Pensieri

Il più e il meno

12.11.2021

“Ho visto un mio libro tra le mani di una donna. Era seduta in un vagone della metropolitana, le sue dita stringevano le pagine per tenerle ferme, le voltavano delicatamente.
Ho saputo che i libri hanno una sorte migliore di quella che spetta a chi li scrive. Eccoli tenuti in braccio, portati in viaggio, su un’isola del Sud o in una tenda in montagna, fissati con intensità da un paio di occhi che farebbero subito abbassare i miei. I libri se la passano meglio di chi li fa.
Benedico la sorte di scrivere racconti e non cronache per giornali, perché a fianco della donna c’era un uomo con un quotidiano. Lo girava a colpi bruschi, lo leggeva scontento, poi l’ha ripiegato e l’ha ficcato in tasca. Prima di sera l’avrà spedito in un cestino, al macero.
Fortuna invece le mie pagine in braccio a una donna seduta. Ho avuto voglia di scriverne subito una per aggiungerla in fondo al suo libro. Non sono più mie le parole che ho scritto, sono diventate sue. Le ha volute, pescando proprio quelle nel gran bazar dei libri… E ora stanno là: sopra le sue ginocchia, sfiorate con un tocco di carezza, coi capelli che scendono a sipario. Prese e tenute così, quelle pagine sono più sue adesso di quanto siano state mie prima.”

 

“Delle migliaia di testimonianze raccolte nell’archivio dell’isola di Cernita, riporto quella di un meridionale. Buffo tradurla in italiano dall’inglese, in cui fu pensata e trascritta. “Mi avevano detto che a New York le strade erano lastricate d’oro. Quando sono arrivato mi sono accorto subito di tre cose: una, non c’era nessun oro per le strade; due, che non erano nemmeno lastricate; tre, che le dovevo lastricare io.
Quelli che viaggiano adesso senza porto di arrivo, accatastati su scialuppe e zattere, non sono attirati da leggende luccicanti, come il nostro emigrante del secolo scorso. Sanno che l’oro del sacrificio e del lavoro duro ce lo devono mettere loro. Sanno da diretta fonte l’asprezza micidiale del passaggio, lo sbarco di fortuna senza vitto, alloggio e senza la misericordia di un sorriso. Eppure puntano tutto il gruzzolo della vita in un solo lancio di dati sulla superficie del deserto e del mare. Nessuno sbarramento, ostacolo, minaccia, li scoraggia. Sono invincibili per numero e per volontà. Vengono a lastricare strade, a vendemmiare, a raccogliere olive, pomodori, mele, impastare calce, custodire bestie nei campi e anziani a domicilio. Vengono a vendere a buon mercato la loro sola merce, a noi preziosa e urgente: la forza di lavoro.

La scrittura sacra onora lo straniero, non per la sua merce di bracciante, lo onora e basta, senza tornaconto. Raccomanda di lavare i piedi al pellegrino, all’ospite improvviso. Neanche deve attendere che bussi all’uscio: Abramo si precipita incontro ai tre che vede da lontano avvicinarsi al suo accampamento, alle querce di Mamre. La scrittura sacra onora lo straniero perché è seme del mondo, perché alla specie umana fu chiesto di moltiplicarsi e riempire le facce della terra. E prescrive di amarlo: “E lo amerai come te stesso perché stranieri foste in terra d’Egitto” (Levitico/Vaikrà 19,34). E stranieri furono per quarant’anni di deserto condividendo manna in parti uguali, luoghi e tende, passi, fermate e un’alleanza stretta con la divinità scesa sul Sinai.
Straniera è la specie umana sulla faccia del mondo: “Perché mia è la terra e stranieri e residenti siete voi presso di me” (Levitico/Vaikrà 25,34). Forestiero è la condizione di partenza, la premessa. Senza di questa è facile ubriacarsi, prendersi per padroni del suolo, dell’aria, dell’acqua e del fuoco, spartirsi tra pochi le quote abusive di un condominio del mondo.

 

Erri De Luca, da “Il più e il meno”, 2015

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Nell’immagine: Jacquelyn Bischak, “Donna che legge”, 1961

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