corro dove sei
Dove mi pensi e dove mi attendi.”

Marc Chagall, “I tuoi occhi mi toccano”, da “Nuove poesie d’amore”

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Se avessi il drappo ricamato del cielo
“Se avessi il drappo ricamato del cielo,
Intessuto dell’oro e dell’argento e della luce,
I drappi dai colori chiari e scuri del giorno e della notte
Dai mezzi colori dell’alba e del tramonto,
Stenderei quei drappi sotto i tuoi piedi:
Invece, essendo povero, ho soltanto sogni;
E i miei sogni ho steso sotto i tuoi piedi;
Cammina leggera, perché cammini sui miei sogni.”

William Butler Yeats, “Egli desidera il tessuto del cielo”, 1899

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Eccesso d’amore

“Non mi spaventa che i giorni siano uguali.
Che mia sarà la firma di crisi personali.
Che il buio dentro me mi assuma a tempo pieno.
Che addenserò il caffè con l’odio e col veleno.

No, non mi spaventa che il solo nutrimento
saranno le carcasse di un vecchio sentimento.
Che placherò la sete col piombo liquefatto.
Che il letto resti intatto. Logoro, disfatto.

Quel che mi spaventa è l’eccesso che ho d’amore
che straripa dal petto e brucia nella gola
cogliendomi di notte in un bagno di sudore.

Quel che mi spaventa è non dirti una parola
quando sento ancora esplodermi nel cuore
lo stormo di aquiloni che piange mentre vola.”

Inumi Laconico (I poeti del Trullo), “Eccesso d’amore”

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L’orizzonte mi insegnò il garbo delle nuvole

“L’orizzonte mi insegnò il garbo delle nuvole
eppure ieri vidi
una nuvola che offuscava il suo volto
senza chiederle scusa.

 Prendi il mio sogno, ricamalo e indossalo
come una veste.

Nelle mie mani,
hai fatto dormire l’ieri
che mi fa vagare, che gira con fragore
nelle carrozze del sole,
nel gabbiano che vola dai miei occhi.

 Quando giunse il suo amore
il mio cuore era vecchio
e il mio corpo ancora nell’infanzia dei sogni.

Passione assurda che cerco
di conciliare dentro di me.”

Adonis (pseudonimo di Alī Aḥmad Saʿīd Isbir, poeta e saggista siriano)

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Gli eterni tre

 

“Ci sono due uomini nel mondo, che
costantemente m’incrociano la strada,
l’uno è colui che amo,
l’altro colui che mi ama.
L’uno è un sogno notturno
e abita nella mia mente buia,
l’altro sta alla porta del mio cuore
ed io mai gli apro.
L’uno mi ha dato un primaverile soffio
di felicità che subito dispariva,
l’altro mi ha dato tutta la sua vita
e non è stato mai ripagato di un’ora.
L’uno freme del canto del sangue
dove l’amore è puro e libero,
l’altro ha a che fare con il triste giorno
in cui affogano i sogni.
Ogni donna si trova tra questi due,
innamorata e amata e pura…
una volta ogni cent’anni può succedere
che essi si fondano in uno.”
Tove Ditlevsen, “Gli eterni tre”
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     Emile Signol, ”Il rapimento di psiche”
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Questo amore

 

“Questo amore
Così violento
Così fragile
Così tenero
Così disperato
Questo amore
Bello come il giorno
E cattivo come il tempo
Quando il tempo è cattivo
Questo amore cosi vero
Questo amore così bello
Così felice
Così gaio
E così beffardo
Tremante di paura come un bambino al buio
E così sicuro di sé
Come un uomo tranquillo nel cuore della notte
Questo amore che impauriva gli altri
Che li faceva parlare
Che li faceva impallidire
Questo amore spiato
Perché noi lo spiavamo
Perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato
Perché noi l’abbiamo perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato
Questo amore tutto intero
Ancora così vivo
E tutto soleggiato
E’ tuo
E’ mio
E stato quel che è stato
Questa cosa sempre nuova
E che non è mai cambiata
Vera come una pianta
Tremante come un uccello
Calda e viva come l’estate
Noi possiamo tutti e due
Andare e ritornare
Noi possiamo dimenticare
E quindi riaddormentarci
Risvegliarci soffrire invecchiare
Addormentarci ancora
Sognare la morte
Svegliarci sorridere e ridere
E ringiovanire
Il nostro amore è là
Testardo come un asino
Vivo come il desiderio
Crudele come la memoria
Sciocco come i rimpianti
Tenero come il ricordo
Freddo come il marmo
Bello come il giorno
Fragile come un bambino
Ci guarda sorridendo
E ci parla senza dir nulla
E io tremante l’ascolto
E grido
Grido per te
Grido per me
Ti supplico
Per te per me per tutti coloro che si amano
E che si sono amati
Sì io gli grido
Per te per me e per tutti gli altri
Che non conosco
Fermati là
Là dove sei
Là dove sei stato altre volte
Fermati
Non muoverti
Non andartene
Noi che siamo amati
Noi ti abbiamo dimenticato
Tu non dimenticarci
Non avevamo che te sulla terra
Non lasciarci diventare gelidi
Anche se molto lontano sempre
E non importa dove
Dacci un segno di vita
Molto più tardi ai margini di un bosco
Nella foresta della memoria
Alzati subito
Tendici la mano
E salvaci.”

Jacques Prevert, “Questo amore”

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Poesia Selvaggia

“Amami
senza preoccupazioni
e perditi nelle linee della mia mano.
Amami per una settimana, per qualche giorno
o solo per qualche ora…
non mi interessa l’eternità.
Io sono come ottobre…
il mese del vento, della pioggia, del freddo.
Io sono ottobre…allora, abbattiti
come fulmine sul mio corpo.
Amami con tutta la brutalità dei tartari,
con il bruciante calore della giungla
e la ferocia della pioggia.
Non lasciare nulla, polverizza tutto,
non farti mai domare!
Tutte le leggi della civiltà sono cadute sulle tue labbra…
Amami come un terremoto,
come una morte inattesa,
e lascia che i tuoi seni intrisi di fuochi e fulmini
mi aggrediscano come un lupo feroce e affamato…
lascia che mi azzannino e mi percuotano
come la pioggia sferza la riva delle isole.
Sono un uomo senza destino,
sii tu, allora, il mio destino,
e mantienimi sul tuo seno come un’incisione sulla pietra…
Amami…e non chiedermi come…
Non balbettare per la timidezza…e non aver paura.
Quando l’amore ci percuoterà,
non ci sarà né “come” e né “perché”.
Amami senza recriminare,
la guaina protesta se riceve la spada?
Sii il mio amore e il mio porto, la mia patria e il mio esilio,
sii siccità e diluvio,
sii la dolcezza e la durezza.
Amami in mille e mille modi,
ma non ripeterti come l’estate…io detesto l’estate.
Amami…e dimmelo!
Detesto essere amato senza voce,
detesto seppellire l’amore in una tomba di silenzio.
Amami…
lontano dalla terra della repressione,
lontano dalla nostra città sazia di morte,
lontano dalla sua faziosità
e dalla sua rigidità.
Amami…lontano dalla nostra città,
perché l’amore non la visita da quando esiste,
e Dio lì non è più tornato.
Amami…
non temere l’acqua ai tuoi piedi, mia signora,
non sarai battezzata donna
se nell’acqua il tuo corpo non si immerge
e se non bagnano i tuoi capelli.
Il tuo seno è  un’anatra bianca…non può vivere senz’acqua.
Amami con la mia purezza e i miei difetti,
con la mia bonaccia e la mia tempesta.
Mia corolla di fiori, mia foresta d’henné, proteggimi.
Spogliati…
e lascia cadere la pioggia sulla mia sete.
Consumati come cera nella mia bocca
e impastati con ogni mia parte…
Spogliati…
e separa le mie labbra…come fece Mosè nel Sinai.”

Nizar Qabbani, “Poesia Selvaggia”

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Ascolta, o mio amato!

“Ascolta, o mio amato!
Tu sei la ragione dell’esistenza di questo mondo,
Tu sei il centro della circonferenza e ciò che essa comprende,
Tu sei la sua complessità e la sua semplicità,
Tu sei l’ordine disceso tra cielo e terra.
Non ho creato per te i sensi,
se non per essere Io l’oggetto delle tue percezioni.
E quando Mi realizzi, è te stesso che realizzi.
Non cercare però di realizzare Me attraverso te stesso;
Attraverso il Mio occhio vedrai Me e vedrai te stesso;
Attraverso i tuoi occhi non Mi vedrai”

Ibn Arabi

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Canzone del desiderio di giubilo

“Andremo per mari mai navigati
A pescare i rossi pesciolini dell’allegria.
Quando mi sentirai ridere, amore taciturno,
Crederai di ascoltare la musica dei miei braccialetti sottili.
O penserai che il vento, a cavalcioni sulla prua,
Si è messo a canticchiare una gioiosa canzone di marinai.
E nelle tue pupille erranti non si rifletterà ancora
La schiuma sconosciuta dei miei denti
Fra il corallo appena lavato delle labbra fresche.
Siccome non sai che so ridere, amore singhiozzante,
Rimarrai con gli occhi fissi sull’acqua.
A evocare uccelli di isole remote
O brevi canzoni chiare.
E lo stupore ti metterà in bocca
Il ronzio di tutte le parole mai dette
Quando capirai che ho gettato al porto del giubilo
La nostra notturna ebbrezza d’esser tristi.”
Juana de Ibarbourou, “Canzone del desiderio di giubilo”, da “La rosa de los vientos”, 1931
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Alla fine del divieto

“Vorrei averti qui
eppure non lo chiedo.
Unire i miei pensieri
così terrorizzati
ai tuoi, rassicuranti,
e ai baci affaticati
che un giorno arriveranno.
Alla fine del divieto.

Vorrei che mi stringessi
portando una promessa:
che tutta la distanza
che adesso ci tortura
diventi l’occasione,
la nascita, la cura
per questa ragazzina
in lotta con se stessa.

Vorrei addormentarmi
senza una parola
con solo il tuo respiro
che viene da lontano.
Tremare se la notte
chiedesse la mia mano.
Sentire il tuo silenzio
sussurrare – Non sei sola.

E invece sono sola
a tessere un lamento
e intreccio con il pianto
amare melodie.
E non mi salveranno
le inutili poesie
che tu non leggerai.
Le sta rubando il vento.”

Marta (I poeti der Trullo), “Alla fine del divieto”

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Non ho bisogno di te, ho voglia di te

“Non ho bisogno di te, ho voglia di te

Non ho bisogno di te, ho voglia di te.

Non ho spazi vuoti da riempire, ho spazi da condividere.

Non mi aspetto che tu mi renda felice,
desidero sorridere della tua gioia e farti sorridere della mia.

Non ti amo da morire, non sono tua e non sei mio.

Sono completa anche senza di te, sei perfetto anche senza di me.

Non morirò se andrai via, non smetterai di essere felice se andrò via.

Non ti carico della responsabilità della mia personale soddisfazione,
ti accolgo come specchio e messaggero, ti offro i miei occhi per indagare nei tuoi.

Non ti lego né mi lascio legare dal bisogno di essere amata, dalla paura dell’abbandono.

Io non sono sola senza di te, tu non sei perso senza di me.

Siamo due meravigliosi e preziosi universi, completi, perfetti,
che si incontrano per creare nuovi mondi.

Non chiuderò porte e finestre per tenerti accanto a me,
non ti permetterò di limitare il mio volo.

Onoro la tua libertà scegliendo ogni giorno la mia.”

Emanuela Pacifici

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   Alfonso Ponce de León, “Giovani e un pescatore”, 1936

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Ritorni dell’amore sulle sabbie
“Stamane, amore, abbiamo vent’anni.
Vanno volutamente piano, intrecciandosi,
le nostre ombre scalze per la strada
tra i giardini che oppongono agli azzurri
del mare i loro verdi.
Tu sei sempre un’apparizione,
sei la luce giunta una buia sera,
quando il giovane senza meta
dalla città ritarda, pensoso,
di proposito il suo ritorno a casa.
Tu sei sempre quella che al mio fianco
va cercando il segreto declivio delle dune,
il recondito pendio della sabbia,
il celato canneto che crea
cortine agli occhi marini del vento.
Là sei, là sono davanti a te, controllando
l’alta temperatura delle onde felici,
il cuore del mare ciecamente sorto,
morendo in frammenti di dolce sale
e di spume.
Poi, tutto ci guarda allegro, sulle rive.
I castelli in rovina sollevano i loro merli,
le alghe ci offrono corone e le vele,
preso il volo, vogliono cantare
al di sopra delle torri.
Stamane, amore, abbiamo vent’anni.”
Rafael Alberti
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Ti amo e ti amerò

“Ti amo e ti amerò
Ti amavo.
Ti amo.
Ti amerò.
Non basta la carne per amare.
Occorre questa parola.
Essa viene da lontano.
Viene dall’azzurro lontano dei cieli,
penetra ogni vivente,
scorre sotto la pelle dei viventi come un ruscello
sotterraneo d’amore puro.
Questa parola impregna ogni pagina
sacra, ma impregna pure le foglie
degli alberi, il pelo degli animali e
ogni granello di polvere
che vola nell’aria.
Si fa strada attraverso le parole
di guerra e di commercio.
Parole di rancore e di perdono.
Parole di gloria e di sconfitta.
Ti amavo ben prima che tu nascessi.
Ti amo di un amore eterno,
eternamente rivolto a te.
Ti amerò al di là della fine dei tempi,
in tutte le eternità.”

Christian Bobin

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Ad occhi chiusi

“E mentre dormi, e dura l’armistizio
fra l’anima ed il corpo suo sudario,
vorrei scenderti in petto, mescolarmi
allo stormo dei palpiti al comizio
dei sentimenti. In balìa, sorpreso
senza sigilli: stai come un diario
di bordo pieno d’isole e di venti,
come un albero offerto al plenilunio.
Terribile e indifeso (questo taglio
fra i cigli, fino all’anima…) E non oso
più decifrarti. Sacro
– simile a morte – il tuo riposo. Meglio
che incognite le sigle, che i cifrari
siano confusi. Meglio
ch’io seguiti ad amarti ad occhi chiusi.”

Fernanda Romagnoli, “Ad occhi chiusi”

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Sarò albero, se sarai suo fiore

“Sarò albero, se sarai suo fiore.
Se tu sarai rugiada io fiore sarò.
Sarò rugiada se tu sarai raggio di sole…
Mi basta che siamo una cosa sola.
Se, fanciulla, tu sarai il paradiso:
Allora io diventerò una stella,
Se, fanciulla, tu sarai l’inferno: (per
Unirci) io sarò dannato.”

Sandor Petofi (poeta e patriota ungherese)

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Amo in te

“Amo in te
l’avventura della nave che va verso il polo
amo in te
l’audacia dei giocatori delle grandi scoperte
amo in te le cose lontane
amo in te l’impossibile
entro nei tuoi occhi come in un bosco
pieno di sole
e sudato affamato infuriato
ho la passione del cacciatore
per mordere nella tua carne.
Amo in te l’impossibile
ma non la disperazione.”

Nazim Hikmet

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Il giorno si fa freddo verso sera

I

“Il giorno si fa freddo verso sera…
Bevi il calore dalla mia mano,
la mia mano ha lo stesso sangue della primavera.
Prendimi la mano, prendimi il braccio bianco,
prendi il desiderio delle mie spalle strette…
Sarebbe strano sentire,
una notte sola, una notte come questa,
il tuo capo pesante contro il mio petto.

II

Hai gettato la rosa rossa del tuo amore
nel mio grembo bianco −
io stringo nelle mani calde
la rosa rossa del tuo amore che appassisce presto…
O sovrano dallo sguardo freddo,
ricevo la corona che mi porgi
e reclina il mio capo sul cuore…

III

Ho visto il mio signore per la prima volta, oggi,
tremando, l’ho subito riconosciuto.
Ora sento già la sua mano pesante sul mio braccio leggero…
Dov’è la mia sonora risata di vergine,
la mia libertà di donna a testa alta?
Ora sento già la sua stretta salda intorno al mio corpo fremente,
ora odo il duro suono della realtà
di contro ai miei fragili, fragili sogni.

IV

Cercavi un fiore
e hai trovato un frutto.
Cercavi una sorgente
e hai trovato un mare.
Cercavi una donna
e hai trovato un’anima −
tu sei deluso.”

Edith Irene Södergran

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Sapessi quanto è duro tirare fino a sera

“Sapessi quanto è duro tirare fino a sera,
calcarla,
sospingersi in avanti,
pensar che restano ancora
rimasugli di giorno per non pensarti,
banchine bassoventre.

Sapessi com’è duro il coraggio a volte,
alzarsi,
affrontare il mattino
con tanta notte dentro,
sedersi alla finestra
a intrecciare distanze,
a vagheggiar telefoni,
consegne e rituali.

Sognarti,
nella simmetrica consuetudine
dell’abbraccio,
amarti senza affanni,
odiarti senza imbrogli,
temere che nulla resti,
sapere che nulla avremo,
guardarci senza quasi,
lasciarci senza ieri.

Sapessi come duole
stare senza te
a volte.”

Milton Fernández

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Maria Gamundi, “Amantes”, 1952

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Tienimi per mano

 

“Tienimi per mano al tramonto,
quando la luce del giorno si spegne e l’oscurità fa scivolare il suo drappo di stelle…
Tienila stretta quando non riesco a viverlo questo mondo imperfetto…
Tienimi per mano…
portami dove il tempo non esiste…
Tienila stretta nel difficile vivere.
Tienimi per mano…
nei giorni in cui mi sento disorientato…
cantami la canzone delle stelle dolce cantilena di voci respirate…
Tienimi la mano,
e stringila forte prima che l’insolente fato possa portarmi via da te…
Tienimi per mano e non lasciarmi andare…
mai…”

Hermann Hesse, “Tienimi per mano”

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Tutti tornano

“Tutti tornano
dove si sono sentiti amati.
In macchina. In bici.
In ginocchio.
In una casa. In una via.
In un paese. In un cimitero.
Tutti tornano
dove si sono sentiti amati.
Presto. Tardi. Fra tanto tempo.
Da piccoli. Da grandi. Da vecchi.
Ridendo. Piangendo. Impauriti.
Ma tutti tornano
dove si sono sentiti amati
In un ricordo. In un pensiero.
In un abbraccio. In un sogno.”

Linda Valentinis

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Non amate mai una creatura selvatica

“Non amate mai una creatura selvatica.
Si porta sempre a casa qualche bestiola selvatica.
Un falco con un’ala spezzata.
E una volta un gatto con una zampa rotta.
Ma non si può dare il proprio cuore a una creatura selvatica; più le si vuole bene più forte diventa.
Finché diventa abbastanza forte da scappare nei boschi.
O da volare su un albero.
Poi su un albero più alto.
Poi in cielo.
E sarà questa la vostra fine,  se vi concederete il lusso di amare una creatura selvatica.
Finirete per guardare il cielo.”

Truman Capote

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Mauro Brattini, “Incontro a N.Y. dimensione 11^” (polimaterico su tavole), 2014

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Esempi di amore
“Amo quello che unisce, l’ago, il filo,
ricuciono le labbra di una camicia, di una ferita.
Amo il sentiero di montagna inciso dai passi,
che collega villaggi, baite, rifugi, malghe.
Amo il piccolo schermo illuminato
dove posso vedere il tuo sbadiglio lontano
e la mappa del mondo alle tue spalle.
Amo la congiunzione e, perché congiunge,
la penna sul quaderno che riunisce
la mano che ti scrive agli occhi tuoi che sfiorano le righe.”
Erri de Luca, da “Raccolto diurno”, 2021
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Io ho anche combattuto per incontrarti ancora
“Io ho anche combattuto per incontrarti ancora
ho scartato albe,
impacchettato valigie
e abbandonato la mia casa
ho dimenticato i miei armadi,
lasciato i cassetti
in disordine
e sono uscita correndoti incontro
nulla importava:
percorrere cento chilometri,
fare la coda,
perdere i bagagli
nel viaggio
nulla importava:
la stagione,
l’ora del giorno,
il vestito che indossavo
la strada
mi mostrava sempre
il cammino delle tue mani.”
Ángela Ramos, da “Amori d’assalto”
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Il mio amore

“Colui che desidera un bacio colga un fiore
colui che cerca un abbraccio mieta un campo
colui che occulta un segreto accenda una candela
colui che piange una lacrima offra un cuore
colui che disegna un orizzonte si libri ancora più lontano
colui che raggiunge una stella conquisti il cielo
colui che tocca il fuoco venga trafitto dai fulmini
cantato dai pettirossi
e trasportato dai cardellini
e che le foglie dell’albero ne accarezzino l’ombra.
Perché il mio amore è più forte della mia sopportazione
e il suo popolo invade le mie parole
e le sue frontiere
sono la mia anima.”

Nada al Hajj (poetessa libanese), “Il mio amore”
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Sei ancora mio, perché non ti avevo
“Sei ancora mio, perché non ti avevo.
Quanto tempo ci vuole, senza di te,
perché le onde passino…
Quando inizia l’amore, c’è un momento
in cui Dio è sorpreso
di aver inventato qualcosa di così bello. Poi, il mondo
viene inaugurato
– tra splendore e gioia – di nuovo, e chiedere l’impossibile non è chiedere troppo.
Era in riva al mare, a mezzanotte.
Sapevo che Dio era lì,
e che la sabbia e tu
e il mare e io e la luna
eravamo Dio. E l’ho adorato.”
Antonio Gala (poeta spagnolo)
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Amami. Sono nera come la pece
“Amami. Sono nera come la pece,
una peccatrice, cieca, inerme.
Ma se non lo farai tu, chi altri
saprà amarmi? Volto
nel volto, fato confitto nel fato.
Guarda come brillano le stelle
nel cielo oscuro. Amami,
semplicemente, semplicemente
come il giorno ama la notte e la notte il giorno.
Non hai scelta:
sono pura come la notte – e tu
sei la mia pura luce.”
Marija Petrovych
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Secondo ipotico
“Se è per amore, ci verrà perdonato,
resteranno dopo di noi letti sfatti e città
iniziate, tende schiuse, oggetti appena
sfiorati e un po’ di stoviglie sporche. Se è per amore,
non resterà dopo di noi il vuoto, c’è una tale innata
discordanza grammaticale, il vuoto non può abitare
in luoghi segnati dai nostri corpi, usciranno
da essi piuttosto bambini, paesi e tutti i colori.
Se è per amore, dalla nostra parte ci saranno animali,
cani abbandonati. Loro ci perdoneranno l’immobilità
e lo sguardo perso in qualche punto in noi. Saremo sdraiati
e ci cammineranno sopra giorni e correnti.
Costruiranno su di noi una città e liberi elettroni si affolleranno su di noi, ronzeranno,
e i sogni, i sogni saranno nostri per sempre.”
Tomasz Różycki, “Secondo ipotico”, da “Antimondo”

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Federico Beltrán Masses, “Pola Negri and Rudolph Valentino”, 1924

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Te ofrezco (Ti offro)

“Con cosa posso trattenerti?
Ti offro strade difficili, tramonti disperati,
la luna di squallide periferie.
Ti offro le amarezze di un uomo
che ha guardato a lungo la triste luna.
Ti offro i miei antenati, i miei morti,
i fantasmi a cui i viventi hanno reso onore col marmo:
il padre di mio padre ucciso sulla frontiera di Buenos Aires,
due pallottole attraverso i suoi polmoni, barbuto e morto,
avvolto dai soldati nella pelle di una mucca;
il nonno di mia madre – appena ventiquattrenne –
a capo di un cambio di trecento uomini in Perù,
ora fantasmi su cavalli svaniti.
Ti offro qualsiasi intuizione sia
nei miei libri, qualsiasi virilità o vita umana.
Ti offro la lealtà di un uomo
che non è mai stato leale.
Ti offro quel nocciolo di me stesso
che ho conservato, in qualche modo –
il centro del cuore che non tratta con le parole,
né coi sogni e non è toccato dal tempo,
dalla gioia, dalle avversità.
Ti offro il ricordo di una
rosa gialla al tramonto,
anni prima che tu nascessi.
Ti offro spiegazioni di te stessa,
teorie su di te, autentiche e sorprendenti notizie di te.
Ti posso dare la mia tristezza,
la mia oscurità, la fame del mio cuore;
cerco di corromperti con l’incertezza,
il pericolo, la sconfitta.”
Jorge Luis Borges, “Te ofrezco”, da “L’altro, lo stesso”
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Il minacciato
“È l’amore.
Dovrò nascondermi o fuggire.
Crescono le mura delle sue carceri, come in un incubo atroce.
La bella maschera è cambiata, ma come sempre è l’unica.
A cosa mi serviranno i miei talismani:
l’esercizio delle lettere,
la vaga erudizione,
lo studio delle parole che l’aspro Nord usò per cantare i suoi mari e le sue spade,
la serena amicizia,
le gallerie della Biblioteca, le cose comuni,
le abitudini,
il giovane amore di mia madre,
l’ombra militare dei miei morti,
la notte intemporale,
il sapore del sonno?
Stare con te o non stare con te è la misura del mio tempo.
Già la brocca si rompe sulla fontana,
già l’uomo si alza alla voce dell’uccello,
già sono oscure sagome quelli che guardavano dietro le finestre,
ma l’ombra non ha portato la pace.
È, lo so, l’amore:
l’ansia e il sollievo di sentire la tua voce,
l’attesa e la memoria, l’orrore di vivere nel tempo successivo.
È l’amore con le sue mitologie,
con le sue piccole magie inutili.
C’è un angolo di strada dove non oso passare.
Già gli eserciti mi accerchiano, le orde.
(Questa stanza è irreale: lei non l’ha vista).
Il nome di una donna mi denuncia.
Mi fa male una donna in tutto il corpo.”
Jorge Luis Borges, “El Amenazado”
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E’ un peccato che tu non sia con me
“E’ un peccato che tu non sia con me
ora che mi giro
e il letto è una savana
ora che mi alzo senza un’ora precisa
senza un posto dove mettere i piedi
(figuriamoci l’anima)
ora che la finestra si dischiude con un ghigno sornione
e la porta mi sfida
ora che mi decido e preparo il caffè
e mi ricordo per la prima volta
dopo tanti giorni
che basta una tazzina
ma forse per capriccio
metto lo stesso due
è un peccato che tu non sia con me
quando cerco di scrivere
e non c’è modo
quando sento febbraio che mi fiata sul collo
che il tempo ha fatto il nido
e se ne frega
è un peccato che tu non sia con me
ora che abbiamo trovato forse
la domanda
all’ultima risposta
il nome ad ogni cosa
ora che socchiudiamo gli occhi
e prendiamo la mira per pensarci
e la voce rimbalza in cerca di una scusa
per tornare a dormire
e sono solo le otto
di un giorno come un altro
e il caffè si è freddato
e il tuo ultimo abbraccio
mi scivola tra le mani
mentre mi lavo”
Milton Fernàndez, da “Nóstos”
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Elizabeth Vaughan Okie Paxton, 1910
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Non mi spaventa che i giorni siano uguali
“Non mi spaventa che i giorni siano uguali.
Che mia sarà la firma di crisi personali.
Che il buio dentro me mi assuma a tempo pieno.
Che addenserò il caffè con l’odio e col veleno.
No, non mi spaventa che il solo nutrimento
saranno le carcasse di un vecchio sentimento.
Che placherò la sete col piombo liquefatto.
Che il letto resti intatto, logoro, disfatto.
Quel che mi spaventa è l’eccesso che ho d’amore
che straripa dal petto e brucia nella gola,
cogliendomi di notte in un bagno di sudore.
Quel che mi spaventa è non dirti una parola
quando sento ancora esplodermi nel cuore
lo stormo di aquiloni che piange mentre vola.”
Poeti der Trullo, da “Metroromantici III 2019-2023”, a cura di Graziano Graziani
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Cercavo te nelle stelle
“Cercavo te nelle stelle
Quando le interrogavo bambino.
Ho chiesto te alle montagne,
Ma non mi diedero che poche volte
Solitudine e breve pace.
Perché mancavi, nelle lunghe sere
Meditai la bestemmia insensata
Che il mondo era uno sbaglio di Dio,
Io uno sbaglio nel mondo.
E quando, davanti alla morte,
Ho gridato di no da ogni fibra,
Che non avevo ancora finito,
Che troppo ancora dovevo fare,
Era perché mi stavi davanti,
Tu con me accanto, come oggi avviene,
Un uomo una donna sotto il sole.
Sono tornato perché c’eri tu.”
11 febbraio 1946
Primo Levi, “Cercavo te nelle stelle”, da “Ad ora incerta”, 1984
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Mettiamo un mattino come un altro
“Mettiamo un mattino come un altro,
fischiettando tra i marciapiedi della tua città
– fosse fine primavera –
tra gli smilzi fili d’aria
che la mia bocca lascerebbe cadere
abbandonassi anche qualche lacrima,
tu cosa raccoglieresti?
Mettiamo in un mattino come un altro
volessimo incontrarci in un bar per il caffè
– fosse fine primavera –
e io mi fossi un po’ attardato.
Una volta terminato il caffè,
mi chiederesti, con aria immatura,
di restituire quel tempo insieme che ti ho sottratto?
Mettiamo, dicevo, un mattino come un altro,
chiudessi i tuoi occhi e con le mani le tue orecchie su di me
– fosse fine primavera –
evaporassi assieme a tutto il mondo.
Supporresti che la vita procede ancora,
che oltre la tua morte nient’altro morirebbe?
Sapresti, con certezza celeste, di avermi davanti?
Vorrei sapere: un mattino come un altro,
ravvisando la luce sensuale del sole
– fosse fine primavera –
cominceresti a pensare al caldo che si attenua
in un mattino di fine estate
e alla vigna dove potremmo spogliarci e baciarci,
tra l’uva matura?
In conclusione, mi piacerebbe capire
semplicemente se posso chiamarti amore.”
Fabrizio Siani, da ““Il contrario di abitare”, 2022
*****
Alissa Monks (Artista americana)
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Madrigale (scritto sotto un ritratto in fotografia della Duchessa E… L…)
“Arte nata da un raggio e da un veleno,
Su questo
segno della tua potenza
Mi si rivela appieno
La tua duplice essenza.
O arcane curve, ombre soavi, tocchi
Luminosi, divine orme d’amore!
Sento il raggio negli occhi, E il veleno nel core.”
Arrigo Boito, “Madrigale”, da “Il libro dei versi”, 1806
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L’amore è giunto
“La benzina gocciola dalle auto in fuga
e i bambini ballano nelle pozzanghere
indossando pantofole verde petrolio
dicendo ciao in lingue diverse,
dicendo quanto basta,
i palazzi si riversano dalle proprie finestre
diffondono una gioia grondante cemento
lungo l’erba tremula di mezzanotte
e tu sei venuta
a sistemare le cose, a infilare perline,
giunta da oltre il deserto
con lo sputo sul fazzoletto
ad asciugarmi gli occhi, a pulire i tuoi,
sei giunta.
La città geme e rotola e piega le ginocchia
una scatola di cartone si srotola in un hotel
tutti gli orologi gettano in aria le lancette
e sbadigliano rintocchi ritardati senza tempo.
Non sarò soddisfatta.
Non posso piegarmi su una sedia in preda ai singhiozzi,
non posso seminare il frutto madido delle palme fragola,
questo non è un amore che può essere sbucciato
e mangiato avidamente a pezzi,
questo non è l’amore tra due persone,
questo è una ruota panoramica con valigia,
che sale su un treno,
questo è un lampo in attesa in una tazza,
questo è la mia anima che urta un palo della luce
questo è … oh.
Mi chino su questo balcone,
come facevano i miei antenati,
con capelli e pensieri come i miei,
nei giorni in cui potresti incuneare
il tuo dolore in una cannuccia
e alitare la tua sofferenza grande come un pisello
nel traffico poroso della sera,
e il sollievo era elettrico,
e tu potresti far girare la tua vita su uno spillo
e ottenere acqua da un rubinetto
senza firmare nulla,
e lasciare il tuo sangue dove si trova,
un vaso essere un cappello,
potresti avere un bambino per bene,
e la luce era solida,
potresti acquistarla ai negozi all’angolo,
in sacchetti di carta dai frammenti accecanti,
e potrei afferrare la tua testa magnifica
e sollevarla sopra la mia testa magnifica,
e tu dovresti vedere ogni cosa
come la vedo io,
e rimarresti sconcertata.
L’amore è giunto in città,
è una giornata magnifica, l’amore è giunto,
lo annunciano dall’altoparlante,
l’amore è arrivato al binario sei,
fate largo all’amore, l’amore viene in aiuto,
fatevi da parte per favore signore, sgombrate i corridoi,
se volesse essere così gentile da rimuovere quella borsa,
l’amore è nell’edificio, mostrate rispetto,
stia lontana signora, mi dà fastidio
che le persone mi alitino addosso, l’amore è in arrivo,
proprio così, non oltrepassi la linea, non voglio spaventare
quel poveretto, metta via quella cosa,
nel nome di … mi tolga quel fottuto braccio
dalla faccia … l’amore è giunto.”
Caroline Bird, da “Anthology of Contemporary British Women Poets”
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Stando in silenzio, ti sento
“Stando in silenzio, ti sento
e una pace mi scende dentro,
t’ho cercato per quanto tempo
per quanti giorni ho camminato solo
senza sapere dove
ti avevo perso
cioè non mi ero accorto che ti avevo perso
non mi ero accorto neanche che ti avevo vicino
ti avevo vicino e non ti vedevo
tu mi parlavi e io non mi chiedevo
chi fosse quella voce.”
Claudio Damiani (Inedito)
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Nell’immagine in evidenza: Ron Hicks, “Love on the road”, 1965

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