“Io è tanti
e c’è chi crolla
e chi veglia
chi annaffia i fiori
e chi beve troppo
chi dà sepoltura
e chi ruggisce.
C’è un bambino estirpato
e una danzatrice infaticabile
c’è massacro
e ci sono ossa
che tornano luce.
Qualcuno spezzetta immagini
in un mortaio,
una sarta cuce
un petto nuovo
ampio
che accolga la notte,
il piombo.
Ci sono parole ossute
e una via del senso
e una deriva,
c’è un postino sotto gli alberi,
riposa,
e c’è la ragione che conta
i respiri
non bastano
a fare tempio.
C’è il macellaio
e c’è un bambino disossato
c’è il coglitore
di belle nuvole
e lo scolaro
che nomina e non tocca,
c’è il dormiente
e l’insonne che lo sveglia
a scossoni
con furore di belva giovane
affamata di sembianze.
Ci sono tutti i tu
amati e quelli spintonati via
ci sono i noi cuciti
di lacrime e di labbra
riconoscenti. Ci sono
inchini a braccia spalancate
e maledizioni bestemmiate
in faccia al mondo.
Ci sono tutti, tutti quanti,
non in fila, e nemmeno
in cerchio,
ma mescolati come farina e acqua
nel gesto caldo
che fa il pane:
io è un abbraccio.”
Chandra Livia Candiani, da “La bambina pugile ovvero la precisione dell’amore”
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Sono sempre lì
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Foto di Silvia Grav
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Mi piace e non mi piace
“Amo sviluppare la mia coscienza per capire perché sono vivo,
cos’è il mio corpo e cosa devo fare per cooperare con i disegni dell’universo.
Non mi piace la gente che accumula informazioni inutili
e si crea false forme di comportamenti,
plagiata da personalità importanti.
Mi piace rispettare gli altri,
non per via delle deviazioni narcisistiche delle loro personalità,
ma per come si sono evolute interiormente.
Non mi piace la gente la cui mente non sa riposare in silenzio
e il cui cuore critica gli altri senza sosta,
la cui sessualità è permanentemente insoddisfatta,
trasforma le bugie in superstizioni.
Non mi piace che ci sia un Papa che predica
senza condividere la sua anima con una Papessa.
Amo collaborare e non competere.
Mi piace scoprire in ogni essere
quella gioia perenne che potremmo chiamare dio Interiore.
Non mi piace l’arte che serve solo a celebrare il suo autore,
mi piace l’arte utile per guarire.
Non mi piacciono le persone eccessivamente stupide.
Mi piace tutto ciò che provoca il sorriso.
Amo affrontare volontariamente la mia sofferenza
“Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marca,
chi non rischia di vestire un colore nuovo,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero al bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all’errore e ai sentimenti.
Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza
per inseguire un sogno,
chi non si permette
almeno una volta nella vita
di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in sé stesso.
Muore lentamente,
chi distrugge l’amor proprio,
chi non si lascia aiutare.
Muore lentamente,
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore,
chi abbandona un progetto
prima di iniziarlo,
chi non fa domande
sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde
quando gli chiedono
qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo
di gran lunga maggiore
del semplice fatto di respirare.
Soltanto l’ardente pazienza porterà
al raggiungimento
di una splendida felicità.”
Martha Medeiros, “Lentamente muore”
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Del resto non ho nulla
“Del resto non ho nulla
in contrario a che mi pensino
una specie di lupo solitario
uno sconfitto dalla vita
che si allontana a sera sulla bicicletta
riverniciata a mano, la mia giornata
– ma loro non lo sanno –
non è finita,
ho tutto il tempo
di pensare perché mai
non ci hanno saputo amare,
penso alle scarpe da ginnastica
sudate, al sorriso superiore
dell’assistente sociale, mi sento
uno strano animale che beve
birra di notte e il giorno dopo
corre al lavoro a prendere
le sue botte, penso al taglio
sulla guancia, alla mano rotta,
alla clavicola sconnessa,
e non so più nemmeno se la colpa
sia sempre la stessa: d’arrampicarmi
sugli alberi per recuperare
il pallone o sui sogni per non vivere
da coglione e del resto
non mi presto al dibattito
né al compromesso non so
fingere me stesso, in fondo
il viaggio dell’acrobata
è verso l’alto e piuttosto
di cadere salto, per questo
mi ascoltano i bambini anche
se grido, per me non sono cretini,
e dunque non ho nulla
in contrario, mi pensino pure
un pirla visionario con la bicicletta
riverniciata a mano: non l’ho rubata
è un regalo di chi amo”
Giancarlo Sissa, “Del resto non ho nulla”, da “Il mestiere dell’educatore” (2002)
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Foto di Priscillia Beaufils
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Stai cercando me?
Kabīr (1440 circa – 1518 circa), mistico e poeta indiano
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Edvard Munch, “Sera sul viale Karl Johan”, 1892
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Nella moltitudine
“Sono quella che sono.
Un caso inconcepibile
come ogni caso.
In fondo avrei potuto avere
altri antenati,
e così avrei preso il volo
da un altro nido,
così da sotto un altro tronco
sarei strisciata fuori in squame.
Nel guardaroba della natura
c’è un mucchio di costumi: di
ragno, gabbiano, topo campagnolo.
Ognuno calza subito a pennello
e docilmente è indossato
finché non si consuma.
Anch’io non ho scelto,
ma non mi lamento.
Potevo essere qualcuno
molto meno a parte.
Qualcuno d’un formicaio, banco, sciame ronzante,
una scheggia di paesaggio sbattuta dal vento.
Qualcuno molto meno fortunato,
allevato per farne una pelliccia,
per il pranzo della festa,
qualcosa che nuota sotto un vetrino.
Un albero conficcato nella terra,
a cui si avvicina un incendio.
Un filo d’erba calpestato
dal corso di incomprensibili eventi.
Uno nato sotto una cattiva stella,
buona per altri.
E se nella gente destassi spavento,
o solo avversione,
o solo pietà?
Se al mondo fossi venuta
nella tribù sbagliata
e avessi tutte le strade precluse?
La sorte, finora,
mi è stata benigna.
Poteva non essermi dato
il ricordo dei momenti lieti.
Poteva essermi tolta
l’inclinazione a confrontare.
Potevo essere me stessa – ma senza stupore,
e ciò vorrebbe dire
qualcuno di totalmente diverso.”
Wisława Szymborska, “Nella moltitudine”, da “Attimo”
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Io un’adolescente?
La presunzione di avere tante cose da dire…
“La presunzione di avere tante cose da dire…
L’ambizione di avere una storia da raccontare…
L’orgoglio di sentirsi pieno di invenzioni…
E sentirle solo mie…
E volere ad ogni costo dirle a tutti…
Ma forse sarei più vicino a voi se vi parlassi delle mie paure, dei sogni svaniti, dei miei progetti e inibizioni…
Ma forse sono solo uno che si illude.
Senza umiltà di essere diverso dagli altri…”
Massimo Troisi
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“Io voglio invece leggerezza,
libertà, comprensione
– non trattenere nessuno,
e che nessuno mi trattenga.
Tutta la mia vita
è una storia d’amore con la mia anima,
con la città in cui vivo,
con l’ albero al bordo della strada,
con l’aria.
E sono infinitamente felice.”
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Caddi in uno dei miei patetici periodi
“Caddi in uno dei miei patetici periodi di chiusura.
Spesso, con gli esseri umani, buoni e cattivi,
i miei sensi semplicemente si staccano,
si stancano: lascio perdere.
Sono educato.
Faccio segno di sì.
Fingo di capire, perché non voglio ferire nessuno.
Questa è la debolezza che mi ha procurato più guai.
Cercando di essere gentile con gli altri
spesso mi ritrovo con l’anima a fettucce,
ridotta ad una specie di piatto di tagliatelle spirituali.
Non importa.
Il mio cervello si chiude.
Ascolto.
Rispondo.
E sono troppo ottusi per rendersi conto
che io non ci sono.”
Charles Bukowski, da “Musica per organi caldi”
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Fuori posto
“Brucia all’inferno
questa parte di me che non si trova bene in nessun posto
mentre le altre persone trovano cose
da fare
nel tempo che hanno
posti dove andare
insieme
cose da
dirsi.
Io sto
bruciando all’inferno
da qualche parte nel nord del Messico.
Qui i fiori non crescono.
Non sono come
gli altri
gli altri sono come
gli altri.
Si assomigliano tutti:
si riuniscano
si ritrovano
si accalcano
sono
allegri e soddisfatti
e io sto
bruciando all’inferno.
Il mio cuore ha mille anni.
Non sono come
gli altri.
Morirei nei loro prati da picnic
soffocato dalle loro bandiere
indebolito dalle loro canzoni
non amato dai loro soldati
trafitto dal loro umorismo
assassinato dalle loro preoccupazioni.
Non sono come
gli altri.
Io sto
bruciando all’inferno.
L’inferno di
me stesso.”
Charles Bukowski, “Fuori posto”
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Alberto Sughi, “Piano bar”
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Io cammino fumando
Valerio Mandelli, da “Esercizi di tiptologia”, 1992
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La narratrice inaffidabile
“Non ascoltarmi: il mio cuore è stato spezzato.
Non vedo niente oggettivamente.
Mi conosco; ho imparato ad ascoltare come uno psichiatra.
Quando parlo con passione,
sono tanto più inaffidabile.
È molto triste, davvero: tutta la vita sono stata lodata
per la mia intelligenza, la mia maestria con la lingua, l’intuito…
alla fine sono sprecati…
Non mi vedo mai.
In piedi sui gradini davanti casa. Stringendo la mano di mia sorella.
Perciò non so darmi spiegazione
dei lividi sul suo braccio dove finisce la manica…
Nella mia mente, sono invisibile: perciò sono pericolosa.
Gente come me, che sembra noncurante di se stessa.
Siamo noi gli storpi, i bugiardi:
siamo noi che dovremmo essere messi da parte
nell’interesse della verità.
Quando sto quieta, allora la verità vien fuori.
Un cielo chiaro, le nuvole come fibre bianche.
Sotto, una piccola casa grigia. Le azalee
rosse e rosa acceso.
Se vuoi la verità, devi chiuderti
alla sorella maggiore, respingerla:
quando una cosa viva è ferita così
nel suo meccanismo più profondo,
ogni funzione è alterata.
Perciò sono inaffidabile.
Perché una ferita al cuore
è anche una ferita alla mente.”
Da Ararat, 1990
Louise Glück, “La narratrice inaffidabile”
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Compagnia
“Stamattina mi sono svegliato con la pioggia
che batteva sui vetri. E ho capito
che da molto tempo ormai,
posto davanti a un bivio,
ho scelto la via peggiore. Oppure,
semplicemente, la più facile.
Rispetto a quella virtuosa. O alla più ardua.
Questi pensieri mi vengono
quando sono giorni che sto da solo.
Come adesso. Ore passate
in compagnia del fesso che non sono altro.
Ore e ore
che somigliano tanto a una stanza angusta.
Con appena una striscia di moquette su cui camminare.”
Raymond Carver, “Compagnia”
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Crescere
“Quando cresco (ho solo cinquant’anni)
voglio essere montagnosa e saggia
come Marguerite Yourcenar.
Una grande sfinge di pietra
silente come un’ombra.
La bilancia perfetta
tra grazia e potenza.
Voglio essere forte abbastanza da vivere
su un’isola al largo della costa del Maine,
far inselvatichire il bel giardino,
ricevere un intervistatore
da un prestigioso programma d’arte TV
ogni vent’anni, scendere
per leggere a voce alta con altero distacco
passaggi profetici dal lavoro passato,
rifiutare le investiture d’accademia.
Non mi mancherà la mia terra natale.
Saprò chi sono.
La mia voce sarà bassa, salda,
senza enfasi, purificata dai bisogni.
Non m’importerà se ho ossa grandi,
pesanti, non baderò
se i miei capelli sono fini,
se i miei occhi sono giunti a un punto morto,
se i problemi più veri restano senza risposta.
La perdita di amanti, la defezione dei figli
mi lascerà fredda.
Diventerò l’assoluto
che mi ci è voluto una vita annichilire.”
Fay Zwicky (poetessa australiana), “Crescere”
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In ogni cosa ho voglia di arrivare
“In ogni cosa ho voglia di arrivare
sino alla sostanza.
Nel lavoro, cercando la mia strada,
nel tumulto del cuore.
Sino all’essenza dei giorni passati,
sino alla loro ragione,
sino ai motivi, sino alle radici,
sino al midollo.
Eternamente aggrappandomi al filo
dei destini, degli avvenimenti,
sentire, amare, vivere, pensare,
effettuare scoperte.
Oh, se mi fosse dato, se potessi
almeno in parte,
mi piacerebbe scrivere otto versi
sulle proprietà della passione.
Sulle trasgressioni, sui peccati,
sulle fughe, sugli inseguimenti,
sulle inavvertenze frettolose,
sui gomiti, sui palmi.
Dedurrei la sua legge,
il suo cominciamento,
dei suoi nomi verrei ripetendo
le lettere iniziali.
I miei versi sarebbero un giardino.
Con tutto il brivido delle nervature
vi fiorirebbero i tigli a spalliera,
in fila indiana, l’uno dietro l’altro.
Introdurrei nei versi la fragranza
delle rose, un alito di menta,
ed il fieno tagliato, i prati, i biodi,
gli schianti della tempesta.
Così Chopin immise in altri tempi
un vivente prodigio
di ville, di avelli, di parchi, di selve
nei propri studi.
Giuoco e martirio
del trionfo raggiunto,
corda incoccata di un arco teso.”
Boris Pasternak, da “Poesie”
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Foto di Sonia Simbolo
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Mi dispiace
“Mi dispiace
Io nella vita ho aiutato tutti, me stesso non ho aiutato.
A vantaggio di tutti i miei doni, non a mio vantaggio.
Il viandante è diventato più saggio, imparata la mia lezione,
Mentre io sono un folle: scoraggiante risultato.
A tutti i passanti ho offerto il mio vino inebriante,
Ma io non l’ho assaggiato nel mio viaggio terreno.
Tutta la vita sono stato mezzano e padrino,
Benché più di tutti sempre mi servisse una casa.
Tutti si affidavano a me, quasi fossi un nascondiglio,
Quando mi affidai agli altri, mi pentii all’istante.
Tutto nella vita ho dissipato, perché allora non sono
Un mendicante di amore, che lesina come un usuraio?”
Paruir Sevak (pseudonimo di Paruyr Rafaelovič Kazarjan poeta armeno)
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La notte mi chiede chi sono
“La notte mi chiede chi sono
sono la sua insonne intimità, profonda e oscura,
sono la sua voce ribelle.
Velo la mia realtà con il silenzio
e avvolgo il mio cuore nel dubbio.
E triste, fisso lo sguardo
mentre i secoli mi chiedono
chi sono.”
Nazik al-Mala’ika
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Difficoltà
“Ti prego, amico, dimmi che devo fare con questo mondo
Che continuo ad estrarre da me stesso!
Ho rinunziato alle vesti lussuose e mi sono comprato un saio
Ma un giorno mi sono accorto che il tessuto era di buona fattura.
Così ho comprato un saccaccio di iuta, ma ancora
Lo indosso con ricercatezza sulla spalla sinistra.
Ho smesso di essere un elefante sensuale
E ora scopro d’essere pieno di rabbia.
Alla fine mi sono liberato dalla rabbia, ma ora m’accorgo
Di essere avido da mane a sera.
Ho lavorato duro per dissolvere l’avidità
Ed ora sono orgoglioso di me stesso.
Quando la mente vuole spezzare il suo legame col mondo
È ancora attaccata ad una cosa.
Dice Kabir: Ascolta, amico,
In pochissimi trovano il sentiero!”
Kabīr (1440 circa – 1518 circa. Mistico e poeta indiano), “Difficoltà”
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Sto bene…
“Sto bene…
Ben sprofondata,
ben delusa,
ben vuota…
Ben stufa,
ben rotta.
Ben fallita,
ben instabile,
ben stanca
Definitivamente:
Sto bene.”
Frida Kalho
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Scoperta davanti a una vetrina
“Così poco amato,
così trascurato,
così abbandonato a me stesso,
che mi frantumo,
così abituato ad essere
ciò che non sono stato
che mi addolora ricordare
quel che sono.”
Carlos J. Aldazábal, “Scoperta davanti a una vetrina”
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Edward Hopper, “Summer Interior”, 1909
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Sintomi
“Non sopporto il mio stato mentale:
sono scontenta, garrula, asociale.
Odio i miei piedi, odio le mie mani,
non m’interessano lidi lontani.
Temo il mattino, la luce del giorno;
odio, la notte, al letto far ritorno.
Maldico chi agisce onestamente
non tollero lo scherzo più innocente.
Non mi appagano un quadro, una lettura:
per me il mondo è soltanto spazzatura.
Sono cinica, vuota, scombinata.
Non so come non mi abbiano arrestata
per quel che penso. I vecchi sogni andati,
l’anima a pezzi, i sensi torturati.
Non mi è chiaro nemmeno come sto
ma certo non mi piaccio neanche un po’.
E litigo, cavillo, gemendo di paura:
penso alla morte, alla mia sepoltura.
L’idea di un uomo mi lascia sconvolta…
Sto per innamorarmi un’altra volta.”
Dorothy Parker Rothschild (scrittrice, poetessa e giornalista statunitense), “Sintomi”
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Forgiando l’armatura
“Mi rifiuto di sottomettermi alla paura
che mi toglie la gioia della libertà,
che non mi lascia rischiare niente,
che mi fa diventare piccolo e meschino,
che mi afferra,
che non mi lascia essere diretto e franco,
che mi perseguita e occupa negativamente la mia immaginazione,
che sempre dipinge cupe visioni.
Non voglio alzare barriere per paura della paura.
Io voglio vivere e non voglio rinchiudermi.
Non voglio essere amichevole per paura di essere sincero.
Voglio che i miei passi siano fermi perché sono sicuro
e non per coprire la paura.
E quando sto zitto,
voglio farlo per amore
e non per timore
delle conseguenze delle mie parole.
Non voglio credere a qualcosa
solo per paura di non credere.
Non voglio filosofare per paura
che qualcosa possa colpirmi da vicino.
Non voglio piegarmi
solo per paura di non essere amabile,
non voglio imporre qualcosa agli altri
per paura che gli altri possano imporre qualcosa a me;
per paura di sbagliare non voglio diventare inattivo.
Non voglio fuggire indietro verso il “vecchio”
per paura di non sentirmi sicuro nel “nuovo”.
Non voglio farmi importante
perché ho paura di essere altrimenti ignorato.
Per convinzione e amore
voglio fare ciò che faccio
e smettere di fare ciò che smetto di fare.
Dalla paura voglio strappare
il dominio e darlo all’Amore.
E voglio credere nel Regno
che esiste in me.”
Rudolf Steiner (1861-1925), teosofo austriaco, fondatore dell’antroposofia
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Mi è capitato di amare tanto
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Foto di Sonia Simbolo
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In evidenza: Foto di Sonia Simbolo