Affabulazioni

Mo’ basta!

11.11.2021
A Napoli, Gaetano, durante l’invasione tedesca del 1943, ha nascosto in una cantinola dello stabile, di cui è portinaio, un ebreo per sottrarlo ai rastrellamenti tedeschi e oggi racconta a un ragazzo l’insurrezione delle 4 giornate dove i napoletani scacciarono le truppe del generale Scholl dalla città.
“Hai capito che guerra era, guaglio’? Morivano più i disarmati che i soldati. Per strada cominciavo a sentire i pensieri: ma perché stanno dentro la città e non vanno a combattere? Perché fanno prepotenze contro la povera gente invece di andare al fronte? Cominciavano i pensieri di una testa sola. Le persone quando diventano popolo fanno impressione. Così arriva una mattina, una domenica di fine settembre, finalmente piove e sento in bocca a tutti la stessa parola, sputata dallo stesso pensiero: mo’ basta. Era un vento, non veniva dal mare ma da dentro la città: mo’ basta, mo’ basta. Se mi chiudevo le orecchie, lo sentivo più forte. La città cacciava la testa fuori dal sacco. Mo’ basta, mo’ basta, un tamburo chiamava e uscivano i guaglioni con le armi. Il centro della rivolta si era piazzata nel liceo Sannazzaro, gli studenti erano stati i primi. Poi uscivano gli uomini nascosti sotto la città, salivano da sottoterra come una resurrezione. ‘Dalle ‘ncuollo’, dagli addosso, le strade erano bloccate dalle barricate. Al Vomero tagliavano i platani e li mettevano a fermare il passaggio dei carri armati. Facemmo una barricata a via Foria incastrando una trentina di tram. La città scattava a trappola. Quattro giornate e tre nottate, era come adesso, fine di settembre.
I carri armati tedeschi riuscirono a passare lo sbarramento di via Foria, scesero a piazza Dante e si avviarono per via Roma. Là sono stati fermati. Giuseppe Capano, di anni 15, si è infilato sotto i cingoli di un carro armato, ha disinnescato una bomba a mano ed è riuscito da dietro prima dell’esplosione. Assunta Amitrano, anni 47, dal quarto piano ha tirato una lastra di marmo presa da un comò e ha scassato la mitragliatrice del carro armato. Luigi Mottola, 51 anni, operaio delle fogne, ha fatto saltare una bombola di gas spuntando da un tombino sotto la pancia di un carro armato. Uno studente di conservatorio, Ruggero Semeraro, anni 17, aprì il balcone e attaccò a suonare al pianoforte “La Marsigliese”, quella musica che fa venire ancora più coraggio. Il prete Antonio La Spina, anni 67, sulla barricata davanti al Banco di Napoli gridava il salmo 94, quello delle vendette. Il barbiere Santo Scapece, anni 37, tirò un catino di schiuma di sapone sul finestrino di guida di un carro armato che andò a sbattere contro la saracinesca di un fioraio. La mira dei nostri cittadini era diventata infallibile nel giro di tre giorni. Le bottiglie incendiarie facevano il guasto ai carri armati, li accecavano di fiamme. Ero diventato esperto nel farle, ci mettevo dentro qualche scaglia di sapone per fare attaccare meglio il fuoco. Il diesel ce l’avevano dato i pescatori di Mergellina, che non potevano uscire per mare a causa del blocco del golfo e delle mine.
Sei persone in mezzo a una folla inventavano la mossa giusta per inguaiare un reparto corazzato del più potente esercito che da solo aveva conquistato mezza Europa. Non era la prima volta che sei persone riuscivano nell’impresa. Già nel 1799 le armate francesi, le più forti del tempo, erano state fermate all’ingresso della città, da un’insurrezione di popolo, dopo che si era sciolto l’esercito borbonico. Sei persone dotate di nome, cognome, età, mestiere, fermavano la riconquista tedesca della città. sei persone tirate a sorte dalla necessità risolvono la situazione mentre intorno gli altri fanno tante mosse generose ma imprecise. Quando spuntano sei persone, tutte in una volta, allora si vince”.
“E dove sta quel popolo adesso, don Gaetano?”
“Al posto suo, non si è spostato e non si è scordato. Il popolo fa la sua mossa, poi subito si scioglie, ritorna a essere folla di persone. Corrono ai fatti loro ma più spiritosi, perché le rivolte fanno bene all’umore di chi le fa. Le battaglie del terzo giorno furono più accanite. Dovevamo pure stanare i fascisti che sparavano dai tetti sopra di noi. In questi combattimenti riuscivo a scendere nel nascondiglio per portargli [all’ebreo] da mangiare. Il terzo giorno passai da lui all’alba, gli dissi che se non tornavo entro 24 ore, lui poteva uscire. Mi chiese un favore per quel giorno.
‘Andate a riva al mare e buttate una pietra nell’acqua per me.’ Pensai che si era indebolito di mente a forza di stare là sotto. Gli risposi che non sapevo se ci passavo per la marina, che la città era in rivolta. ‘È un rito nostro, domani per noi è capodanno. Lo festeggiamo a settembre. Con la pietra buttata nell’acqua facciamo la mossa di liberarci delle colpe. Domani per noi comincia l’anno. Voglia il nostro che oggi sia il giorno prima della felicità.’
Non si era indebolito di mente. Prima di passare al comando della rivolta a prendere ordini, scesi a Santa Lucia dove le donne andavano per l’acqua, salii su uno scoglio e buttai a mare una bella pietra pesante. Era capodanno per gli ebrei e doveva essere pure per noi. In quella giornata la città sparò i suoi migliori fuochi, i colpi della libertà. I tedeschi si ritirarono inseguiti e bersagliati da tutti i tetti e gli angoli di strade. Spararono le ultime cannonate da Capodimonte. Una atterrò davanti al portone del nostro palazzo ed esplose verso il basso. L’ebreo nel nascondiglio fu buttato giù dalla branda e si ferì alla testa. Se la fasciò stracciandosi la camicia. Lo trovai la sera quando gli portai la notizia che i tedeschi erano usciti.
‘Avete vinto voi?’, non mi credeva.
‘Avete vinto pure voi.’
‘È la prima guerra vinta dai tempi di Giuda Maccabeo. E pure la città nostra è la prima volta che vince una guerra.’
‘È pure la prima volta che vi rompete la testa cadendo dal letto.’
Mi chiese se avevo buttato la pietra a mare. Sì, risposi, così è capodanno pure per la città. Gli medicai la ferita, tenevo una bottiglia di brandy per festeggiare la fine della guerra, gli pulii il taglio con quello. Ne bevemmo un paio di bicchieri, ci girava la testa. Salii le scale pure con le mani.
Il giorno dopo la città era libera. I tedeschi fecero un tentativo di rientrare ma furono bloccati e rinunciarono. Lui uscì appoggiato a me cogli occhi chiusi. Con le bende intorno alla testa era uno che risaliva dall’altro mondo. La città era sfondata, andammo alla marina. Le navi da guerra americane erano tanti scogli grigi spuntati in mezzo al golfo. Lui si appoggiava a me e batteva con forza i piedi a terra dentro il paio di scarpe tedesche. ‘Non voglio camminare più in punta di piedi.’ A via Caracciolo passarono le prime camionette con la stella dipinta sul cofano. ‘Le stelle hanno dato battaglia, come è scritto nel canto di Debora, ecco le stelle in pieno giorno.’
‘Aprite gli occhi adesso, poco, solo una sbirciata.’
Si mise una mano davanti alla fronte e vide passare l’arrivo della libertà.
‘Siete libero’, dissi e ci abbracciammo. Tutti si abbracciavano. Il giorno prima della felicità stavamo per mancarla.”
Erri De Luca, da “Il giorno prima della felicità”
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Fotografia di Sonia Simbolo

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