Linguaggi

Siamo statue

14.12.2021

“Con l’aiuto degli uomini e di altri elementi
il tempo si è dato un gran da fare intorno a lei.
Dapprima l’ha privata del naso, poi dei genitali,
quindi delle dita di mani e piedi,
col passare degli anni di un braccio e poi dell’altro,
della coscia destra e di quella sinistra,
di dorso e fianchi, di testa e natiche,
e quei pezzi li riduceva in
calcinacci, ghiaia, sabbia.

Quando muore così qualcuno vivo,
molto sangue sgorga ad ogni colpo.

Le statue di marmo tuttavia muoiono in bianco
e non sempre del tutto.

Della statua in questione si è conservato il torso
ed è come un respiro trattenuto nello sforzo,
poiché adesso deve
attirare
a sé
tutta la grazia e la gravità
di quanto si è perduto.

E questo gli riesce,
questo ancora gli riesce,
riesce e affascina,
affascina e dura –

Anche il tempo qui merita una menzione di lode,
poiché ha smesso di lavorare
e ha lasciato qualcosa per dopo.”

Wislawa Szymborska, “Statua greca”, da “Elogio dei sogni”

************

Una statua, non può piangere.
Una statua, non ha occhi per farlo.
Una statua, non ha sentimenti.
Una statua, ha un cuore di pietra.
La pioggia scivola sui suoi capelli di marmo.
La pioggia lava il suo viso pallido.
Che cos’è quella pioggia?
Non sembrano forse lacrime.
Sono lacrime quelle.
Una risata nel vento.
Il vento soffia aria fresca.
Ricordi.
Riportati indietro da episodi singoli.
Un’altra risata nel vento.
Ti ricordo ancora.
Nonostante la mia espressione non sia cambiata in tutti questi anni.
Ti ricordo ancora.
Nonostante la mia pelle sia ancora fredda.
Ti ricordo ancora.
Nonostante tu non sia più qui.
Sono una statua.

Sono fredda.
La mia pelle è di marmo.
La mia espressione non muta.
Non ho occhi.
Non ho cuore.
È davvero così?
O è quello che pensate voi?

Regina Ghiglietti, “La statua”

***********

“Alla povera mia fragilità
tu guardi senza dire una parola.
Tu sei di marmo, ma io canto,
tu, statua, ma io, volo.

So bene che una dolce primavera
agli occhi dell’Eterno, è un niente.
Ma sono un uccello, non te la prendere
se è leggera la legge che mi governa.”

Marina Cvetaeva, “Alla mia povera fragilità”, da “Scusate l’amore. Poesie 1915-1925” 

*************

Foto di Sonia Simbolo

Lascia un commento