Linguaggi

La poesia venne a cercarmi

11.11.2021
“Io trovo i miei versi
intingendo il calamaio nel cielo.”
Alda Merini
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La poesia

“Accadde in quell’età… La poesia
venne a cercarmi. Non so da dove
sia uscita, da inverno o fiume.
Non so come né quando,
no, non erano voci, non erano
parole né silenzio,
ma da una strada mi chiamava,
dai rami della notte,
bruscamente fra gli altri,
fra violente fiamme
o ritornando solo,
era lì senza volto
e mi toccava.
Non sapevo che dire, la mia bocca
non sapeva nominare,
i miei occhi erano ciechi,
e qualcosa batteva nel mio cuore,
febbre o ali perdute,
e mi feci da solo,
decifrando
quella bruciatura,
e scrissi la prima riga incerta,
vaga, senza corpo, pura
sciocchezza,
pura saggezza
di chi non sa nulla,
e vidi all’improvviso
il cielo
sgranato
e aperto,
pianeti,
piantagioni palpitanti,
ombra ferita,
crivellata
da frecce, fuoco e fiori,
la notte travolgente, l’universo.
Ed io, minimo essere,
ebbro del grande vuoto
costellato,
a somiglianza, a immagine
del mistero,
mi sentii parte pura
dell’abisso,
ruotai con le stelle,
il mio cuore si sparpagliò nel vento.”

Pablo Neruda, “La poesia”

 

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Poetica dello sfratto
“Mi piacciono quelle poesie
dove non accade nulla
o ciò che accade
resta fuori scena.
Come quelle case vuote
che sono più grandi
dentro che fuori
e ancora conservano i segni
dei loro vecchi inquilini.
O quei vecchi quadri di Hopper
dove sempre accade qualcosa
che sa soltanto lui.”
Alfonso Brezmes, da “Quando non ci sono”, 2021 – Traduzione di Mirta Amanda Barbonetti

 

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Foto di Sonia Simbolo

 

 

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Il dio chiamato poesia

“Soltanto ora comincio a comprendere,
in queste notti, seduto a fare rime,
la forma e la misura di quel vasto
Dio che chiamiamo Poesia, che s’inchina
e salta attraverso cerchi di carta
ogni volta più in alto.
Mi piace pensare che diventerò
un grillo canterino o una cavalletta
che fa prodigiosi salti in aria
mentre le folle sbalordite, intorno,
mi fissano, e io canto, sempre più audace
fino a volare sulla spalla del mio padrone
frusciando tra i suoi folti capelli.
Più vecchio dei mari
più antico di pianure e colline
ancestrale come la luce che svasa
dalle ruote bollenti del sole.
Scuote la tempesta che strappa gli alberi
canta sopra i davanzali.
Ti ruggisce contro, oppure tuba,
grida e urla quando l’inferno scotta
cavalcando il suo guscio, spara.
Ti abbatte e ti soccorre
dove lo cerchi, non c’è.
Oggi, ad esempio, ha due teste
come Giano – calmo, benevolo, esatto;
e poi cruento, crudo: la barba dilaga
da parte a parte: dio smisurato
che spadroneggia su ogni ora;
stringe gli amanti nel bacio
sottrae il sole al temporale
tuono e odio gli appartengono
egli è il sì, è il no.
La barba nera mi parla, ha detto:
“Benché l’uomo sia fragile
grida, schiocca la frusta, sii forte!
Infine, ti obbediranno:
collina e campo, fiume e palude
ti obbediranno, capriole e salti
al terrore della tua frusta
s’inchinano sotto il fragore della tua rabbia”.
La barba pallida mi parla, ha detto
“Vero: un premio si approssima
ma canta e ridi e corri ignaro
nel triangolo d’aria della pianura
tuffati nelle mie acque, bevi il mio sole
definisci con parole nude le mie creature;
ti verranno dietro
piene di grazia, senza dubbio né dolore”.
Parlò, infine, la sua doppia testa
il glorioso mostro terrificante
“Io sono il sì e il no
nero come la pece – bianco come la neve
amami – odiami – ricongiungimi
odio nell’amore – perfetto nella viltà
giustizia equanime è fatta
vita condivisa tra luna e sole
la natura ti maledice – ti sorride
dacché sei poeta, figlio mio”.
Robert Graves, “Il dio chiamato poesia”

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Radka Ondrova, “Notte d’estate”

 

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Infanzia
“Dovessi scegliere fra una vita impagliata,
e la poesia,
la vita, un bus che trema in una confusione dorata,
luci che salgono al cielo formando una corona mobile,
folla e vetrine di negozi, lampioni, meraviglia;
e poesia piccolo cavallino di legno
dalle zampe inamovibili
e criniera sempre fuori posto
la mia scelta ti sorprenderebbe e molto, presumo.
Ma di qui: mai persi la mia infanzia.”

Graham Greene, “Infanzia”

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Immagina la mente che si muove sulla superficie piana
“Immagina la mente che si muove sulla superficie piana
del linguaggio ordinario quando all’improvviso quella superficie si rompe o si complica.
Emerge l’inatteso. Imitazione (in greco “mimesis”)
è in Aristotele termine generico per i veri sbagli della poesia.
Ciò che mi piace di questo termine
è la disinvoltura con la quale accetta
che ciò che affrontiamo quando facciamo poesia è errore,
l’ostinata creazione di errore,
la volontaria infrazione e complessità di sbagli
dai quali può sorgere l’inaspettato.
Anne Carson (poetessa canadese), da “Saggio su ciò a cui penso di più”
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Dipinto di Nikolay Ninov
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Ci sono libri che si scrivono
“Ci sono libri che si scrivono sulla carne stessa.
Sono cicatrici che ci parlano
e sanguinano
quando il tempo si arrende alla sconfitta
un pugno di segni che a stento
comprendiamo
e che sono stati il bacio intatto della vita.”

Ada Salas, “Ci sono libri che si scrivono”

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Dio dice al suo poeta

Dio dice al suo poeta:
«Ti ho scelto perché m’informi
sulla mia identità».
Il poeta è dispettoso: traccia una parola,
poi una seconda, poi le cancella.
Dio si fa più pressante:
«Mostra agli uomini come venerarmi:
ti ho creato per questo».
Il poeta sorride, scrivendo la parola “rosa”,
la parola “azzurro”, la parola “tucano”,
la parola “silenzio”, la parola “dio”.
E dice:
«Sono tutte intercambiabili le parole».
Alain Bosquet, da “Il tormento di Dio”, 1987

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Vasilij Kandinskij, “Improvvisazione VI (Africano)”, 1909

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È tempo

“È tempo di imbrigliare il mio cuore e partire. Non scriverò più.
Imparerò di nuovo a non poter scrivere.
Questa vita di scrittura non fa parte della mia condizione nomade.
Non sono fatto per la letteratura.
Sono una razza di alberi.
Piango come il tuono, quando si annuncia. Sono solo un vagabondo, un cantore di parole, che raccoglie pensieri fruscianti, ai margini del percorso della sua anima.
Erano i fiori selvaggi, le foglie morte, la pioggia, il vento, i rovi e gli alberi che mi hanno chiesto di parlare delle loro vite.
È stata una decisione divina.
Quando ho riacceso il fuoco e ho camminato su percorsi sconosciuti, ho finalmente imparato a leggere e scrivere.
La roulotte in cui vivevo, le mie poesie erano i miei cavalli.
I miei pensieri erano i miei piccoli zingari.
Ma ora devo trovare la mia vita nomade.
È tempo di imbrigliare il mio cuore e andarmene.”

Jean-Marie Kerwich

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Si scrive per…

“Si scrive per popolare il deserto…
per non morire…
per essere ricordati e per ricordare…
anche per dimenticare…
anche per esser felici… per far testamento… per giocare…
per scongiurare, per evocare…
per battezzare le cose…
per surrogare la vita, per viverne un’altra…
per persuadere e amorosamente sedurre…
per profetizzare…
per rendere verosimile la realtà…
Tante sono, suppergiù, le ragioni per scrivere.
Una di più, ma forse una di meno
(non ho contato bene),
delle ragioni per tacere.”

Gesualdo Bufalino

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Jan Sluyters, “Alba”, 1910

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Come essere un poeta

“Trova un posto per sederti.
Siediti. Resta in silenzio.
Dovrai fare affidamento su
affetti, letture, conoscenze,
abilità – più di quante
tu ne abbia – ispirazione,
impegno, maturità, pazienza,
perché la pazienza congiunge il tempo
all’eternità. Dubita
del giudizio
di chi elogia i tuoi versi.
Respira con respiro incondizionato
l’aria non condizionata.
Lascia perdere i fili elettrici.
Comunica con lentezza. Vivi
una vita a tre dimensioni;
stai lontano dagli schermi.
Stai lontano da tutto ciò
che offusca il luogo in cui si trova.
Non esistono luoghi che non siano sacri;
soltanto luoghi sacri
e luoghi profanati.
Accogli quanto viene dal silenzio.
Fanne il meglio che puoi.
Con le minute parole che a poco a poco nascono
dal silenzio, come preghiere
riverberate verso chi prega,
componi una poesia che non turbi
il silenzio da cui è nata.”

Wendell Berry, “Come essere un poeta”

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Non hai nessun taccuino

“Non hai nessun taccuino
Scrivi le poesie sulla tua
pelle – sulla punta umida
della tua lingua – scrivi
poesie che sanno di
acqua che soddisfano
la tua sete – scrivi
poesie sulle pareti
della tua bocca e
sulle pareti della tua stanza
trasformando tutto
in un’estensione
della tua pelle, scrivi
poesie sulla tua faccia,
sui tuoi vestiti,
scrivi poesie sulla
punta delle tue dita, sulle
tue scapole,
sulle tue labbra, nel
posto dove
la tua bocca è bagnata,
nel palmo della
tua mano dove
vi è iscritta una mappa
come una poesia di linee
e pieghe incise in
un linguaggio di pelle.”

Kyle Allan, “Non hai nessun taccuino”

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Nella tua lingua silenziosa

“Nella tua lingua silenziosa
che spoglia la mia poesia
vi è
l’idioma
di sassi spezzati
e una strada perduta
vi è
un pugno nascosto
tra due lamiere di metallo
che replicano la mente
una mano di mappe chiuse
un luogo
circondato da due orecchie
che con dolore e chiarezza
percepiscono ogni suono
compreso il rumore
della luce che si frantuma
in arcobaleni
ogni volta
che lascio la stanza.”

Kyle Allan, “Nella tua lingua silenziosa”

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Poetico e impoetico

“Poetico è il mal d’amore, il rimpianto, il lutto, poetico è il dolore tragico che trova ragione, vendetta, riscatto,
impoetico è questo dolore, monotono, lento, insaziabile, sequestratore.
Poetica è la nostalgia, impoetica la depressione.
Poetica è la fantasia, impoetico il delirio.
Poetico è il timore, impoetica l’ansia.
Poetico il desiderio, impoetica la dipendenza.
La poesia non frequenta la Psichiatria, si ferma sulla soglia.
Dove non entra la vanga della poesia, zolle dure, secche, infertili e fredde.
Noi ci occupiamo del dolore impoetico”

Paolo Milone, “Poetico e impoetico”, da “L’arte di legare le persone”

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Vicini di casa

“Vicini di casa
sui fili del bucato
hanno steso poesia,
in aprile.”

Abbas Kiarostami

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La mia Musa

“La mia Musa da un po’ mi crea apprensione.
Non mi siede in braccio. Tiene il broncio.
S’annoia, mi rinfaccia ogni svarione
a me, che nella sua corporazione
ero l’amante più focoso (e sconcio).
Lei che una volta con dita odorose
mi accarezzava il capo, ora mi parla
con note non squillanti né armoniose
-vanno a ferire come frecce partiche
là dove prima lasciavano rose.
Credo le amiche l’abbiano convinta
con commenti malevoli e cattivi,
pieni d’odio per me, e l’abbiano spinta
a rendere gli incontri fra noi privi
dell’eros-ma che soluzione finta,
seguitare a vederci come cari
vecchi amici con simili interessi,
raffinati (al di sopra dei due sessi),
di spirito parlando, non di carne,
e, a volte, dell’amore e degli annessi.
Presento che mi scorderà ben presto,
che tra poco mi negherà anche questo;
già mi chiama “Thanassis”(come scrivo),
lei che aveva coniato sul mio petto
ogni più tenero vezzeggiativo.”

Nasos Vaghenas (poeta greco contemporaneo)

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Louis Welden Hawkins, “Clytie”

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Scavando

“Tra il mio pollice e l’indice riposa
la tozza penna, comoda come una pistola.

Da sotto la finestra, un suono aspro e netto
quando la vanga affonda nella terra ghiaiosa:
mio padre, che scava. Mi affaccio e guardo

finché la sua groppa tesa nello sforzo tra le aiuole
s’abbassa, si rialza vent’anni addietro
curvandosi ritmicamente tra i solchi di patate
dove stava scavando.

Il rozzo scarpone annidato sulla staffa, il manico
saldo contro l’interno del ginocchio a fare leva.
Sradicava gli alti ciuffi, affondava la lama lucente
per sparpagliare le patate novelle che raccoglievamo
stringendole con piacere fredde e dure tra le mani.

Per Dio, il mio vecchio la sapeva maneggiare, la vanga.
E così il suo.

Mio nonno tagliava più torba in una giornata
di ogni altro nella torbiera di Toner.
Una volta gli portai del latte in una bottiglia
con un tappo di carta abborracciato. Si raddrizzò
per bere, poi si rimise subito al lavoro,
fendenti e affondi netti, gettandosi le zolle
sopra la spalla, andando sempre più giù
dove la torba era migliore. Scavare.

L’odore freddo del terriccio sulle patate, il risucchio e lo schiaffo
della torba impregnata, i tagli netti di una lama
su radici vive mi si ridestano nella mente.
Ma non ho vanga per seguire uomini come loro.

Tra il mio pollice e l’indice riposa
la tozza penna.
Scaverò con questa.”

Seamus Heaney, “Scavando”, da “Morte di un naturalista”

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Sulla strada di San Romano

“La poesia si fa in un letto come l’amore
Le sue lenzuola sfatte sono l’aurora delle cose
La poesia si fa nei boschi

Ha lo spazio che le occorre
Non questo ma quello che condizionano

L’occhio del nibbio
La rugiada sull’equiseto
Il ricordo di una bottiglia di Traminer appannata su un
[vassoio d’argento
Un’alta colonna di tormalina sul mare
E la strada dell’avventura mentale
Che sale a picco
Si ferma e subito s’ingarbuglia

Non è cosa da gridare dai tetti
È sconveniente lasciare la porta aperta
O chiamare dei testimoni

I banchi di pesci le siepi di cinciallegre
I binari all’entrata di una grande stazione
I riflessi delle due rive
I solchi del pane
Le bolle del ruscello
I giorni del calendario
L’iperico

L’atto d’amore e l’atto poetico
Sono incompatibili
Con la lettura del giornale ad alta voce

Il senso del raggio di sole
Il luccichio azzurro che lega i colpi d’ascia del taglialegna
Il filo dell’aquilone a forma di cuore o di nassa
Il battito ritmico della coda dei castori
La diligenza del lampo
Il lancio di confetti dall’alto di vecchie scalininate
La valanga

La camera degli incantesimi
No signori non si tratta dell’ottava Camera
Né dei vapori della camerata la domenica sera

Le figure di danza eseguite in trasparenza sopra gli stagni
La delimitazione di un corpo di donna contro il muro al
[lancio dei coltelli
Le volute chiare del fumo
La curva della spugna delle Filippine
Le gemme del serpente corallo
Il varco dell’edera attraverso le rovine
                    Lei ha tutto il tempo davanti a sé

La stretta poetica come la stretta carnale
Finché dura
Impedisce le prospettive di miseria del mondo”

 

André Breton, “Sulla strada di San Romano” (pubblicata in origine sulla rivista “Néon”, n. 3, maggio 1948 e poi ripresa  in “Signe ascendant”,1968)

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Poesia è

“Poesia è
notizie dalla frontiera
della coscienza
Poesia è
il grido che grideremmo
al risveglio in una selva oscura
nel mezzo del cammin
di nostra vita
Una poesia è uno specchio
che percorre una via alta
colma di delizie visive
Poesia è lamina luccicante
dell’immaginazione
deve risplendere
e quasi accecarti
Il sole che irraggia
nelle reti del mattino
È notti bianche e
bocche di desiderio
È fatta
di aloni in dissolvenza
in oceani di suoni
È battute di strada
di angeli e diavoli
È un divano ricolmo di cantanti ciechi
dimentichi dei loro bastoni
Una poesia deve levarsi all’estasi
in qualche punto tra parola e canto
Che canti una poesia
ti voli via
o è anatra morta
dall’anima di prosa
Poesia è anarchia dei sensi
che si fa senso
Poesia è tutto
quanto nato alato canta
Come un vaso di rose una poesia
non la si deve
spiegare
Poesia è una voce di dissenso
contro lo spreco di parole
e la pletora folle della stampa
È ciò che sta
fra le righe
È fatta
da sillabe di sogni
È grida lontane lontano
su una spiaggia al calar della notte
È un faro
che muove il suo megafono
al di sopra del mare
È una foto di Ma’
in reggiseno Woolworth
che guarda dal vetro
un giardino segreto
È un Arabo che trasporta
tappeti variopinti ed uccelliere
per le strade
in una grande metropoli
Una poesia la si può fare in casa
con ingredienti di tutti i giorni
Sta in una pagina sola
ma può riempire un mondo e
sta bene nella tasca di un cuore
Il poeta è un cantante di strada
che salva strade-gatte d’amore
Poesia è pensiero-cuscino
dopo un rapporto
È distillato di animali articolati
che si chiamano l’un l’altro
traverso un golfo immenso
È frammento pulsante
di vita interiore
musica senza collare
È dialogo
di statue nude
È suono d’estate nella pioggia
e di gente che ride
dietro persiane chiuse
al fondo di un vicolo di notte
È lampadina spoglia
di un hotel di vagabondi
che illumina nudità
della mente e del cuore
Lasciate che il poeta sia animale da canto
fattosi lenone
per un re d’anarchia
Poesia è
lirica intelligenza incomparabile
volta a significare
varietà cinquantasette di esperienza
Poesia è una casa alta di echi
di ogni voce che abbia detto mai
qualcosa di folle
o meraviglia
Poesia è un’incursione sovversiva
sull’obliata lingua
dell’inconscio collettivo
Poesia è vero canarino in una miniera di carbone
e noi sappiamo perché l’uccello in gabbia canti
Poesia è l’ombra gettata dalle nostre
immaginazioni-lampione
È voce
della Quarta Persona Singolare
È voce
entro la voce della tartaruga
È faccia
dietro la la faccia della razza
Poesia è fatta di pensieri-notte
Se può strapparsi via dall’illusione
non sarà rinnegata
prima d’alba
Poesia si fa evaporando
la risata liquida della gioventù
Poesia è libro di luce nella notte
che disperde nuvole di inconsapevolezza
Ode il bisbiglio
di elefanti e vede
quanti angeli danzano
su una punta di spillo
È un ronzare un lamentarsi estatico
ridendo un sospirare all’alba
una risata soffice selvaggia
È Gestalt finale
dell’immaginazione
Sia poesia emozione
ritrovata in emozione
Le parole sono fossili viventi
Ricomponga il poeta la
fera feroce
e la faccia cantare
Grande è un poeta solo quanto il suo orecchio
peccato se di latta
Poesia è lotta continua
contro silenzio, esilio inganno
Il poeta è un baluardo sovversivo
alle soglie della città
che sfida costantemente
il nostro status quo
È maestro d’ontologia
che interroga costantemente la realtà
e la reinventa
Prepara drink
dai liquori insani
dell’immaginazione
e perpetuamente si stupisce
che nessuno barcolli
Dovrebbe essere oscuro imbonitore
alle tende dell’esistenza
Poesia è quanto si ode dai tombini
echi di fuga del fuoco di Dante
Poesia è religione
religione poesia
È il ronzio di falene
cerchio intorno alla fiamma
È una barca di legno ormeggiata nell’ombra
sotto un salice in lacrime
entro l’ansa di un fiume
Il poeta deve avere un grandangolo
sguarda un mondo ogni sguardo
e il concreto è più poetico
Poesia
non è tutta eroina cavalli e Rimbaud
È anche preghiere impotenti
di passeggeri d’aereo
cinture allacciate
per la discesa finale
Poesia è vero oggetto
di grande prosa
Dice l’indicibile
Pronuncia l’impronunciabile
sospiro del cuore
Ogni poesia una temporanea follia
e l’irreale è il più realistico
Sia poesia ancora
tocco ribelle
alle porte dell’ignoto
Una poesia è sua stessa Coney Island
della mente
proprio circo dell’anima
Far Rockaway del cuore
Lasciate che un nuovo lirismo
salvi il mondo da sé!”
Lawrence Ferlinghetti, “Poesia è”
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Fragili poesie

“O fragili poesie
fiori d’amore-notte

Rabbrividire di chitarre
sul Guadalquivir

Voci echeggiate
su terrazze assolate

Statue bianche all’imbocco dei ponti
E le braccia bianche delle strade

Balzo di cavalli bradi
che incidono la terra scalpitando

Treni di notte
dalle sirene maledette nascoste
nel libro del tempo

Sere autunnali sulla Third Avenue
la luce ocra che ora si spegne

Manichini nudi
sulle scale antiincendio di casamenti popolari

Neonati gettati
in bagni di lacrime

Risate come cristallo in frantumi
Coppe di champagne lanciate dentro i caminetti

Alba e gli amanti spossati
ancora da saziare

Tutte, tutte le poesie del sogno umano
ancora da liberare!”

Lawrence Ferlinghetti, “Fragili poesie”

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Un verso randagio
“Un verso randagio vagabonda
nella materia oscura della carta.
Non ha padroni. L’autore l’ha lasciato
in balìa del destino. Orfano di parole.
A volte
i versi sono come cani abbandonati
che abbaiano alla poesia.”
Ewa Lipska, da “Il lettore di impronte digitali”, 2017 – Traduzione di Marina CiccariniTraduzione di Marina Ciccarini
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Foto di civil_devil_shri IG
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Manifesto populista per i poeti, con amore

“Poeti, uscite dai vostri studi,
aprite le vostre finestre, aprite le vostre porte,
siete stati ritirati troppo a lungo
nei vostri mondi chiusi.
Scendete, scendete

Dalle vostre Russian Hills e dalle vostre Telegraph Hills,
Dalle vostre Beacon Hills e dalle vostre Chapel Hills,
dalle vostre Brooklyn Heights e dai Montparnasse,
giù dalle vostre basse colline e dalle montagne,
fuori dalle vostre tende e dai vostri palazzi.
Gli alberi stanno ancora cadendo
E non andremo più nei boschi.
Non è il momento ora di sedersi tra loro
quando l’uomo incendia la propria casa
per arrostire il maiale.
Non si canta più Hare Krishna mentre Roma brucia.
San Francisco sta bruciando
La Mosca di Majakowskij sta bruciando
I combustibili fossili della vita.
La notte & il cavallo si avvicinano
Mangiando luce, calore & forza
E le nuvole hanno i calzoni.
Non è il momento ora di nascondersi per l’artista
Sopra, oltre, dietro le scene,
indifferente, tagliandosi le unghie,
purificandosi fuori dall’esistenza.
Non è il momento ora per i nostri piccoli giochi letterari
Non è il momento ora per le nostre paranoie & ipocondrie,
non è il momento ora per la paura & il disgusto,
è il momento solo per la luce e per l’amore.
Abbiamo visto le migliori menti della nostra generazione
Distrutte dalla noia ai reading di poesia.
La poesia non è una società segreta,
né un tempio.
Le parole & i canti segreti non servono più.
L’ora di emettere l’OM è passata,
viene l’ora di cantare un lamento funebre,
un momento per cantare un lamento funebre & per gioire
sulla fine in arrivo
della civiltà industriale
che è nociva per la terra & per l’Uomo.
Il momento ora di esporsi
nella completa posizione del loto
con gli occhi bene aperti,
il momento ora di aprire le nostre bocche
in un nuovo discorso aperto,
il momento ora di comunicare con tutti gli esseri coscienti,
tutti voi, “Poeti delle Città”
appesi nei musei, includendo me stesso,
tutti voi poeti del poeta che scrive la poesia
sulla poesia
tutti voi poeti di poesia da laboratorio
nel cuore giungla d’America
tutti voi addomesticati Ezra Pound tutti voi poeti pazzi, sballati, malconci,
tutti voi poeti della Poesia Concreta pre-compressa,
tutti voi poeti cunnilingui,
tutti voi poeti da gabinetto a pagamento che vi lamentate con graffiti,
tutti voi ritmatori da metropolitana che non ritornate mai sulle betulle,
tutti voi padroni delle segherie haiku nelle Siberie d’America,
tutti voi non realisti senza occhi,
tutti voi supersurrealisti autonascosti,
tutti voi visionari da camera da letto,
ed agitprop da gabinetto,
tutti voi poeti alla GrouchoMarxista e Compagni di ozio di classe
che restano inattivi tutto il giorno
e che parlano del lavoro di classe del proletariato,
tutti voi anarchici Cattolici della poesia,
tutti voi Neri Montanari della poesia,
tutti voi Bramini di Boston e bucolici di Bolinas,
tutti voi baby.sitters della poesia,
tutti voi fratelli zen della Poesia,
tutti voi amanti suicidi della poesia,
tutti voi capelluti professori della poesia,
tutti voi critici di poesia
che bevete il sangue dei poeti,
tutti voi Poliziotti della Poesia-
Dove sono i figli di Whitman,
dov’è la grande voce che parla ad alta voce
con un senso di dolcezza & sublimità,
dov’è la nuova grande visione,
la grande visione del mondo,
l’alta canzone profetica
dell’immensa terra
e tutto ciò che canta in essa
e il nostro rapporto con essa-
Poeti, scendete
Nelle strade del mondo ancora una volta
E aprite le menti & gli occhi
Con la vecchia delizia visuale,
schiarite la gola e parlate più forte,
la poesia è morta, lunga vita alla poesia
con occhi terribili e forza di bufalo.
Non aspettate la rivoluzione
o succederà senza di voi.
Smettete di mormorare e parlate ad alta voce
con una nuova poesia guidata
con una nuova comune-sensuale “comprensione-pubblica”
con altri livelli soggettivi
con altri livelli sovversivi,
un diapason nell’orecchio interno
per colpire sotto la superficie.
Del vostro dolce Io che ancora cantate
Ancora esprimete “la parola en-masse”-
Poesia il veicolo comune
per il trasporto pubblico
verso luoghi più alti
di altre ruote che possono portarla.
Poesia che ancora cade dai cieli
dentro le nostre strade ancora aperte.
Loro non hanno ancora alzato barricate,
le strade animate ancora con visi,
uomini &donne attraenti camminano ancora qui,
dovunque ancora attraenti creature,
negli occhi di tutti il segreto di tutti
qui ancora sepolto,
i selvaggi figli di Whitman qui ancora dormono,
si svegliano e camminano nell’aria aperta.”

Lawrence Ferlinghetti, “Manifesto populista per i poeti, con amore”

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Sfide per giovani poeti

“Inventate un nuovo linguaggio che tutti possano capire.

Arrampicatevi sulla Statua della Libertà.
Cercate di raggiungere l’irraggiungibile.
Baciate lo specchio e scrivete quello che vedete e udite.
Ballate con i lupi e contate le stelle, incluse le invisibili.
Siate ingenui, innocenti, non-cinici, come se foste appena atterrati sulla terra (come in realtà siete, come in realtà noi tutti siamo), sbalorditi da quello su cui siete stati scagliati.
Scrivete viventi quotidiani. Siate reporter dallo spazio esterno, che inoltra dispacci a qualche supremo caporedattore che creda alla rivelazione totale dei fatti e abbia scarsa tolleranza per le stronzate.
Scrivete un poema infinito sulla vostra vita sulla terra o altrove.
Leggete fra le righe dei discorsi umani.
Evitate le provincia, mirate l’universo.
Pensate soggettivamente, scrivete oggettivamente.
Pensate pensieri lunghi in frasi brevi.
Non frequentate laboratori di poesia, ma se lo fate, andateci non per apprendere “come” ma per imparare “cosa” (Cosa è importante scrivere).
Non prostratevi davanti a critici che non abbiano scritto essi stessi grandi capolavori.
Resistete molto, obbedite meno.
Liberate segretamente ogni essere in gabbia che vedete.
Scrivete brevi poesie con voce d’uccelli. Rendete le vostre liriche davvero liriche. Il canto degli uccelli non è fatto da macchine. Date alla vostra poesia ali per volare sulle cime degli alberi.
Il detto di William Carlos Williams “Non idee se non nelle cose” va bene per la prosa, ma stende un peso morto sul lirismo, dal momento che le “cose” sono morte.
Non contemplatevi l’ombelico in poesia pensando che il resto del mondo penserà sia importante.
Ricordate tutto, non dimenticate nulla.
Lavorate su una frontiera, se riuscite a trovarne una.
Frequentate poeti che pensano. Sono difficili da trovare.
Coltivate la dissidenza ed il pensiero critico. “Il primo pensiero è il pensiero migliore” è forse detto che non fa al caso della più grande poesia. Il primo pensiero potrebbe essere il pensiero peggiore.
Cosa vi preoccupa? Cosa avete in mente? Aprite la bocca e smettete di mangiarvi le parole.
Non abbiate una mente così aperta che il cervello vi cada giù.
Mettete in discussione tutto e tutti. Siate sovversivi, mettendo in dubbio costantemente la realtà e lo status quo.
Siate poeti, non affaristi. Non soddisfate, non assecondate, specialmente non un possibile pubblico, lettori, redattori o editori.
Uscite allo scoperto, fuori dall’armadio. È buio lì dentro.
Aprite le tende, spalancate le imposte, alzate il tetto, svitate le serrature delle porte ma non buttate via le viti.
Impegnatevi in qualcosa al di fuori di voi. Siate militanti. O Estatici.
Essere poeti a sedici anni vuol dire avere sedici anni, essere poeti a quaranta vuol dire essere poeti. Siate entrambe le cose.
Svegliatevi e fate pipì, il mondo è in fiamme!
Vi auguro una bella giornata.

Lawrence Ferlinghetti, “Sfide per giovani poeti

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“Saffo”, tondo con affresco romano, del 50 circa, Pompei

 

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Arte poetica

“Guardare il fiume ch’è di tempo e di acqua
e ricordare che anche il tempo è un fiume,
saper che ci perdiamo come il fiume
e che passano i volti come l’acqua.

Sentire che la veglia è anch’essa un sonno
che sogna d’esser desto e che la morte
che teme il nostro corpo è quella morte
di ogni notte, che chiamiamo sonno.

Decifrare nel giorno o nell’anno un simbolo
dei giorni dell’uomo e dei suoi anni,
convertire l’oltraggio empio degli anni
in una musica, un rumore e un simbolo,

dire sonno la morte, nel tramonto
vedere un triste oro, è la poesia
eterna e povera. La poesia
che torna come l’aurora e il tramonto.

A volte appare nelle sere un volto
e ci guarda dal fondo d’uno specchio:
l’arte deve esser come questo specchio
che ci rivela il nostro stesso volto.

Narran che Ulisse, stanco di prodigi,
pianse d’amore nello scorgere Itaca
Verde e umile. L’arte è anch’essa un’Itaca
di verde eternità, non di prodigi.

È anch’essa come il fiume interminabile
che passa e resta e riflette uno stesso
Eraclito incostante, che è lo stesso
ed un altro, come il fiume interminabile.”

Jorge Luis Borges, “Arte poetica”

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La poesia è una lezione di volo

“La poesia è una lezione di volo,
la poesia non lascia a terra nessuno.
Si vola nel cielo
ma anche nelle radici della terra,
tra i sassi,
nelle tane dei serpenti.
Noi leghiamo il volo all’azzurro,
ma la poesia vola anche nel nero,
anche nel niente.
La poesia è la cosa più semplice,
la strada più diretta
tra Dio e la gente.”

Franco Arminio

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La poesia è possibile

“La poesia è possibile.
La poesia si indossa.
La poesia non è il fiore all’occhiello, è l’abito da indossare, ma prima di indossarlo dobbiamo cucirlo e prima di cucirlo dobbiamo procurarci la stoffa.
La poesia ci può permettere di navigare nel mare delle merci lasciandoci un residuo di anima.
La poesia è la realtà più reale, è il nesso più potente tra le parole e le cose.
Quando riusciamo a radunare in noi questa forza, possiamo rivolgerci serenamente agli altri, possiamo scrivere, possiamo fare l’oste
o il parlamentare, non cambia molto.
Abbiamo bisogno di politica e di economia,
ma ci vuole una politica e un’economia del sacro.
Ci vuole la poesia.”
Franco Arminio
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Provate con la poesia

“Provate con la poesia
a baciare gli uomini e le donne,
a guardare gli alberi,
a parlare con i morti.
Provate con la poesia
a credere in dio,
a guardare il cielo,
a parlare con i figli.
Provate con la poesia
a sentire il cuore di un altro,
a capire cosa ci dice la luna,
cosa vogliono i gatti.
Provate con la poesia
a sentire la vostra inquietudine,
come un grappolo d’uva,
a riempire il giorno di ardore,
a sentire il buio che abbiamo nelle ossa.
Provate con la poesia
alle nove del mattino,
a mezzanotte,
nessun giorno sia senza un rischio,
una follia,
fidatevi di chiunque sia commosso,
consegnatevi ad occhi chiusi
alla poesia.”

Franco Arminio

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La mia musa

“La mia musa sta sull’angolo della via

dà a ciascuno quasi per niente
ciò che io non voglio
quando è allegra
mi regala ciò che vorrei
rare volte l’ho vista allegra.

La mia musa è una suora
nella casa oscura
dietro doppie inferriate
mette presso il suo Diletto
una buona parola per me.

La mia musa lavora in fabbrica
quando ha finito di lavorare
vuol andare a ballare con me
ma io
non finisco mai di lavorare

La mia musa è vecchia
mi picchia sulle dita
strilla con bocca coriacea
è inutile matto
matto è inutile

La mia musa è una donna di casa
non biancheria
nell’armadio ha parole
Raramente ne apre le ante
e me ne porge una.

La mia musa ha la lebbra
come me
ci baciamo via la neve
dalle labbra
ci dichiariamo mondi

La mia musa è una tedesca
non mi dà alcuna protezione
solo se mi bagno nel sangue del drago
mi posa la mano sul cuore
così resto vulnerabile.”

Heinrich Böll,  “La mia musa(1974)

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Betta Casale

 

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Preghiera alla poesia

“Oh, tu bene mi pesi
l’anima, poesia:
tu sai se io manco e mi perdo,
tu che allora ti neghi
e taci.

Poesia, mi confesso con te
che sei la mia voce profonda:
tu lo sai,
tu lo sai che ho tradito,
ho camminato sul prato d’oro
che fu mio cuore,
ho rotto l’erba,
rovinata la terra –
poesia – quella terra
dove tu mi dicesti il più dolce
di tutti i tuoi canti,
dove un mattino per la prima volta
vidi volar nel sereno l’allodola
e con gli occhi cercai di salire –
Poesia, poesia che rimani
il mio profondo rimorso,
oh aiutami tu a ritrovare
il mio alto paese abbandonato –
Poesia che ti doni soltanto
a chi con occhi di pianto
si cerca –
oh rifammi tu degna di te,
poesia che mi guardi.”

Antonia Pozzi, “Preghiera alla poesia” (1934)

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Alla poesia

“Perdonami, poesia, se fu una colpa prendere
questa voce di dolore, umana voce che da me si leva,
per la tua voce così dissimile da un garbuglio di lamenti
come una bianca onda marina da coralline paludi.

Tu, che sei l’abbozzo delle narici
di un cavallo non ancora nato, la forma ed il colore
della mela dissoltasi in polvere, le ali lampeggianti
della rondine che sfiorò il capo di Tiberio
in quel determinato punto dell’eternità,

spiegami, cosa significa dire “Tu”
alle cose, che non hanno altro linguaggio oltre al loro essere
ed esistono là dove finisce il tempo, lontano, lontano
dall’odio umano e dall’amore.”

Czesław Miłosz (poeta polacco), “Alla poesia”, dalla rivista “Poesia”, Anno XVIII, Dicembre 2005, N. 200, Crocetti Editore 

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Sempre ho desiderato una forma più capiente

“Sempre ho desiderato una forma più capiente,
che non fosse troppo poesia né troppo prosa
e permettesse di capirsi senza esporre nessuno,
né autore né lettore, a pene di più alto grado.
In sé la poesia è qualcosa di sconveniente:
esce da noi e non sapevamo che ci fosse,
dunque sbattiamo le palpebre, come se da noi fosse balzata
fuori una tigre, e stesse nella luce,
colpendosi i fianchi con la coda.
Perciò si dice giustamente che un dàimon detta la poesia,
pur se è eccessivo ritenere che sia di certo un angelo.
Difficile capire donde venga l’orgoglio dei poeti
se si vergognano quando traspare la loro debolezza.
Quale uomo assennato vorrà darsi in balìa dei dèmoni
che si muovono in lui liberamente, parlando mille lingue,
e non paghi di rubargli labbra e mano
tentano di mutare a proprio vantaggio il suo destino?
Poiché ciò ch’è morboso è oggi stimato,
qualcuno penserà che scherzo solamente
o che ho scoperto un altro modo
per lodare l’Arte tramite l’ironia.
Un tempo si leggevano soltanto saggi libri
che aiutavano a sopportare il dolore e la sventura.
Non è lo stesso, certo, sfogliare mille opere
provenienti da una clinica psichiatrica.
Ma il mondo è altro da come a noi appare
e noi non siamo come nel nostro farneticare.
La gente dunque conserva una tacita onestà,
acquisendo così la stima di parenti e vicini.
È questa l’utilità della poesia, che ci ricorda
com’è difficile restar sempre gli stessi,
perché la nostra casa è aperta, non c’è chiave alla porta
ed entrano ed escono ospiti invisibili.
D’accordo, quello che scrivo qui non è poesia.
Poiché poesia si può scrivere di rado, e non di propria voglia,
per coercizione intollerabile, e con la sola speranza
che buoni, non cattivi spiriti ci abbiano come strumento.”
Czesław Miłosz, da “La fodera del mondo”, 1966
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A chi potrà interessare

“Facciano gli altri ancora la grande poesia,
libri unitari, opere perfette
che siano uno specchio d’armonia.
Solo m’importa la testimonianza
dell’attimo sfuggente, le parole
che detta nel fluire il tempo in volo.
La poesia anelata è come un diario
in cui non c’è progetto né misura.”

Josè Emilio Pacheco, “A chi potrà interessare”

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La poesia attraversa la terra in solitudine

“La poesia attraversa la terra in solitudine,
appoggia la sua voce sul dolore del mondo
e niente chiede
– nemmeno parole.

Arriva da lontano e senza orario, non avverte mai:
ha la chiave della porta.
Entrando si sofferma sempre ad osservarci.
Poi apre la sua mano e ci offre
un fiore o un ciottolo, qualcosa di segreto,
ma tanto intenso che il cuore palpita
troppo veloce. E ci svegliamo.”

Eugenio Montejo, da “Addio al XX secolo” (1992), in “La lenta luce del tropico”

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C’è una sostanza delle cose 

“Per Salah Stétié

C’è una sostanza delle cose che non
si perde quando le ali della bellezza
la toccano. La perdiamo di vista, talvolta,
girando gli angoli della vita; ma
lei ci insegue con il suo desiderio
di permanenza, e viene a contaminarci
con l’infezione divina di una febbre di
eternità. I poeti lavorano
questa materia. Le loro dita estraggono
il caso da dentro chi va
loro incontro, e sanno che l’improbabile
si trova nel cuore dell’istante,
nell’incrocio di sguardi che
la parola della poesia traduce. Leggo
ciò che scrivono; e dalla fiamma che
i loro versi alimentano si leva
un fumo che il cielo disperde, in
mezzo all’azzurro, lasciando appena
un’eco di ciò che è essenziale, e permane.

Nuno Júdice, da “La materia della poesia”, 2015

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Ricette poetiche

“Prendete una parola? prendetene due
fatele cuocere come se fossero uova
scaldatele a fuoco lento
versate la salsa enigmatica
spolverate con qualche stella
mettete pepe e fatele andare a vela.

Ora dove ve n’andrete?
A scriver davvero? A scriver?”

Raymond Queneau, “Ricette poetiche”, da “Il cane con il mandolino”, 1965

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Baldassarre Peruzzi; “Apollo e le Muse”, 1514 – 1523

 

 

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Oh, buon dio del buon dio 

“Oh, buon dio del buon dio che voglia ho di
scrivere una piccola poesia
Giusto adesso ne passa una
Piccola piccola piccola
vieni qui che ti infilo
sul filo della collana delle mie altre poesie
vieni qui che ti immetto
nel supercompresso delle mie opere complete
vieni qui che ti impappetto
e t’inrimo
e t’inliro
e t’impegaso
e t’inverso
e t’improso
porca vacca
se l’è data a gambe.”

Raymond Queneau

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In ogni cosa ho voglia di arrivare

“In ogni cosa ho voglia di arrivare
sino alla sostanza.
Nel lavoro, cercando la mia strada,
nel tumulto del cuore.

Sino all’essenza dei giorni passati,
sino alla loro ragione,
sino ai motivi, sino alle radici,
sino al midollo.

Eternamente aggrappandomi al filo
dei destini, degli avvenimenti,
sentire, amare, vivere, pensare,
effettuare scoperte.

Oh, se mi fosse dato, se potessi
almeno in parte,
mi piacerebbe scrivere otto versi
sulle proprietà della passione.

Sulle trasgressioni, sui peccati,
sulle fughe, sugli inseguimenti,
sulle inavvertenze frettolose,
sui gomiti, sui palmi.

Dedurrei la sua legge,
il suo cominciamento,
dei suoi nomi verrei ripetendo
le lettere iniziali.

I miei versi sarebbero un giardino.
Con tutto il brivido delle nervature
vi fiorirebbero i tigli a spalliera,
in fila indiana, l’uno dietro l’altro.

Introdurrei nei versi la fragranza
delle rose, un alito di menta,
ed il fieno tagliato, i prati, i biodi,
gli schianti della tempesta.

Così Chopin immise in altri tempi
un vivente prodigio
di ville, di avelli, di parchi, di selve
nei propri studi.

Giuoco e martirio
del trionfo raggiunto,
corda incoccata di un arco teso.”

Boris Pasternak, da “Poesie”

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Consigli a un giovane poeta

Meglio scrivere un libro importante nel deserto,
Dirgli ” Sei frutto del deserto, qui sei nato e qui rimani,
Solo le pietre e il vento ti avranno conosciuto”,
Che diventare celebri per equivoco.

II
Il poeta che non è pronto a ignorare quel che si dice di lui
come la brezza ignora quel ch’egli stesso ne dice;
Il poeta che non sa contemplare chi lo loda o lo biasima
Col calmo stupore di una rosa occupata nei suoi pensieri di rosa;
Il poeta che non ha mai somigliato a una sorgente
Che dal profondo soltanto deriva il suo riso e le lacrime,
Perché non si è messo piuttosto un berretto di piume di gallo,
Non regge un uovo sul naso e non danza sui bicchieri?
Ci sono tanti modi innocui di attirare la gente!

III
Dio mio salvami dalla parola condotta in parata come un vitello
nel giorno di fiera;
Con fiocchi rossi alla coda e una ghirlanda che di traverso gli
scende sui grandi occhi occhi tristi, fra la ressa dei villani e
le grida dei sensali.

IV
Libera il tuo cuore e ascolta, perché non vi è altro da fare.
E quando hai ascoltato, dimentica più che puoi, se sei saggio.
Ciò che non puoi dimenticare, ridillo: in che modo non importa.
L’arpa dei serafini, il mugghio del toro in amore,
Il gemito della colomba, il solitario vento notturno,
La campana ed il tuono son tutte voci accettabili.
Non preoccuparti della scelta perché al momento troverai le parole.
Né della gloria: è solo un fischio rotto –
E detto questo non vi è molto da aggiungere.

V
Come allodola che lancia il suo trillo alto nel sole,
E uno dice ” E’ un miracolo”, un altro “Non è proprio nulla”,
e un terzo non si domanda neppure cos’è;
Obbedisci all’azzurro, dimentico di chi ciancia presso il tuo nido
di terra:
L’azzurro e chi è sopra l’azzurro sanno bene perché ti hanno
chiamato.

Margherita Guidacci, da “Paglia e polvere”, 1961

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Cosa crea la poesia

“Cosa crea la poesia, mi chiedi
e io, come il carbonaio nel film basco
corro ad abbracciare la pila di carbone che vien giù.
Stiamo parlando di un atto che salva la vita, dico,
il coraggio di toccare il calore che collassa.
“Oltre tutto ciò,” come scrisse Larkin,
“il desiderio di stare soli.”
Questa terra lacerata mi pesa sul collo.
Il coltello, il pugnale, e la lancia
sono contaminati dal giorno in cui la gente pensò di produrli.
Noi andiamo in giro come quelli che hanno perso il senno,
tamburellando sui nostri petti esposti in folli cerimonie.
Le poesie, ti prometto, non sono state sperimentate su animali.
Tutto viene fatto con attenzione e severità, creato umanamente,
in fondo, stiamo parlando di esseri umani.
La testa di una donna palestinese bendata di cotone bianco sta su un vassoio
come la testa del Battista presentato a Salomé.
Nella terra della vendetta, che goccia latte e sangue di madre
le poesie sono beni mobili –
pietre, crinali, case, recinti.”

Dvora Amir (poetessa israeliana), “Lezione di geografia”

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A una poesia non ancora nata

“Davanti a un tè ci domandiamo perché scriviamo poesie.
Dieci persone le leggono, in ogni caso.
A tre non piacciono
per partito preso.
Tre provano un vago struggimento
ma devono pensare ai rubinetti che perdono
e al traffico cittadino.
A due piacciono
e non avrebbero problemi a dirtelo,
ma non sanno come.
Un’altra è tutta presa a preparare domande
sulle facili ironie
e sulla politica dell’identità.
La decima si chiede
se porti le lenti a contatto.

E noi
corrotti come chiunque altro
da un mondo assuefatto
ai carboidrati
e alle parole,

brancoliamo ancora
fra tramonti, metrica e
schegge di speranza

per un istante
liberi
dal terribile contagio
dell’abitudine.”

Arundhathi Subramaniam, “A una poesia non ancora nata”, da “L’India dell’anima”

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Potete legarmi mani e piedi

“Potete legarmi mani e piedi
togliermi il quaderno e le sigarette
riempirmi la bocca di terra
la poesia è sangue del mio cuore vivo
sale del mio pane,
luce dei miei occhi,
sarà scritta con le unghie,
con lo sguardo
e col ferro.
La canterò nella cella della mia prigione
nella stalla
sotto la sferza
tra i ceppi
nello spasimo delle catene.
Ho dentro di me milioni di usignoli
per cantare la mia canzone di lotta.”

Mahmud Darwish

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La poesia attraversa la terra sola sola

“La poesia attraversa la terra sola sola
appone la sua voce sul dolore del mondo
e nulla chiede
nemmeno una parola.
Arriva da lontano, senza tempo, e non avverte;
ha le chiavi di casa.
Sulla soglia si ferma di solito e ci guarda,
poi dischiude una mano e ci consegna
una corolla o un sasso, qualcosa di segreto
e così intenso, che prende a palpitare il cuore
all’impazzata. E ci risveglia.”
Eugenio Montejo
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Francesco Furini (1603 – 1646), “Pittura e poesia”
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La poesia è un miele
“La poesia è un miele che il poeta,
in casta cera e cella di rinuncia,
per sé si fa e pei fratelli in via;
e senza tregua l’armonia annuncia
mentre discorde sputa amaro il mondo.
Da quanto andar in cerca d’ogni parte,
in quanti fiori sosta, e va profondo
come l’ape il poeta!
L’ultime cose accoglie perché sian prime;
nettare, dolorando, dolce esprime,
che al ciel sia vita mentre è quaggiù sol arte.
Così porta bontà verso le cime,
onde in bellezza ognun scorga la meta
che il Signor serba a chi fallendo asseta.”

Clemente Rebora, “La poesia è un miele”, 15 ottobre 1955

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     Marc Chagall, “Le paysage bleu”, 1949

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O poesia nel lucido verso

“O poesia, nel lucido verso
Che l’ansietà di primavera esalta
Che la vittoria dell’estate assalta
Che speranze nell’occhio del cielo divampa
Che tripudi sul cuor della terra conflagra,
O poesia, nel livido verso
Che sguazza fanghiglia d’autunno
Che spezza ghiaccioli d’inverno
Che schizza veleno nell’occhio del cielo
Che strizza ferite sul cuor della terra,
O poesia nel verso inviolabile
Tu stringi le forme che dentro
Malvive svanivan nel labile
Gesto vigliacco, nell’aria
Senza respiro, nel varco
Indefinito e deserto
Del sogno disperso,
Nell’orgia senza piacere
Dell’ebbra fantasia;
E mentre ti levi a tacere
Sulla cagnara di chi legge e scrive
Sulla malizia di chi lucra e svaria
Sulla tristezza di chi soffre e accieca,
Tu sei cagnara e malizia e tristezza,
Ma sei la fanfara
Che ritma il cammino,
Ma sei la letizia
Che incuora il vicino,
Ma sei la certezza
Del grande destino,
O poesia di sterco e di fiori,
Terror della vita, presenza di Dio,
O morta e rinata
Cittadina del mondo catenata!”

Clemente Rebora, “O poesia nel lucido verso”, da “Frammenti lirici”

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Intelletto d’amore

“La poesia è anarchica, risponde a leggi solo proprie, non può e non deve piegarsi a nient’altro
che a se stessa.
La sua legge interiore è ritmo, musica assoluta.
Questo spiega la commozione che proviamo nell’ascoltare letture di poesia in lingue a noi sconosciute.
Abbiamo l’impressione di comprendere
anche se non capiamo le parole,
perché le nostre molecole consuonano con la musica profonda della poesia,
che è la stessa in ogni lingua: un ultrasuono, un rumore bianco.
Una lingua invisibile, un ronzio nucleare
traducibile per approssimazione,
una sonorità che entra in risonanza con la parte più estranea e profonda delle nostre molecole
e col rombo primario della materia
che compone la sedia
sulla quale sediamo.
Come certa musica – penso al Chiaro di luna di Ludwig van Beethoven – è un linguaggio
letteralmente universale:
i poeti lo scrivono da sempre, ma le recenti scoperte astrofisiche lo confermano
con rigore scientifico, non più solo intuitivo: il nucleo più profondo di noi
è composto della stessa materia delle stelle.
Parole di Margherita Hack: «Tutta la materia di cui siamo fatti l’hanno costruita le stelle. Tutti gli elementi, dall’idrogeno all’uranio, sono stati fatti nelle reazioni nucleari che avvengono nelle supernovae, stelle molto più grandi del Sole, che alla fine della loro vita esplodono e sparpagliano nello spazio
il risultato di tutte le reazioni nucleari avvenute al loro interno».
Dalle scoperte ultimissime sappiamo ancora che
metà degli atomi che formano i nostri corpi è materia prodotta fuori dalla Via Lattea, viene da una distanza
che non si può
commensurare.
La vibrazione delle nostre molecole entra in risonanza materiale con la vibrazione dell’universo,
fin dentro l’universo sconosciuto. Questa forza
«che move il sole e l’altre stelle»
è quella che Dante chiama «amore».
La poesia intercetta il corale profondo e ininterrotto di questa forza, intona la sua voce
al rombo delle stelle extragalattiche
e al rombo primario della materia
che compone la sedia
sulla quale sediamo.
È un oggetto fatto di parole
sempre d’amore.
E basta.”

Maria Grazia Calandrone, “Intelletto d’amore”

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Scrivere una poesia

“Scrivere una poesia
sempre è un colpo di mano sull’ignoto,
un penetrare svegli
nel mistero del sogno,
un prendere possesso della notte.
Aggiramento, azione di sorpresa
sulla nostra città profonda:
forzare la sua porta,
entrare fra le case addormentate,
scoprire il loro segreto.
Perciò una poesia
si scrive di soppiatto,
all’insaputa quasi di noi stessi;
è un contrabbando fatto sui confini
sorprendendo le scolte, è un furto sacro
in cui si rischia la dannazione
o il bacio divino.
Perciò poetando non si deve quasi
vedere ciò che si scrive
nel tenebrore, nel dormiveglia,
nei frastagli del confine
che sono come i fiordi della mente
ove si penetra nei mari interni
molto addentro nei seni
di una soprannaturale calma.”

Giorgio Vigolo, “Scrivere una poesia”

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L’appesa

“Come stare in equilibrio qui
Fra un mondo che è mondo
E un blu infinito di poesia?

Vi saluto da qui, dove sono appesa.
forse non mi vedete
ma giro intorno alle vostre teste
e da qui posso leggere i vostri pensieri
guardare i vostri seni
vedere il colore del latte che portate dentro
non ancora maturo
non ancora baciato , non ancora amato.
Se scendessi sarebbe una strage.
Finirei per uccidervi
(Non potreste mai reggere alle vostre passioni.)
Quindi rimango qui.

La contemplazione è compito di poeti.”

Candelaria Romero

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La poesia

“Bisognerebbe scriverli bianchi, quei libri…”

Se è vero che la poesia
è la lingua più straniera di tutte
perché incendia le parole
che se ne stanno quiete
e ammassate nei vocabolari
senza sapere di essere vive,
se è vero tutto questo
non resta che aspettare.

Lei è sempre stata l’onda
molto più potente di me
che mi travolge,
il fiore profumato che brucia
e mi annega.

Nella poesia c’è sempre la verità,
per questo fa paura:
è un ciclone
e arriva all’improvviso.

I libri di poesia sono l’assalto al palazzo d’inverno,
il cuore dell’aquila quando apre le ali,
il morso della tenerezza,
il volo del passero,
i denti della volpe sul collo della lepre,
il nome di ogni rivoluzione,
il tuo e il mio.

Bisognerebbe scriverli bianchi, quei libri,
perché là dentro esplode
la verità di tutte le cose
come una notte,
nelle costole di Dio,
sono esplosi il mondo
e l’ universo intero.

Anna Spissu, “La poesia”, da “Lettere da Atlantide”

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Dice la parola poesia per la prima volta

“Sai il tempo, tutto il tempo,
tra questa parola e il tuo tempo?
Sai l’aria, tutta l’aria
tra questa parola e la tua aria?
Il mare, forse, sai, il dolore,
l’amore, la terra, la morte,
sai,
tra questa parola e i tuoi finissimi fili?
É arrivata fino a te come una magia,
magari come una vecchiezza?
Ha bagnato con acqua delicata
la tua acqua, la purissima, la quieta?
T’ha incoronato di splendente luce?
Ti ha messo sulla bocca farine dolci?
Chi potrà dire mai ciò che succede
quando due bambini si baciano.”

Juan Gelman, “Dice la parola poesia per la prima volta”

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Ultima poesia

“Così vorrei che fosse la mia ultima poesia
Che fosse tenera nel dire le cose
più semplici e meno
intenzionali
Che fosse ardente come un singhiozzo
senza lacrime
Che avesse la bellezza dei fiori quasi senza profumo
La purezza della
fiamma che consuma i diamanti più
puri
La passione dei suicidi
che si ammazzano senza spiegazione.”

Manuel Bandeira, “Ultima poesia”

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I poeti di oggi

“I poeti di oggi, I poeti con dita tremanti come dei pioppi e corte come pallottole
I poeti con sassi di tutte le misure in tutte le tasche
Devono sapere che l’unica difficoltà è spaccare la prima vetrina incontrata sui grandi viali
Perché le altre vetrine si frantumano da sole Così come basta spegnere una sola stella
Affinché tutte le altre si spengano da sole Chiedo perdono per il paragone con la stella,
Poeti,
È un ricordo dei tempi passati
Quando mi estasiavo davanti agli alberi in fiore e svenivo a ogni levar del sole”.

Ghèrasim Luca,  da “Tragedie che dovranno succedere”

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Al principe

“Se torna il sole, se discende la sera,
se la notte ha un sapore di notti future,
se un pomeriggio di pioggia sembra tornare
da tempi troppo amati e mai avuti del tutto,
io non sono più felice, né di goderne né di soffrirne:
non sento più, davanti a me, tutta la vita…
Per essere poeti, bisogna avere molto tempo:
ore e ore di solitudine sono il solo modo
perché si formi qualcosa, che è forza, abbandono,
vizio, libertà, per dare stile al caos.
Io tempo ormai ne ho poco: per colpa della morte
che viene avanti, al tramonto della gioventù.
Ma per colpa anche di questo nostro mondo umano,
che ai poveri toglie il pane, ai poeti la pace.”

Pier Paolo Pasolini, da “Versi dal paese dell’anima”

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       Joan Miro, “La bañista” 1924

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Più leggeri dell’aria
“Un gran peso
le poesie non l’hanno.
Fintanto che sale, la palla da tennis,
è, mi pare,
piú leggera dell’aria.
L’elio comunque,
l’ispirazione, questo formicolare
nel nostro cervello,
anche i fuochi di sant’Elmo
e i numeri naturali.
Pesano pressoché nulla,
per non parlare,
sebbene siano innumerevoli,
dei trascendenti,
loro esimi cugini.
A quanto ne so, questo vale
anche per l’alone del magnete
che non vediamo,
per quasi tutte le aureole dei santi
e senz’eccezioni per le note dei valzer.
Piú leggero dell’aria,
come il dolore dimenticato
o il fumo azzurrino dell’ultima,
proprio l’ultima sigaretta,
è naturalmente l’io,
e, a quanto ne so,
sempre sale il fumo del sacrificio,
che è cosí grato agli dèi,
verso il cielo.
Ma anche lo Zeppelin.
Molte cose rimangono
in ogni caso a mezz’aria.
Piú leggero di tutto è forse
ciò che resta di noi
quando siamo sotto terra.”
Hans Magnus Enzensberger, “Più leggeri dell’aria”
*****

In rime banali

“È una gran gioia: fiore accanto a fiore,
i rami degli alberi nel cielo puro,
e una più grande: domani è mercoledì,
arriverà una tua lettera di sicuro,
e ancora più grande: tema la busta,
è buffo leggere nelle macchie del sole,
e ancora più grande: solo una settimana,
ormai soltanto quattro giorni d’attesa,
e ancora più grande: la valigia
l’ho chiusa con mia vera sorpresa,
e ancora più grande: un biglietto
per le sette, sì, grazie signora,
e ancora più grande: nel finestrino
i paesaggi corrono velocemente,
e ancora più grande: è più buio, è buio,
stasera saremo insieme finalmente,
e più grande ancora: apro la porta,
e più grande ancora: quando lì davanti,
e ancora più grande: fiore accanto a fiore.
– Perché ne hai comprati cooosì tanti?”

 

Wislawa Szymborska, “In rime banali”, da “Discorso all’ufficio oggetti smarriti”, 2004

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Alternativa episodica del poeta
“Stavo per scrivere una poesia
invece ho fatto una torta
ci è voluto
più o meno lo stesso tempo
chiaro la torta era una stesura
definitiva una poesia avrebbe avuto
un po’ di strada da fare giorni e settimane e
parecchi fogli stropicciati
la torta aveva già una sua piccola
platea ciarlante che ruzzolava tra
camioncini e un’autopompa sul
pavimento della cucina
questa torta piacerà a tutti
avrà dentro mele e mirtilli rossi
albicocche secche tanti amici
diranno ma perché diavolo
ne hai fatta una sola
questo non succede con le poesie
a causa di una inesprimibile
tristezza ho deciso di
dedicare la mattinata a un pubblico
ricettivo non voglio
aspettare una settimana un anno una
generazione che si presenti il consumatore giusto”
Grace Paley, da “Fedeltà”
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È responsabilità 
“È responsabilità della società accettare che il poeta sia un poeta
È responsabilità del poeta essere una donna
È responsabilità del poeta stare agli angoli delle strade
consegnando poesie e volantini scritti mirabilmente
o volantini dalla retorica esasperata
inguardabili
È responsabilità del poeta essere pigro andare in giro a vaticinare
È responsabilità del poeta non pagare tasse destinate alla guerra
È responsabilità del poeta entrare e uscire da torri
d’avorio e bilocali in periferia
e campi di granoturco e accampamenti militari
È responsabilità del poeta maschio essere una donna
È responsabilità del poeta femmina essere una donna
È responsabilità di chi è poeta affermare la verità contro il potere come dicono i Quaccheri
È responsabilità di chi è poeta imparare la verità da chi non ha potere
È responsabilità del poeta dire molte volte: non c’è
libertà senza giustizia e questo significa giustizia
economica e giustizia degli affetti
È responsabilità del poeta cantarlo in tutte le chiavi
originali e tradizionali in cui si cantano e dicono le poesie
È responsabilità del poeta ascoltare le chiacchiere e rimetterle
in giro come i cantastorie che travasano il racconto della vita
Non c’è libertà senza paura e coraggio.
Non c’è libertà se non continuano
la terra e l’aria e l’acqua e se non continuano
anche i bambini
È responsabilità del poeta essere una donna sorvegliare
il mondo e gridare come Cassandra ma stavolta
essere ascoltata.”
Grace Paley (Grace Goodside), scrittrice, poetessa e attivista americana, “”It Is the responsability”, da “Fidelity”, 2011
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La poesia
“Ma tu, Poesia
che un giorno vestisti la nostra nuda ebbrezza,
quando avevamo freddo e nessun abito
da indossare
quando sognavamo perché non c’era altra vita
da vivere,
Ci saranno nuvole per far viaggiare il nostro sogno?
Ci saranno corpi per vivere il nostro amore?
Ma tu, Poesia
che le forme non possono contenere,
ma tu, Poesia
che non ti possiamo toccare con la parola,
tu
ultima traccia della presenza di Dio tra
noi,
salva l’ultima ora dell’uomo,
la più brutale e disperata,
che la Morte
la Solitudine
il Silenzio,
lo attendono in un istante futuro.”
Aris Dikteos (pseudonimo di Konstantinos Constanturakis), “La poesia”
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Il bisbiglío reticente
“Il bisbiglío reticente di una bocca baciata
che sorride: sí
non lo sento da molto tempo.
E poi non mi spetta.
Mi piacerebbe però trovare ancora parole
che fossero impastate
con mollíca di pane
o profumo di tiglio.
Ma il pane è ammuffito
e i profumi sono amaricati.
E attorno a me strisciano parole in punta di piedi
e mi strangolano
se voglio afferrarle.
E i colpi delle maledizioni rimbombano sulla porta!
Se le costringessi a danzare per me,
resterebbero mute.
E per giunta zoppicano.
Però so bene
che un poeta deve sempre dire piú
di ciò che sta nascosto nel rombo delle parole.
Ed è la poesia.
Altrimenti non potrebbe con la búrbera del verso
cavare un bocciolo da strascichi di miele
e forzare il brivido
a corrervi per la schiena
quando spoglia la verità.”
Jaroslav Seifert (poeta ceco), “Il bisbiglío reticente”, da “Concerto sull’isola”, 1965
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Al risveglio, la poesia
“Al risveglio ho trovato
con la luce una lettera.
Ma non posso sapere
che dice: non so leggere.
E non voglio distrarre
un sapiente dai libri:
ciò che c’è scritto forse
non lo saprebbe leggere.
La terrò sulla fronte,
la terrò stretta al cuore.
Quando scende la notte
ed escono le stelle,
la porterò sul grembo
e resterò in silenzio.
E me la leggeranno
le foglie che stormiscono,
e ne farà il ruscello
col suo scorrere un canto
che a me ripeterà
anche l’Orsa dal cielo.
Io non lo so trovare
quel che cerco, o capire
cosa dovrei imparare,
ma so che questa lettera
che non ho letto, ha reso
più lieve il mio fardello,
e tutti i miei pensieri
ha mutato in canzoni.”
Rabindranath Tagore, “Al risveglio, la poesia”
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Se non mi avessi dato la poesia, Signore
“Se non mi avessi dato la poesia, Signore,
non avrei nulla per vivere.
Questi campi non sarebbero miei.
Mentre ora ho avuto la fortuna di possedere meli,
di fare spuntare rami dalle mie pietre,
riempire di sole il cavo delle mie mani
di gente il mio deserto,
di usignoli i miei giardini.
Allora, come ti sembra? Hai visto
le mie messi, Signore?
Hai visto le mie viti?
Hai visto come cade bene la luce
sulle mie valli serene?
Ed ho ancora tempo!
Non ho dissodato tutto il mio territorio, Signore.
Il mio dolore mi scava a fondo e il mio lotto aumenta.
Prodigo il mio riso come pane che si spartisce.
Tuttavia,
non spendo a torto il tuo sole.
Non getto neanche una briciola di ciò che mi dai.
Perché penso alla solitudine e agli acquazzoni dell’inverno.
Perché verrà la mia sera. Perché giunge fra poco
la mia sera, Signore, e prima di andarmene
devo avere fatto della mia capanna una chiesa
per i pastori dell’amore.”
Nikiforos Vrettakos
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Una poesia può esprimere idee sconnesse
“Una poesia può esprimere idee sconnesse
può aggirare la logica. Non loda
il passato ai danni del presente
né si limita ad accettarlo o a criticarlo.
A volte Qualunque diventa Qualcuno.
Da dove vengono né dove vanno
non si sa i pensieri sbandati dei poeti.
Pensieri vani, magari nebulosi
pare che oscillino in un limbo
di umiltà e superbia.
Qualcuno auspica un poeta che ami
gli esseri umani più che la poesia.”
Bianca Maria Frabotta, da “Nessuno veda nessuno”, 2022
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Un poeta non deve in primavera
“Un poeta non deve in primavera
passare da solo per i parchi.
Sotto i rami si abbracciano le coppie
e l’erba è umida.
Non deve attraversare
da solo i parchi in primavera.
Ci sono nuvole lanceolate, voli, resti
di amore usato già in terra, e i lillà,
i lillà così dolci, come feriscono.
In primavera è pericoloso il mondo.”
Juan Cobos Wilkins, da “Biografia impura”, 1957
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Ultima poesia
“Così vorrei che fosse la mia ultima poesia
Che fosse tenera nel dire le cose
più semplici e meno
intenzionali
Che fosse ardente come un singhiozzo
senza lacrime
Che avesse la bellezza dei fiori quasi senza profumo
La purezza della
fiamma che consuma i diamanti più
puri
La passione dei suicidi
che si ammazzano senza spiegazione.”
Manuel Bandeira (poeta brasiliano)
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Rafal Olbinski
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L’albero delle poesie
“Quando l’albero delle poesie non dà poesie,
I suoi rami si contorcono tutti, come le mani
di sepolti vivi,
Rami nudi, rinsecchiti, senza il perdono
di Dio!
E poi, mio Dio, quella lenta processione di anime
emigranti…
Di tanto in tanto una cade, sfinita, sul ciglio
della strada,
Perché nessuno le reca al labbro la frescura di
brocca d’acqua,
La dolcezza di frutto che potrebbe esserci in una poesia.
Maledetta generazione senza poeti che lascia
le anime incamminarsi,
Incamminarsi come animali in stupida migrazione!
Quando l’albero delle poesie non dà poesie,
Quale sarà il destino delle anime?”
Màrio Quintana, “L’albero delle poesie”
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Foto di Fran J. Scott
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Le poesie son passeri 
“Le poesie son passeri che arrivano
non si sa da dove e si posano
sul libro che leggi.
Quando chiudi il libro, spiccano il volo
come da una gabbietta.
Loro non sanno né dove posarsi
né hanno un porto
si alimentano per un istante in ogni paio di mani
e vanno via.
E guardi, allora, queste tue mani vuote,
con la meravigliosa sorpresa di sapere
che il loro alimento era già dentro di te…”
Màrio Quintana
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Poetica
“Voglio che la mia poesia parli di barche e d’azzurro, che parli
del mare e del corpo che lo cerca, che parli di uccelli e
del cielo che abitano. Voglio una poesia pura, pulita
dai rifiuti delle cose banali, delle contaminazioni di chi
guarda solo per terra; una poesia dove il sublime ci
tocchi, e il poetico sia la parola piena. È questa poesia
che scrivo sulla pagina bianca come la parete che era
appena stata verniciata, con le sue imperfezioni
cancellate dalla luce del giorno, e un riflesso del sole
a gridare la vita. E voglio che questa poesia discenda
nelle cantine dove la miseria si accumula, sulle panchine
dove dormono i senza tetto e i senza speranza,
sulle tavole sporche dei resti dell’alba, negli
angoli dove la donna della notte attende l’ultimo
cliente, sulla disperazione di chi non sa da che parte
fuggire quando la morte bussa alla sua porta. E canto
la bellezza che sopravvive alle frasi comuni, alle parole
sporcate dal quotidiano dei mediocri,
ai versi slavati di chi non ha mai sentito
il grido dell’angelo. E dico questo perché sia, nella
poesia, come la pietra scolpita da un fuoco divino.”
Nuno Júdice (poeta portoghese), da “La materia della Poesia”, 2015
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L’uccello ambizione
“Mi piacerebbe una vita semplice.
Invece tutta notte ripongo
Poesie in una scatolina.
È la scatola dell’immortalità,
Il mio piano rateale,
La mia bara.
Tutta la notte ali cupe.
Sbattono nel mio cuore.
Ognuna un uccello ambizione…
L’uccello…
Vuole. Voglio.
Caro Dio, non sarebbe meglio
Bersi una cioccolata calda?…
Devo prendere un nuovo uccello
E una nuova scatola dell’immortalità.
Di follia in questa ce n’è già abbastanza.”
Anne Sexton, “L’uccello ambizione”, da “Il libro della follia”
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Robert C. Jackson, artista americano
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I poeti possono aspettare
“(I poeti, possono aspettare?)
Sapete, non sanno vivere, loro
non sanno che bere dal fango, dal pozzo
vuoto del mondo.
Non sanno nulla di voi, i poeti
di caravelle sospese o farfalle morte
d’un volteggiare
il mattino nel vostro caffè.
Forza, domandate loro
domandate ai poeti.
E non avrete vittoria
non avrete terra
per la vostra casa d’infanzia,
non avrete cibo
per la vostra dieta avanzata,
non avrete soldi abbastanza
per la vostra vacanza
da paure e singhiozzi
e piaceri goduti dell’oggi su ieri
Ma domandate vi prego
domandate ai poeti
d’arterie impazzite
di sorrisi nell’erba
di dubbi in pentola
di piedi nel latte
di pozzanghere e dita
di vergogne e comò
d’ambizioni e di note
di traumi e diabete
di carezze nel palmo
di ciottoli e bruchi
nascosti, domandate
di ponti e Gesù.
Domandate ai poeti, lo spero.
Domandate vi prego!
D’un recondito nulla, d’uno
semplice sfondo, d’una
vita inquadrata.
Suvvia domandate
vi prego!
Domandate ai poeti
d’ascoltarvi
d’aspettarvi
sempre
e non rispondere mai.”
Emanuela Bellini, “I poeti possono aspettare”
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L’altra città
“Esistono molte solitudini intersecate – dice – sopra e sotto
ed altre in mezzo; diverse o simili, ineluttabili, imposte
o come scelte, come libere – intersecate sempre.
Ma nel profondo, in centro, esiste l’unica solitudine – dice;
una città sorda, quasi sferica, senza alcuna
insegna luminosa colorata, senza negozi, motociclette,
con una luce bianca, vuota, caliginosa, interrotta
da bagliori di segnali sconosciuti. In questa città
da anni dimorano i poeti. Camminano senza far rumore, con le mani conserte,
ricordano vagamente fatti dimenticati, parole, paesaggi,
questi consolatori del mondo, i sempre sconsolati, braccati
dai cani, dagli uomini, dalle tarme, dai topi, dalle stelle,
inseguiti dalle loro stesse parole, dette o non dette.”

Ghiannis Ritsos, “L’altra città”, da “Gesti”, 1978 – Traduzione di Nicola Crocetti

 

*****

Ricetta
“Si prenda un poeta non stanco,
Una nuvola di sogno e un fiore,
Tre gocce di tristezza, un riflesso dorato,
Una vena sanguinante di paura.
Quando l’impasto già bolle e si ritorce
Si aggiunga la luce di un corpo di donna,
Da un pizzico di morte rinforzata,
Che un amore di pietà è così.”
Josè Saramago, “Ricetta”
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Gianmaria D’Andrea (GIANDANIX), “Golfo dei poeti”, 2005
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Questo è un omicidio
1
“Dicono di me che sono un poeta maledetto.
Certo, io scrivo
poesie maledette
io infrango usi
etica
e nobili virtù
2
Dicono anche
che sono responsabile del nostro fallimento spirituale
e popolare, della frustrazione, della sconfitta.
Narrano mille e una storia sul mio conto.
Ogni artista nella mia patria
galleggia sul mare della calunnia
ma io sono sempre saldo
come la scialuppa sul mio vascello
dai fulmini, dai lampi
ferita dell’impeto della tempesta.
Perché io vivo, mia signora, in una patria
nel cui codice penale “parola” è sinonimo
di “omicidio”.
3
Non ti affliggere per me, amica mia,
perché tutti gli omicidi di cui sono stato accusato
sono giusti omicidi.
Non ho forse detto che questo mondo senza una donna
sarebbe un ammasso di pietre?
E che chi non conosce la passione
non può sapere cosa sia la civiltà?
4
Non ti affliggere per me, amica mia,
l’unico crimine da me perpetrato
è l’aver vietato ai nomadi di tenere in conto di cibo le loro donne.
L’unico peccato da me commesso
è aver rifiutato la sottomissione
l’aids politico
il pensiero ufficiale
le turpi organizzazioni.
L’unica offesa da me arrecata – oh meraviglia! –
è aver votato per la voce di Fayruz
e non per il governo.
L’unico errore da me commesso
è aver rifiutato che il popolo venisse calpestato
con le vecchie scarpe.
È questo l’omicidio.
È questo l’omicidio.
5
Amica mia,
tenera amica mia,
non ti affliggere per il mio sgomento
i tiranni alla fine cadranno
e si leverà alta la poesia e infinita.”
Nizār Tawfīq Qabbānī, da “Il fiammifero è in mano mia e le vostre piccole nazioni sono di carta e altri versi”, 2001 – Traduzione di Valentina Colombo
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Moio, “Poema sonoro”
*****
Fate fogli di poesia poeti
“Fate fogli di poesia poeti
Cominciate, poeti, a spedire fogli di poesia
Ai politici, gabellieri d’allegria
A chi ha perso l’aria di studente spaesato
A chi ha svenduto lo stupore di un tempo
Le ribalte del non previsto, ai sindacalisti, ai capitani d’industria
ai capitani di qualcosa,
usate la loro stessa lingua
non pensate, promettete… disarmateli se potete!
(al diavolo le eccedenze, poeti
le care eccedenze,
le assenze anche,
i passeri di tristezza,
i rapimenti pendoli fermi,
i voli mozzi, i sigilli
le care figure accostate al silenzio
gli addentellati, i germogli, gli abbagli…
Al diavolo al diavolo).
Disprezzate i nuovi eroi, poeti
cacciateli nelle secche del mio gazebo oblungo
(ricco di umori malandrini, così ben fatto)
Fatevi anche voi un gazebo oblungo
chiudeteci le loro parole di merda
i loro umori, i loro figli, il denaro
il broncio dellr loro donne, le loro albe vivide.
Spedite fogli di poesia, poeti
dateli in cambio di poche lire
insultate il damerino, l’accademico borioso
la distinzione delle sue idee
la sua lunga morte.
Fatevi disprezzare, dissentite quanto potete
fatevi un gazebo oblungo, amate gli sciocchi artisti beoni
le loro rivolte senza senso
le tenerezze di morte,
i cieli di prugna
le assolutezze, i desideri da violare, le risorse del tempo
i misteri di donna Catena.
Fate fogli di poesia, poeti vendeteli per poche lire.”
Antonio L. Verri, da “Il pane sotto la neve”
*****
Nei tempi oscuri
“Non si dirà: quando il noce si scuoteva nel vento
ma: quando l’imbianchino calpestava i lavoratori.
Non si dirà: quando il bambino faceva saltare il ciottolo piatto sulla rapida del fiume
ma: quando si preparavano le grandi guerre.
Non si dirà: quando la donna entrò nella stanza
ma: quando le grandi potenze si allearono contro i lavoratori.
Tuttavia non si dirà: i tempi erano oscuri
ma: perché i loro poeti hanno taciuto?”
Bertolt Brecht, da “Poesie politiche”, 1992 – Traduzione di Enrico Ganni
*****
Pawel Kuczynski
*****
Poeti
“Poeti
i misteriosi,
gli schietti,
una scatola cranica per elmo,
per scudo un velo di cellofan,
poeti,
queste specie, queste seppie
che si difendono
schizzando inchiostro.”
Nina Cassian, da “C’è modo e modo di sparire”, 2013 – Traduzione di A.N. Bernacchia e O. Fatica
*****

Nell’immagine in evidenza: Alphonse Mucha, “Poetry” (allegory).

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