Pensieri

Valeria

06.12.2021
“In un sabato di luglio del 2001, a Sirolo, sotto un sole cocente, la luce del mattino portò, verso le dieci, Valeria Moriconi che scese dalla piccola jeep con i capelli incendiati, vestita di bianco, ridente. Le rammentai l’incontro di molti anni prima, a Jesi, la “splendida città”, per Il sipario ducale di Paolo Volponi messo in scena da Enriquez, nel ’76. Sedemmo ad un tavolino del Caffè all’aperto, su quel balcone d’Adriatico, sotto gli occhi di molti che sostavano sorridendo, salutando, osservando. Parlava appassionata, rispondeva alle domande che si concentravano, tutte, sulla sua infanzia. L’ascoltavo tentando di immaginarla negli orti e nel giardino della sua casa, al mare, a scuola, tra il natale e l’afa estiva, vivida, curiosa, eccitata, assorta. Non dissimile dalla signora che sorseggiava un the, gesticolava con abile eleganza, si ravviava i capelli, agitava il ventaglio, toccava tutto con gli occhi. Tre ore felici, intense, piene di cose, di parole, di anni attraversati come da un treno, affacciati ai finestrini di quell’esistenza piena quant’altre mai e integralmente assaporata senza risparmio. Ci salutammo camminando verso la balaustra.
Rimasi fermo a vederla andar via, fare manovra, sparire dopo la chiesa di San Nicola. Scorrevo gli appunti sul taccuino, dal ’53, con Lattuada, Emmer, Mattoli, al ’57, con Eduardo De Filippo, dal ’60 con Franco Enriquez al ’65, con La locandiera, e poi La bisbetica domata, Il gabbiano, Le mosche, La buona persona di Sezuan, La vita che ti diedi, Hedda Gabler, Emma B. vedova Giocasta, La veneziana, Filumena Marturano, Trovarsi, La rosa tatuata, Medea, Prima della pensione, I figli della lupa. I titoli annotati danno conto di quel sentimento espresso in uno scritto redatto probabilmente per i suoi quarant’anni di teatro, scandire “la vita” attraverso “le scelte” affermando il talento. Date, luoghi, nomi, situazioni, emozioni. Sfoglio il notes e mi accorgo che seguo il filo invisibile di una biografia d’attrice e di donna che a settant’anni è ancora una creatura d’amore, appassionata, in preda al desiderio di essere, di fare, di interrogare. “Ho lavorato con tutti i grandi registi italiani e continuerò a lavorare con tutti i giovani registi italiani.“
Indomita guerriera della bellezza e della dedizione, incapace di arrendersi, di fermarsi. Solo la morte avrà ragione di lei, ma fino ad un certo punto perché basta l’occasione di un libro – Come in uno specchio, a cura di Franco Cecchini e con un saggio di Anna T.Ossani, edito da QuattroVenti di Urbino nel 2008 – a restituircela nella sua plurale integrità inesauribile mediante le voci del tempo offerte alle interviste rilasciate e agli interventi di circa quarantotto anni di attività (1957-2004). Se si considera la mole di un lavoro del genere (413 pagine), i “film” di un percorso intramato, coerente e conseguente che il volume – fisicamente e graficamente bello, compatto, compiuto e il cui titolo richiama un film di Bergman del ‘61 – consente di visionare, oltre agli inserti fotografici impaginati come capitoli iconografici paralleli ai testi, ci si rende conto che l’universo della scena di Valeria Moriconi è stato legato dalla necessità di volgere al presente le forme della classicità del teatro per verificarne, ogni volta, la presenza viva, pulsante, la misura contemporanea e quindi destinata all’umano d’ogni “qui e ora” dell’epoca. La messe prodigiosa dei materiali, il ricomporsi, attraverso lei stessa, di un destino d’arte, stabilisce il ruolo che la Moriconi ha avuto nel cuore della cultura italiana di mezzo secolo, la sua tenace determinazione a cogliere in flagrante la realtà, ad interrogarsi sui labirinti degli uomini, grandezze, miserie, dubbi, paure, ansie, brividi, sintomi, cadute, resurrezioni. Cecchini ha disegnato un prezioso itinerario di pedinamenti secondo l’ordine cronologico, un’ “inchiesta” alla quale Valeria ha partecipato in prima persona, offrendo passaggi e corridoi sotto le spoglie degli “incontri” segnati da stazioni di sosta in cui gli occasionali interlocutori, interrogandola, hanno permesso a lei di rivelarsi nella sapienza e nell’ironia, nella finzione e nella verità.

Francesco Scarabicchi

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