Affabulazioni

Le favole di Gurdjieff

12.12.2021
Le prove
“Un vecchio re era preoccupato: come scegliere il suo successore? Aveva un figlio ma, proprio come ogni padre, non poteva credere che questi fosse in grado di fare alcunché. Il re chiese quindi consiglio al proprio Maestro, che gli rispose: «Tuo figlio non c’entra, di fatto mi stai chiedendo: “Come posso convincermi che mio figlio sia in grado di fare il re?” Fai una cosa: ripudialo, scaccialo dal regno e diseredalo.»
«Mi sembra una scelta dura per quel povero ragazzo», osservò il re, ma il Maestro gli fece notare che non esisteva altro modo per capire di cosa suo figlio fosse capace.
Il ragazzo venne allora scacciato dal regno, fu privato della carica di principe e venne informato che avrebbe dovuto guadagnarsi da vivere con le proprie forze. Così divenne un mendicante.
Passarono gli anni, durante i quali il giovane arrivò persino a dimenticarsi che un tempo era stato un principe. Fu costretto a dormire per le strade, spesso senza nemmeno un riparo, a mangiare cose a cui non era abituato e a vestirsi di stracci. Il semplice sopravvivere era così difficile che, se anche si fosse ricordato di essere stato un principe, avrebbe detto a se stesso: «Dev’essere stata un’allucinazione. Non posso essere un principe, dev’essere stato un sogno. Di certo ho sognato, immaginato; altrimenti, cosa mai potrebbe essere accaduto?»
Anni dopo, mentre era sulla porta di un piccolo ristoro per mendicare una tazza di tè, gli si fermò di fronte una carrozza d’oro dalla quale scese il primo ministro. In un lampo, il principe ebbe la sensazione di averla già vista prima, quella carrozza; però ancora una volta si disse: «Dev’essere un’immaginazione. E quest’uomo assomiglia a un uomo che conoscevo, ma che non era così vecchio».
Non riusciva ancora a ricordare di essere un principe, ma quando il primo ministro gli toccò i piedi, improvvisamente una nuvola si dissolse di fronte ai suoi occhi: tutti quegli anni di stenti e di povertà svanirono quasi fossero stati soltanto un brutto sogno. Il giovane, però si limitò a chiedere: «Perché sei tornato dopo tanti anni?» Perfino la sua voce, adesso, era diversa: era la voce altera e ferma di un principe, non più quella supplichevole di un mendicante.
Il primo ministro rispose: «Il re sta morendo e vuole che tu ritorni a palazzo. I giorni della tua prova sono conclusi. Egli ha voluto che conoscessi il livello più basso dell’esistenza umana, quello del mendicante, in modo che, una volta salito sul trono, non scordassi che anche un re è un essere umano e che il mendicante potrebbe essere un principe sotto mentite spoglie. Voleva inoltre farti capire che tu non diventerai superiore agli altri solo perché sarai un re; potrai possedere ogni cosa ma, nel profondo del tuo essere, resterai sempre un mendicante. La tua prova è conclusa; ora il re sta morendo e dobbiamo correre alla capitale!»
La gente che alloggiava nell’ostello e nelle vicinanze e che aveva visto il giovane vestire i panni di un mendicante, non poté credere ai propri occhi: il mendicante era completamente trasformato. Il suo volto non era più quello di un accattone; sebbene fosse ancora coperto di stracci, la sua espressione, i suoi occhi, l’intero aspetto erano cambiati all’improvviso.
Adesso era un re.”

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I due grandi amici
“Due uomini erano grandi amici. Ciascuno dava all’altro il necessario, intuendone le esigenze. Tuttavia, c’era ancora qualcosa che si frapponeva tra loro. Quasi una carenza, un tassello mancante, che non permetteva di scrivere a caratteri cubitali la parola “amicizia”. Nessuno dei due aveva capito di cosa si trattasse, benché si sforzasse di individuarlo.
Un giorno, uno dei due “amici” fu colto da una grave sventura. Un violento terremoto gli distrusse la casa. In preda alla disperazione l’uomo si diresse dall’amico, la cui abitazione era intatta. Nella notte fredda l’uomo bussò alla porta, pensando che l’amico lo avrebbe accolto a braccia aperte.
«Chi è?» «Sono io. Per favore, apri. Non ho più casa.»
«Come dici? Non capisco.»
«Sono io, il tuo amico. Non mi riconosci?»
«Mi dispiace. Non posso farti entrare.»
Lo sventurato non riusciva a capire perché l’altro non lo avesse ospitato. Benché sbigottito, l’infelice non volle insistere. Di sicuro il suo amico aveva qualche buona ragione per comportarsi così. L’uomo si allontanò, vagando alla cieca nell’inverno freddo e dormendo dove capitava.
Dopo alcuni mesi, specchiandosi nelle acque di un torrente, capì improvvisamente perché l’altro lo aveva allontanato in quella notte di sventura. Capì cosa fare e tornò a bussare alla porta del suo amico.
«Chi è?» gli chiese l’altro, nonostante avesse riconosciuto la sua voce. La risposta arrivò dopo un attimo di esitazione.
«Sei tu. Apri, presto, hai freddo!»
Questa volta l’amico aprì la porta. Non poteva lasciare se stesso fuori al freddo. I due erano ormai un’unica persona e l’amicizia era completa.”
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Falsi maestri e veri discepoli

Tanto tempo fa un giovane biondo era alla ricerca del Vero. Percorse molte strade, sperando di trovare un maestro che potesse aiutarlo nella sua ricerca, finché un giorno, fermandosi lungo un sentiero, vide un gruppo di persone a cui pensò di chiedere informazioni su un maestro a cui poter affidare la propria crescita, ben lontano dall’immaginare che in realtà si trattava di un gruppo di briganti appena tornati dall’ultima rapina. Avvicinatosi al gruppo, chiese al capo: “Mi perdoni, ma io sto cercando un Maestro a cui affidare la mia vita e che possa aiutarmi a trovare la Via; ne conoscete qualcuno?” Il brigante, astuto come una volpe, capì che il giovane avrebbe potuto tornargli utile e, strizzando un occhio ai suoi compari, gli rispose subito: “Io sono un maestro! Se vuoi arrivare alla meta, dovrai eseguire i miei ordini per dieci anni: dovrai lavorare per noi, prepararci da mangiare, lavare, rassettare i nostri letti e rasserenare le nostre anime. Allo scadere del tempo ne riparleremo…” Il capo brigante aveva avuto l’idea di sfruttare l’ingenuità del ragazzo, tanto più ricordandosi che suo padre gli aveva insegnato anche qualche preghiera con cui avrebbe potuto raggirarlo. Il giovane accettò immediatamente, felice di aver dovuto fare ben pochi sforzi per trovare il Maestro.

Per dieci anni, quindi, lavorò, diventando quasi uno schiavo, ma con Dio nel cuore e nella mente e con la meta sempre viva innanzi a sé. Dio, osservando con benevolenza l’amore che il ragazzo profondeva in tutto ciò che faceva, decise che ormai era pronto per diventare egli stesso un Maestro, per cui inviò un angelo ad informarlo della sua decisione… Durante la notte, l’Angelo del Signore apparve al giovane e gli disse: “Alzati e sii felice, Iddio ha deciso che tu potrai essere un suo rappresentante sulla terra; da oggi sei un Maestro!”. Il giovane rimase perplesso e rispose: “Oh angelo, grazie di questo annuncio, ma io non posso diventare un Maestro almeno fino a quando il mio maestro terreno non mi avrà concesso la libertà!” L’Angelo, quindi, lasciò il ragazzo e partì per comunicare la sua risposta al Signore, che si compiacque della fedeltà del giovane, così piena di amore e senza ombra di recriminazioni o di cattiveria. Pertanto sentenziò: “In nome del profondo amore che è nel cuore del ragazzo, io trasformerò quel ladro in un Maestro. Costui, infatti, ha formato la faqr (attitudine al discepolato, n.d.t.) di questo giovane meglio di quanto molti altri avrebbero potuto fare.”

E così fu.

Georges Ivanovič Gurdjieff, da “Favole”

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