Pensieri

Ma dove sono le parole?

09.12.2021
“I bambini sono di otto, nove o dieci anni. Ci sono pochi italiani, sono per lo più migranti che vengono dai paesi più diversi: Cina, Uruguay, Brasile, Panama, Perù, Colombia, Bangladesh, Pakistan, Sri Lanka, Filippine, Marocco, Tunisia, Russia, Romania, Ucraina. Alcuni sono appena arrivati, altri sono in Italia da tempo, altri sono nati qui. […]
Non inizio mai spiegando loro cos’è la poesia, ma segnando un leggero e variabile percorso per andare insieme in cerca del luogo in cui abitano le parole.
Ma dove sono le parole? Un verso di un anonimo poeta nicaraguense dice: «Un poeta siente»: un poeta sente, percepisce, avverte, intende, ha sentore e presentimento. E così giochiamo con il sentire e scriviamo le tracce che i sensi lasciano in noi. […]
Inizio spesso i miei seminari con il tema del silenzio. Perché i bambini conoscono per lo più il silenzio teso, il comando a cui si obbedisce facendosi piccoli, raggrinzendosi. E invece cerco di trasmettergli un silenzio che allarga, il piacere del silenzio che è ascolto di sé, del mondo, dell’altro, della sinfonia di cui facciamo parte. È con meraviglia che scoprono il mondo che il silenzio rivela. E alla fine gli dico: ora vi do un compito che dura tutta la vita. E loro abbassano le orecchie, ma quando dico: ascoltare il silenzio, farci tana, aspettare lì le parole, ridono. […]
Non è sempre facile arrivare alla frescura al centro del petto, alla fonte, bisogna avere spirito d’avventura, curiosità, coraggio, fiducia e partire da qui, da ora, dal corpo.
Proprio ora, proprio qui, chiudo gli occhi e sento se ci sono davvero, se il corpo è davvero seduto a terra, se sento il pavimento, se davvero respiro, se sento il mio respiro che dalle narici raggiunge la pancia, se sento il suo viaggio verso l’esterno, dalla pancia alle narici, e le mani, sono calde, sono fresche, sono gelate. E cosa provo, che stato d’animo ho, cosa naviga o galleggia o va a fondo o vola in me. Proprio ora. Proprio qui. Ecco, per sapere dove sono le parole, per iniziare un viaggio verso la poesia, bisogna che qui ci sia un corpo. Un respiro. Un sentire. E poi una storia, la nostra, ognuno la sua. E della storia fa parte la geografia. Per questo chiedo spesso ai bambini, oltre al nome e all’età, di dire il loro “paese-radice”. […]
Non ho nessuna pretesa che qualcuno leggendo questo testo o partecipando a un seminario di poesia possa diventare poeta, ma ho l’intenzione di regalare strumenti. Strumenti che non ci abbandonino quando la vita è dura e non sappiamo come o a chi dirlo, strumenti che non ci lascino soli quando la gioia ci sommerge e vorremmo lasciare tracce, dire a qualcuno che si può essere felici. Strumenti per conoscere noi stessi, quando ci siamo persi, per tenerci stretti quando ci sentiamo abbandonati, per innamorarci di questo sconosciuto che ci sta sempre accanto, che siamo noi. […]
Il primo anno, a scuola, non sapevo che vicino c’era un grande campo di rom, che poi è stato sgomberato e distrutto. Le etnie erano tante e i rom avevano tratti molto simili a bosniaci, rumeni, albanesi; non li avrei distinti. Erano anche vestiti molto bene, molto meglio degli altri; più tardi ho scoperto che i loro vestiti venivano da un ente benefico e li ricevevano a scuola. E a scuola nel bagno delle maestre c’era shampoo e bagno schiuma e potevano farsi la doccia. Ma io li ho incontrati la prima volta, come gruppo o tribù, perché ero sorpresa che alcuni bambini in una classe scrivessero sempre della notte ed era evidente che la conoscevano molto bene. E parlavano delle notti fredde d’inverno, del pericolo della pioggia, del fango. E degli incendi. Quando l’ho detto stupita a una maestra, lei mi ha risposto: «Sono rom, vivono al campo, nelle baracche, certo che conoscono la notte».”

Chandra Livia Candiani, da “Ma dove sono le parole?”

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Foto: Nino Fezza cinereporter

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