Pensieri

Quando l’amore non è amore

14.11.2021
“Se vuoi capire quanti danni ha fatto, specchiati.
Se ancora dubiti, se un conato di cieca indulgenza ancora spinge per uscire, guardati le guance scavate, per piacere, i rami da spettro al posto delle braccia, i capelli che cadono a pioggia, atterrando sull’astanteria di un cuscino, come un ricovero di fili di cotone, come spoglie scuoiate a vivo.
Il tuo corpo sta diventando un promemoria di morte, te ne accorgi? Oltre all’onta visibile, quante pene clandestine hanno deposto le uova sotto quella pelle leggerissima che indossi? Quale lascito, quale eredità permetterai che ti perseguiti, che ti consumi fino al nucleo di lava e che lo spenga?
La bilancia tiene il conto dei chili che non pesi, e la lista dei sorrisi perduti dove la nascondi? Tu lo chiami amore, e io te lo lascio dire. Ma a me pare inquinamento, manipolazione.
No, creatura dolce, non sei pazza, non stai esagerando, non hai alcuna tendenza alla drammaturgia, alla tragedia. I tuoi occhi vedono benissimo, il tuo sesto senso è intatto, a dispetto della mente asfittica, traumatizzata da questo gioco di doppioni in cui lui si muove con naturalezza mentre tu ti smembri, divisa tra realtà e finzione, tra verità e bugia. “A cosa devo credere?” ti starai chiedendo. Al tuo istinto di sopravvivenza, credi a quello. Alla rabbia che ti monta dentro come l’acqua quando schiuma, quando raggiunge il punto di bollore e lì tracima, coi suoi tentacoli di medusa liquida infiltrati sotto il sepolcro del coperchio che li tumula. Ascolta il tuo corpo, il suo maremoto: è il mezzo con il quale la vita ti fa barca e ti rovescia, affinché tu capisca che non sei nel posto in cui dovresti essere. C’è qualcosa di profondamente sbagliato in ciò che sta accadendo. C’è disequilibrio, dissonanza, disincastro. Assenza di giustizia. Non dargli altro, nemmeno i ricordi, neppure il rammarico, soprattutto il disprezzo. Non dargli nulla, non fecondare tesori in quella terra d’abbandoni e mancanze che tante volte ti ha costretta a raggiungere. Non alimentare la sua vigliaccheria, non darti in pasto come una carcassa, non farti tana per il topo. Smettila di chiedere il permesso per mangiare, per pensare, per ringhiare. Per essere selvatica. Scatarra il tuo coraggio di marmo e di calcare sulle bavose raffiche di vento con le quali crede di piegarti. Non ti hanno sconfitta, non ti hanno compromessa, non ti hanno spezzata. Datti pace. C’è ancora molto di savio in te. Di geniale, niveo, talentuoso. Non sei quello che ti hanno detto, non sei quello che ti hanno fatto. Sei bella, ma torna bella. Sei forte, ma torna forte. Sei donna, ricordati che sei donna.
Lui, invece, è a malapena un uomo.”
Antonia Storace, da “Frumento e papaveri”

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