Linguaggi

Io è una moltitudine

17.12.2021
“Io, l’irrequieto; colui che scorre nei cicli;
Io pastore di greggi che prendo al laccio le stelle.”
Conrad Aiken, da “Mutevoli pensieri”, traduzione di Salvatore Quasimodo
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È facile da capire dopo decenni
“È facile da capire dopo decenni:
non sono di qui, sono soltanto un no.
Non ho memoria dei giorni terreni.
Una pianta: ecco cos’è per me
il flusso degli anni – macchie
sfocate sulla superficie lunare.”
Marija Petrovych
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Lucian Freud, “Girl with a kitten”, 1947
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Io è tanti

“Io è tanti
e c’è chi crolla
e chi veglia
chi annaffia i fiori
e chi beve troppo
chi dà sepoltura
e chi ruggisce.

C’è un bambino estirpato
e una danzatrice infaticabile
c’è massacro
e ci sono ossa
che tornano luce.

Qualcuno spezzetta immagini
in un mortaio,
una sarta cuce
un petto nuovo
ampio
che accolga la notte,
il piombo.

Ci sono parole ossute
e una via del senso
e una deriva,
c’è un postino sotto gli alberi,
riposa,
e c’è la ragione che conta
i respiri
non bastano
a fare tempio.

C’è il macellaio
e c’è un bambino disossato
c’è il coglitore
di belle nuvole
e lo scolaro
che nomina e non tocca,
c’è il dormiente
e l’insonne che lo sveglia
a scossoni
con furore di belva giovane
affamata di sembianze.

Ci sono tutti i tu
amati e quelli spintonati via
ci sono i noi cuciti
di lacrime e di labbra
riconoscenti. Ci sono
inchini a braccia spalancate
e maledizioni bestemmiate
in faccia al mondo.

Ci sono tutti, tutti quanti,
non in fila, e nemmeno
in cerchio,
ma mescolati come farina e acqua
nel gesto caldo
che fa il pane:
io è un abbraccio.”

Chandra Livia Candiani, da “La bambina pugile ovvero la precisione dell’amore” 

 

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Sono sempre lì

 

“Sono sempre lì,
sui contorni della notte
in bilico
fra la donna che dorme
e la bambina che sogna.”
Beatrice Niccolai
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Foto di Sonia Simbolo
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Io sono spaccata, io sono nel passato prossimo
“Io sono spaccata, io sono nel passato prossimo,
io sono sempre cinque minuti fa,
il mio dire è fallimentare,
io non sono mai tutta, mai tutta, io appartengo
all’essere e non lo so dire, non lo so dire,
io appartengo e non lo so dire
io sono senza aggettivi, io sono senza predicati,
io indebolisco la sintassi, io consumo le parole,
io non ho parole pregnanti, io non ho parole
cangianti, io non ho parole mutevoli, non ho parole perturbanti,
io non ho abbastanza parole, le parole mi si
consumano, io non ho parole che svelino, io non ho
parole che puliscano, io non ho parole che riposino,
io non ho mai parole abbastanza, mai abbastanza
parole, mai abbastanza parole
ho solo parole correnti, ho solo parole di serie,
ho solo parole fallimentari, ho solo parole deludenti,
ho solo parole che mi deludono,
le mie parole mi deludono, sempre mi deludono,
sempre mi deludono, sempre mi mancano
io non sono mai tutta, mai tutta, io appartengo
all’essere e non lo so dire, non lo so dire, io
appartengo e non lo so dire, non lo so dire,
io appartengo all’essere, all’essere e non lo so dire.”
Mariangela Gualtieri, da “Fuoco centrale e altre poesie per il teatro”, 2003

 

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Foto di Silvia Grav

 

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Non voglio 
“Non voglio imparare a non aver paura, voglio imparare a tremare.
Non voglio imparare a tacere, voglio assaporare il silenzio da cui ogni parola vera nasce.
Non voglio imparare a non arrabbiarmi, voglio sentire il fuoco, circondarlo di trasparenza che illumini quello che gli altri mi stanno facendo e quello che posso fare io.
Non voglio accettare, voglio accogliere e rispondere. Non voglio essere buona, voglio essere sveglia.
Non voglio fare male, voglio dire: mi stai facendo male, smettila.
Non voglio diventare migliore, voglio sorridere al mio peggio.
Non voglio essere un’altra, voglio adottarmi tutta intera.
Non voglio pacificare tutto, voglio esplorare la realtà anche quando fa male, voglio la verità di me.
Non voglio insegnare, voglio accompagnare.
Non è che voglio così, è che non posso fare altro.”
Chandra Livia Candiani, da “Il silenzio è cosa viva. L’arte della meditazione”, 2018
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Mi piace e non mi piace

 

“Amo sviluppare la mia coscienza per capire perché sono vivo,
cos’è il mio corpo e cosa devo fare per cooperare con i disegni dell’universo.

Non mi piace la gente che accumula informazioni inutili
e si crea false forme di comportamenti,
plagiata da personalità importanti.

Mi piace rispettare gli altri,
non per via delle deviazioni narcisistiche delle loro personalità,
ma per come si sono evolute interiormente.

Non mi piace la gente la cui mente non sa riposare in silenzio
e il cui cuore critica gli altri senza sosta,
la cui sessualità è permanentemente insoddisfatta,

il cui corpo s’intossica senza saper apprezzare di essere vivo.
Ogni secondo di vita è un regalo sublime.
Mi piace invecchiare,
perché il tempo dissolve il superfluo e conserva l’essenziale.
Non mi piace chi, per retaggi infantili,

trasforma le bugie in superstizioni.

Non mi piace che ci sia un Papa che predica
senza condividere la sua anima con una Papessa.

Non mi piace che la Religione
sia nelle mani di uomini che disprezzano le donne.

Amo collaborare e non competere.

Mi piace scoprire in ogni essere
quella gioia perenne che potremmo chiamare dio Interiore.

Non mi piace l’arte che serve solo a celebrare il suo autore,
mi piace l’arte utile per guarire.

Non mi piacciono le persone eccessivamente stupide.

Mi piace tutto ciò che provoca il sorriso.

Amo affrontare volontariamente la mia sofferenza

con l’obiettivo di espandere la mia coscienza.”
Alejandro Jodorowsky, “Mi piace e non mi piace”, da “Por Osmar”
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 Alberto Sughi, “Guardare fuori”, 1985
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Lentamente muore

“Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marca,
chi non rischia di vestire un colore nuovo,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero al bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all’errore e ai sentimenti.

Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza
per inseguire un sogno,
chi non si permette
almeno una volta nella vita
di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in sé stesso.

Muore lentamente,
chi distrugge l’amor proprio,
chi non si lascia aiutare.

Muore lentamente,
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore,
chi abbandona un progetto
prima di iniziarlo,
chi non fa domande
sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde
quando gli chiedono
qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo
di gran lunga maggiore
del semplice fatto di respirare.

Soltanto l’ardente pazienza porterà
al raggiungimento
di una splendida felicità.”

Martha Medeiros, “Lentamente muore”

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Del resto non ho nulla

 

“Del resto non ho nulla
in contrario a che mi pensino
una specie di lupo solitario
uno sconfitto dalla vita
che si allontana a sera sulla bicicletta
riverniciata a mano, la mia giornata
– ma loro non lo sanno –
non è finita,
ho tutto il tempo
di pensare perché mai
non ci hanno saputo amare,
penso alle scarpe da ginnastica
sudate, al sorriso superiore
dell’assistente sociale, mi sento
uno strano animale che beve
birra di notte e il giorno dopo
corre al lavoro a prendere
le sue botte, penso al taglio
sulla guancia, alla mano rotta,
alla clavicola sconnessa,
e non so più nemmeno se la colpa
sia sempre la stessa: d’arrampicarmi
sugli alberi per recuperare
il pallone o sui sogni per non vivere
da coglione e del resto
non mi presto al dibattito
né al compromesso non so
fingere me stesso, in fondo
il viaggio dell’acrobata
è verso l’alto e piuttosto
di cadere salto, per questo
mi ascoltano i bambini anche
se grido, per me non sono cretini,
e dunque non ho nulla
in contrario, mi pensino pure
un pirla visionario con la bicicletta
riverniciata a mano: non l’ho rubata
è un regalo di chi amo”

Giancarlo Sissa, “Del resto non ho nulla”, da “Il mestiere dell’educatore” (2002)

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Foto di Priscillia Beaufils

 

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Stai cercando me?

“Stai cercando me?
Sono nella sedia accanto.
La mia spalla è contro la tua.
Non mi troverai negli stupa,
o nelle sale dei templi indiani,
non nelle sinagoghe, o nelle cattedrali:
non nelle masse, non nei kirtan,
non nelle gambe che si avvolgono
intorno al tuo collo,
non nel non mangiare
nient’altro che verdure.
Quando mi cercherai veramente,
mi vedrai subito
mi troverai nella più piccola casa
del tempo.
Stai cercando me?
Sono il respiro dentro il respiro.”

Kabīr (1440 circa – 1518 circa), mistico e poeta indiano

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  Edvard Munch, “Sera sul viale Karl Johan”, 1892

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Nella moltitudine

“Sono quella che sono.
Un caso inconcepibile
come ogni caso.

In fondo avrei potuto avere
altri antenati,
e così avrei preso il volo
da un altro nido,
così da sotto un altro tronco
sarei strisciata fuori in squame.

Nel guardaroba della natura
c’è un mucchio di costumi: di
ragno, gabbiano, topo campagnolo.
Ognuno calza subito a pennello
e docilmente è indossato
finché non si consuma.

Anch’io non ho scelto,
ma non mi lamento.
Potevo essere qualcuno
molto meno a parte.
Qualcuno d’un formicaio, banco, sciame ronzante,
una scheggia di paesaggio sbattuta dal vento.

Qualcuno molto meno fortunato,
allevato per farne una pelliccia,
per il pranzo della festa,
qualcosa che nuota sotto un vetrino.

Un albero conficcato nella terra,
a cui si avvicina un incendio.

Un filo d’erba calpestato
dal corso di incomprensibili eventi.

Uno nato sotto una cattiva stella,
buona per altri.

E se nella gente destassi spavento,
o solo avversione,
o solo pietà?

Se al mondo fossi venuta
nella tribù sbagliata
e avessi tutte le strade precluse?

La sorte, finora,
mi è stata benigna.

Poteva non essermi dato
il ricordo dei momenti lieti.

Poteva essermi tolta
l’inclinazione a confrontare.

Potevo essere me stessa – ma senza stupore,
e ciò vorrebbe dire
qualcuno di totalmente diverso.”

 

Wisława Szymborska, “Nella moltitudine”, da “Attimo”

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Io un’adolescente?

 

“Io un’adolescente?
Se ora, d’improvviso, si presentasse qui,
dovrei salutarla come una persona cara,
benché mi sia estranea e lontana?
Versare una lacrimuccia, baciarla sulla fronte
per la sola ragione
che la nostra data di nascita è la stessa?
Siamo così dissimili
che forse solo le ossa sono le stesse,
la calotta cranica, le orbite oculari.
Perché già gli occhi è come fossero più grandi,
le ciglia più lunghe, la statura più alta
e tutto il corpo è fasciato
dalla pelle liscia, senza un’imperfezione.
In verità ci legano parenti e conoscenti,
ma nel suo mondo di questa cerchia comune
sono quasi tutti vivi,
mentre nel mio quasi nessuno.
Siamo così diverse,
i nostri pensieri e parole così differenti.
Lei sa poco –
ma con un’ostinazione degna di miglior causa.
Io so molto di più –
ma non in modo certo.
Mi mostra delle poesie,
scritte con una grafia nitida, accurata,
con cui io non scrivo più da anni.
Leggo quelle poesie, le leggo.
Be’, forse quest’unica,
se fosse accorciata
e corretta qua e là.
Dal resto non verrà nulla di buono.
La conversazione langue.
Sul suo modesto orologio
il tempo è ancora incerto e costa poco.
Sul mio è molto più caro ed esatto.
Per commiato nulla, un sorriso abbozzato
e nessuna commozione.
Solo quando sparisce
e nella fretta dimentica la sciarpa –
Una sciarpa di pura lana,
a righe colorate,
che nostra madre
ha fatto per lei all’uncinetto.
La conservo ancora.”
Wislawa Szymborska, da “Qui”, 2009 – Traduzione di Pietro Marchesani
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Miscela imperfetta
“So che ho vissuto male,
sono stata una miscela imperfetta di furia e malessere,
ho camminato sull’orlo di una terrazza,
ho mangiato vetri, un misto di inganno e odio,
di squallore e di canzoni,
di rischio e perversione.
Ho cicatrici di arma da fuoco,
di coltellate e di disamore.”
Efraim Medina Reyes (scrittore, poeta, musicista e regista colombiano”, “miscela imperfetta”
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Foto di Polina Washington
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La presunzione di avere tante cose da dire…

 

“La presunzione di avere tante cose da dire…
L’ambizione di avere una storia da raccontare…
L’orgoglio di sentirsi pieno di invenzioni…
E sentirle solo mie…
E volere ad ogni costo dirle a tutti…
Ma forse sarei più vicino a voi se vi parlassi delle mie paure, dei sogni svaniti, dei miei progetti e inibizioni…
Ma forse sono solo uno che si illude.
Senza umiltà di essere diverso dagli altri…”

Massimo Troisi

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Infinitamente felice

“Io voglio invece leggerezza,
libertà, comprensione
– non trattenere nessuno,
e che nessuno mi trattenga.
Tutta la mia vita
è una storia d’amore con la mia anima,
con la città in cui vivo,
con l’ albero al bordo della strada,
con l’aria.
E sono infinitamente felice.”

Marina Cvetaeva, “Infinitamente felice”

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Caddi in uno dei miei patetici periodi 

 

“Caddi in uno dei miei patetici periodi di chiusura.

Spesso, con gli esseri umani, buoni e cattivi,
i miei sensi semplicemente si staccano,
si stancano: lascio perdere.

Sono educato.
Faccio segno di sì.
Fingo di capire, perché non voglio ferire nessuno.
Questa è la debolezza che mi ha procurato più guai.
Cercando di essere gentile con gli altri
spesso mi ritrovo con l’anima a fettucce,
ridotta ad una specie di piatto di tagliatelle spirituali.

Non importa.
Il mio cervello si chiude.

Ascolto.

Rispondo.

E sono troppo ottusi per rendersi conto
che io non ci sono.”

Charles Bukowski, da Musica per organi caldi

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Fuori posto

“Brucia all’inferno
questa parte di me che non si trova bene in nessun posto
mentre le altre persone trovano cose
da fare
nel tempo che hanno
posti dove andare
insieme
cose da
dirsi.

Io sto
bruciando all’inferno
da qualche parte nel nord del Messico.
Qui i fiori non crescono.

Non sono come
gli altri
gli altri sono come
gli altri.

Si assomigliano tutti:
si riuniscano
si ritrovano
si accalcano
sono
allegri e soddisfatti
e io sto
bruciando all’inferno.

Il mio cuore ha mille anni.
Non sono come
gli altri.
Morirei nei loro prati da picnic
soffocato dalle loro bandiere
indebolito dalle loro canzoni
non amato dai loro soldati
trafitto dal loro umorismo
assassinato dalle loro preoccupazioni.

Non sono come
gli altri.
Io sto
bruciando all’inferno.

L’inferno di
me stesso.”

Charles Bukowski, “Fuori posto”

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  Alberto Sughi, “Piano bar”

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Io cammino fumando

“Io cammino fumando
e dopo ogni boccata
attraverso il mio fumo
e sto dove non stavo
dove prima soffiavo.”

Valerio Mandelli, da “Esercizi di tiptologia”, 1992

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La narratrice inaffidabile

 

“Non ascoltarmi: il mio cuore è stato spezzato.
Non vedo niente oggettivamente.
Mi conosco; ho imparato ad ascoltare come uno psichiatra.
Quando parlo con passione,
sono tanto più inaffidabile.
È molto triste, davvero: tutta la vita sono stata lodata
per la mia intelligenza, la mia maestria con la lingua, l’intuito…
alla fine sono sprecati…
Non mi vedo mai.
In piedi sui gradini davanti casa. Stringendo la mano di mia sorella.
Perciò non so darmi spiegazione
dei lividi sul suo braccio dove finisce la manica…
Nella mia mente, sono invisibile: perciò sono pericolosa.
Gente come me, che sembra noncurante di se stessa.
Siamo noi gli storpi, i bugiardi:
siamo noi che dovremmo essere messi da parte
nell’interesse della verità.
Quando sto quieta, allora la verità vien fuori.
Un cielo chiaro, le nuvole come fibre bianche.
Sotto, una piccola casa grigia. Le azalee
rosse e rosa acceso.
Se vuoi la verità, devi chiuderti
alla sorella maggiore, respingerla:
quando una cosa viva è ferita così
nel suo meccanismo più profondo,
ogni funzione è alterata.
Perciò sono inaffidabile.
Perché una ferita al cuore
è anche una ferita alla mente.”

Da Ararat, 1990

Louise Glück, “La narratrice inaffidabile”

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Compagnia

“Stamattina mi sono svegliato con la pioggia
che batteva sui vetri. E ho capito
che da molto tempo ormai,
posto davanti a un bivio,
ho scelto la via peggiore. Oppure,
semplicemente, la più facile.
Rispetto a quella virtuosa. O alla più ardua.
Questi pensieri mi vengono
quando sono giorni che sto da solo.
Come adesso. Ore passate
in compagnia del fesso che non sono altro.
Ore e ore
che somigliano tanto a una stanza angusta.
Con appena una striscia di moquette su cui camminare.”

Raymond Carver, “Compagnia”

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Crescere

“Quando cresco (ho solo cinquant’anni)
voglio essere montagnosa e saggia
come Marguerite Yourcenar.
Una grande sfinge di pietra
silente come un’ombra.
La bilancia perfetta
tra grazia e potenza.

Voglio essere forte abbastanza da vivere
su un’isola al largo della costa del Maine,
far inselvatichire il bel giardino,
ricevere un intervistatore
da un prestigioso programma d’arte TV
ogni vent’anni, scendere
per leggere a voce alta con altero distacco
passaggi profetici dal lavoro passato,
rifiutare le investiture d’accademia.

Non mi mancherà la mia terra natale.
Saprò chi sono.
La mia voce sarà bassa, salda,
senza enfasi, purificata dai bisogni.
Non m’importerà se ho ossa grandi,
pesanti, non baderò
se i miei capelli sono fini,
se i miei occhi sono giunti a un punto morto,
se i problemi più veri restano senza risposta.
La perdita di amanti, la defezione dei figli
mi lascerà fredda.

Diventerò l’assoluto
che mi ci è voluto una vita annichilire.”

Fay Zwicky (poetessa australiana), “Crescere”

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In ogni cosa ho voglia di arrivare

“In ogni cosa ho voglia di arrivare
sino alla sostanza.
Nel lavoro, cercando la mia strada,
nel tumulto del cuore.

Sino all’essenza dei giorni passati,
sino alla loro ragione,
sino ai motivi, sino alle radici,
sino al midollo.

Eternamente aggrappandomi al filo
dei destini, degli avvenimenti,
sentire, amare, vivere, pensare,
effettuare scoperte.

Oh, se mi fosse dato, se potessi
almeno in parte,
mi piacerebbe scrivere otto versi
sulle proprietà della passione.

Sulle trasgressioni, sui peccati,
sulle fughe, sugli inseguimenti,
sulle inavvertenze frettolose,
sui gomiti, sui palmi.

Dedurrei la sua legge,
il suo cominciamento,
dei suoi nomi verrei ripetendo
le lettere iniziali.

I miei versi sarebbero un giardino.
Con tutto il brivido delle nervature
vi fiorirebbero i tigli a spalliera,
in fila indiana, l’uno dietro l’altro.

Introdurrei nei versi la fragranza
delle rose, un alito di menta,
ed il fieno tagliato, i prati, i biodi,
gli schianti della tempesta.

Così Chopin immise in altri tempi
un vivente prodigio
di ville, di avelli, di parchi, di selve
nei propri studi.

Giuoco e martirio
del trionfo raggiunto,
corda incoccata di un arco teso.”

Boris Pasternak, da “Poesie”

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Foto di Sonia Simbolo

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Sono un inquieto
“Sono un inquieto.
Non c’è di me
null’ altro da sapere.
Mi trema dentro
un ruggito d’oro.
Splende in me
l’adolescenza del buio.”
Davide Cortese, da “Tenebrezza”, 2023

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Mi dispiace

“Mi dispiace

Io nella vita ho aiutato tutti, me stesso non ho aiutato.

A vantaggio di tutti i miei doni, non a mio vantaggio.

Il viandante è diventato più saggio, imparata la mia lezione,

Mentre io sono un folle: scoraggiante risultato.

A tutti i passanti ho offerto il mio vino inebriante,

Ma io non l’ho assaggiato nel mio viaggio terreno.

Tutta la vita sono stato mezzano e padrino,

Benché più di tutti sempre mi servisse una casa.

Tutti si affidavano a me, quasi fossi un nascondiglio,

Quando mi affidai agli altri, mi pentii all’istante.

Tutto nella vita ho dissipato, perché allora non sono

Un mendicante di amore, che lesina come un usuraio?”

Paruir Sevak (pseudonimo di Paruyr Rafaelovič Kazarjan poeta armeno)

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La notte mi chiede chi sono

“La notte mi chiede chi sono
sono la sua insonne intimità, profonda e oscura,
sono la sua voce ribelle.
Velo la mia realtà con il silenzio
e avvolgo il mio cuore nel dubbio.
E triste, fisso lo sguardo
mentre i secoli mi chiedono
chi sono.”

Nazik al-Mala’ika

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Difficoltà

“Ti prego, amico, dimmi che devo fare con questo mondo
Che continuo ad estrarre da me stesso!

Ho rinunziato alle vesti lussuose e mi sono comprato un saio
Ma un giorno mi sono accorto che il tessuto era di buona fattura.

Così ho comprato un saccaccio di iuta, ma ancora
Lo indosso con ricercatezza sulla spalla sinistra.

Ho smesso di essere un elefante sensuale
E ora scopro d’essere pieno di rabbia.

Alla fine mi sono liberato dalla rabbia, ma ora m’accorgo
Di essere avido da mane a sera.

Ho lavorato duro per dissolvere l’avidità
Ed ora sono orgoglioso di me stesso.

Quando la mente vuole spezzare il suo legame col mondo
È ancora attaccata ad una cosa.

Dice Kabir: Ascolta, amico,
In pochissimi trovano il sentiero!”

Kabīr (1440 circa – 1518 circa. Mistico e poeta indiano), “Difficoltà”

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Sto bene…

“Sto bene…
Ben sprofondata,
ben delusa,
ben vuota…
Ben stufa,
ben rotta.
Ben fallita,
ben instabile,
ben stanca
Definitivamente:
Sto bene.”

Frida Kalho

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Scoperta davanti a una vetrina

“Così poco amato,
così trascurato,
così abbandonato a me stesso,
che mi frantumo,
così abituato ad essere
ciò che non sono stato
che mi addolora ricordare
quel che sono.”

Carlos J. Aldazábal, “Scoperta davanti a una vetrina”

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 Edward Hopper, “Summer Interior”, 1909

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Sintomi

“Non sopporto il mio stato mentale:
sono scontenta, garrula, asociale.
Odio i miei piedi, odio le mie mani,
non m’interessano lidi lontani.
Temo il mattino, la luce del giorno;
odio, la notte, al letto far ritorno.
Maldico chi agisce onestamente
non tollero lo scherzo più innocente.
Non mi appagano un quadro, una lettura:
per me il mondo è soltanto spazzatura.
Sono cinica, vuota, scombinata.
Non so come non mi abbiano arrestata
per quel che penso. I vecchi sogni andati,
l’anima a pezzi, i sensi torturati.
Non mi è chiaro nemmeno come sto
ma certo non mi piaccio neanche un po’.
E litigo, cavillo, gemendo di paura:
penso alla morte, alla mia sepoltura.
L’idea di un uomo mi lascia sconvolta…
Sto per innamorarmi un’altra volta.”

Dorothy Parker Rothschild (scrittrice, poetessa e giornalista statunitense), “Sintomi”

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Forgiando l’armatura

“Mi rifiuto di sottomettermi alla paura
che mi toglie la gioia della libertà,
che non mi lascia rischiare niente,
che mi fa diventare piccolo e meschino,
che mi afferra,
che non mi lascia essere diretto e franco,
che mi perseguita e occupa negativamente la mia immaginazione,
che sempre dipinge cupe visioni.
Non voglio alzare barriere per paura della paura.
Io voglio vivere e non voglio rinchiudermi.
Non voglio essere amichevole per paura di essere sincero.
Voglio che i miei passi siano fermi perché sono sicuro
e non per coprire la paura.
E quando sto zitto,
voglio farlo per amore
e non per timore
delle conseguenze delle mie parole.
Non voglio credere a qualcosa
solo per paura di non credere.
Non voglio filosofare per paura
che qualcosa possa colpirmi da vicino.
Non voglio piegarmi
solo per paura di non essere amabile,
non voglio imporre qualcosa agli altri
per paura che gli altri possano imporre qualcosa a me;
per paura di sbagliare non voglio diventare inattivo.
Non voglio fuggire indietro verso il “vecchio”
per paura di non sentirmi sicuro nel “nuovo”.
Non voglio farmi importante
perché ho paura di essere altrimenti ignorato.
Per convinzione e amore
voglio fare ciò che faccio
e smettere di fare ciò che smetto di fare.
Dalla paura voglio strappare
il dominio e darlo all’Amore.
E voglio credere nel Regno
che esiste in me.”

Rudolf Steiner (1861-1925), teosofo austriaco, fondatore dell’antroposofia

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Mi è capitato di amare tanto

“Mi è capitato di amare tanto
e di dare tanto,
così tanto da dimenticarmi di me.
Mi è capitato di sentirmi sbagliata
e di permettere che mi facessero sentire tale.
Mi è capitato di elemosinare
amore e attenzioni.
Ho usato tutta la pazienza che avevo.
Poi ho scelto me.
Ho capito che alla fine ero io
l’unica persona su cui avrei potuto contare.
E adesso non mi accontento più.
E non è presunzione.
È solo voglia di un amore all’altezza
del cuore che ho.”
Riccardo Bertoldi, da “Scrivimi, magari ti amo ancora”
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   Vilhelm Hammershøi, “Hvile” (“Riposo”), 1905
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A me stessa
“Quando sei sola
sei come il silenzio,
immobile e sincera.
Dischiusa come un bocciolo
hai l’odore della notte.”
Stefania Onidi, “A me stessa”, da “Quadro imperfetto”
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D’un tratto, mi dilata
“D’un tratto, mi dilata
la mia idea,
e più grande mi fa dell’universo.
Allora, tutto sta
dentro di me. Stelle
dure, mari profondi,
idee d’altri, terre
vergini, sono la mia anima.
E a tutto comando io,
mentre senza comprendermi,
tutto pensa a me.”
Juan Ramón Jiménez, “D’un tratto, mi dilata”
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Dare del tu alla bellezza
“Qualcuno stanotte a una cena mi chiedeva se quello che ora sono è frutto della chimica e dei tanti psicofarmaci.
Ho risposto
Io sono
ogni cosa che ho fatto
ogni medicina che ho preso
ogni parola che ho ascoltato
ogni sigaretta fumata ogni vodka bevuta
ogni persona amata ogni persona dimenticata
ogni ricordo addolorato o felice
Io sono tutti quello che ho assorbito durante questo viaggio scriteriato vissuto in una accelerazione continua.
Aspettando il ritorno di Dio”
Giovanni Castel, “Dare del tu alla bellezza”, da “Presenza e assenza. Tutte le poesie”
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A Maior Riqueza do Homen
“La maggiore ricchezza di un uomo
è la sua incompletezza
In questo caso sono completo.
Parole che mi accettino come
sono – io non le accetto.
Non riesco ad essere appena un
soggetto che apre
le porte, che apre rubinetti,
guarda l’orologio, che
compra il pane alle sei del pomeriggio,
che va là fuori,
che tempera matite,
che vede l’uva, etc.
Perdonami.
Ma io ho bisogno di essere altro.
Io penso di rinnovare l’uomo
tramite le farfalle”
Manoel de Barros, poeta brasiliano, “A Maior Riqueza do Homen”, da “Retrato Do Artista Quando Coisa”, 1998
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Spiraglio
“Nei miei momenti oscuri
in cui in me non c’è nessuno,
e tutto è nebbie e muri
quando la vita dà o tiene,
se, un istante, alzando la fronte
da ove in me sono atterrato,
vedo il lontano orizzonte
pieno di sole occiduo o sorto,
rivivo, esisto, conosco,
e, ancor che sia illusione
l’esteriore in cui mi oblio,
nulla più voglio e chiedo.
Gli consegno il cuore.”
Fernando Pessoa, “Spiraglio” – Traduzione di Luigi Panarese
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Dipinto di Lisandro Rota
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Amo i piccoli gesti
“Amo i piccoli gesti, quelli impercettibili, che non appartengono a nessuno.
I versi che si possono ripetere come se fossero nostri.
Le piogge sottili che non assassinano i cani, né affogano i tetti delle case.
Questo secondo che insiste nel durare un secondo e mezzo.
Amo non essere imprescindibile, decidere su cose inutili e risolvere enigmi che non impensieriscono nessuno.
Sapere che oggi, ora, non è l’istante supremo, benché potrebbe esserlo.
Parlare con gli sconosciuti. Non fare fretta alle parole.
Amo l’animalità degli umani e degli animali.
Che il mondo mi preceda e che prosegua.
La statua anonima nel parco sempre in primavera.
Lasciarti in pace all’ora dei giochi.”
Carlos Skliar (scrittore argentino), da “Poesie per un anno” – Trad. di Milton
Fernández
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Stanco della vita, io? Non scherziamo.
“Stanco della vita, io? Non scherziamo.
Ma se me la mangio con gli occhi, ancora,
tutte le sue insegne, se non c’è amo
al quale non abbocchi! Semmai è ora
d’accennare, questo sì, a qualche addio,
cominciare a spegnere le candele
e chiudere gli spartiti, un leggio
per volta fino all’ultimo, al più fedele
degli strumenti… Quale? La memoria
sussurra i due violini, il cuore un flauto
o il tuo silenzio – ma io so che una storia
si fa da sola, e che è empio o almeno incauto
scriversi il finale. Basti l’atroce
strozzarsi in gola, vero, della voce.”
Giovanni Raboni, da “Quare tristis”, 1998
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Jafar Razgardani Photographer
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In qualche luogo della mente
“In qualche luogo della mente
ho un ponte, un torrente e un mulino.
Ho uno sfumare lieve di colline,
linea dopo linea,
in lontananza.
Ho acqua trasparente
che riflette i colori del cielo
soprattutto il rosa.
Ho pesci che scorrono
di vite silenziose,
che non si fanno sentire.
Ho lo spessore solido dei muri di una casa
che custodiscono il fuoco e il forno.
Ho un bambino che corre
incontro alla madre
e il piccolo grido
diventa tramonto.”
Gianluigi Gherzi, da “Alfabeti della gioia”, 2022
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Adesso che il tempo sembra tutto mio
“Adesso che il tempo sembra tutto mio
e nessuno mi chiama per il pranzo e per la cena,
adesso che posso rimanere a guardare
come si scioglie una nuvola e come si scolora,
come cammina un gatto per il tetto
nel lusso immenso di una esplorazione, adesso
che ogni giorno mi aspetta
la sconfinata lunghezza di una notte
dove non c’è richiamo e non c’è piú ragione
di spogliarsi in fretta per riposare dentro
l’accecante dolcezza di un corpo che mi aspetta,
adesso che il mattino non ha mai principio
e silenzioso mi lascia ai miei progetti
a tutte le cadenze della voce, adesso
vorrei improvvisamente la prigione.
Patrizia Cavalli, da “Il cielo”
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Foto di Sonia Simbolo
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Io non ho nulla da dire
“Aver qualche cosa da dire
nel mondo a se stessi, alla gente.
Che cosa? Io non so veramente
perché io non ho nulla da dire.
Che cosa? Io non so veramente.
Ma ci son quelli che sanno.
Io no – lo confesso a mio danno,
non ho da dir nulla ossia niente.
Perché continuare a mentire,
cercare d’illudersi? Adesso
chi’io parlo a me mi confesso:
io non ho niente da dire.
Eppure fra tante persone,
fra tanti colti colleghi
io sfido a trovar chi mi neghi
d’aver questa o quella opinione;
e forse mia madre, la sola
che veda ora in me fino in fondo,
è certa che anch’io venni al mondo
per dire una grande parola.
Gli amici discutono d’arte,
di Dio, di politica, d’altro:
e c’è chi mi crede il più scaltro
perché mi fo un poco in disparte:
qualcuno vorrebbe sentire
da me qualche cosa di più.
«Hai nulla da aggiungere tu?»
«Io, no, non ho niente da dire.»
È triste. Credetelo, in fondo,
è triste. Non essere niente.
Sfuggire cosi facilmente
a tutte le noie del mondo.
Sentirsi nell’anima il vuoto
quando altri più parla e ragiona.
Veder quella brava persona
imporsi un gran compito ignoto.
E quelli che chiedono a un tratto:
«Che avresti tu detto al mio posto?»
«Io… non avrei forse risposto…
Io… mi sarei finto distratto…»
Non aver nulla, né mire,
né bei sopraccapi, né vizi;
osar fino in mezzo ai comizi:
«No, sa? Non ho niente da dire».
Ed esser creduto un insonne,
un uomo che veglia sui libri,
un’anima ardita che vibri
da tutto uno stuolo di donne.
«Mi dica, sua madre che dice?
Io so dai suoi libri che adora
sua madre. Nevvero, signora?
nevvero che è tanto felice?
Figlio! Vederlo salire,
seguirne il pensiero profondo…»
Ed io son l’unico al mondo
Che non ha niente da dire.”
Marino Moretti, “Io non ho nulla da dire”, da “Poesie di tutti i giorni”, 1911
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Non so
“Sono roccia poi piuma
sono scoglio poi sabbia
sono dell’onda la schiuma
sono il prima poi il dopo
sono uno schianto contro il muro
sono il muro al quale mi appoggio
sono pianto poi sorriso
sono l’appoggio ed il sostegno
poi di sostegno bisognosa
sono sospiro poi respiro
sono un pensiero coerente
poi allucinazione
sono miracolo poi rassegnazione
sono ogni segno sul mio corpo
poi leggero spirito
sono incubo poi sogno
sono carezza poi colpo
sono dubbio poi certezza
sono il libro della mia vita
poi pagina vuota
sono un intenso abbraccio
poi freddo ghiaccio
sono polvere senza straccio
sono coraggio poi timore
sono inappetenza poi fame
sono presenza poi assenza
sono luce poi buio
sono demone poi angelo
sono pace poi guerra
sono qui poi altrove
sono dolore poi gioia
sono pioggia poi sole
sono tutto poi niente
sono solo queste parole
a volte ancora
non sono
e fa paura.”
Nohe (Nohemi Milagros Dorizzi), da “A pugni chiusi”, 2015
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Pablo Picasso, “Il sogno”
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Dichiarazioni poetiche
“Non voglio tornare alla normalità
Voglio ritornare alla Vita
Non voglio che l’economia si riassesti
che torni ad essere strumento di avidità e disparità
Voglio che sia al Servizio dell’autentico benessere
Non voglio che si torni a lavorare come prima
Voglio che i lavori inutili e dannosi collassino
che il lavoro si trasformi in Opera
che si lavori di meno e si valori di più
Non voglio che si torni a lottare per la sopravvivenza
con l’angoscia che non ce ne sia abbastanza
Voglio il supporto di tutti per tutti
che la ricchezza dei pochi sui moltissimi venga redistribuita
Voglio ricordarmi che la scarsità è un imbroglio che ci hanno iniettato
Non voglio che la finanza mondiale e i colossi petroliferi ne escano indenni tornando a sfruttare e speculare
Voglio che sia un terremoto che scuota l’ingiustizia globale
Non voglio che i centri commerciali tornino ad essere sempre aperti
Voglio che gli spazi della condivisione e dello scambio
siano al servizio dell’umano e non del consumo
Non voglio rimettermi a guidare nel traffico congestionato
Voglio muovermi lento e contento
Col ritmo naturale dell’universo
Che mi fa meravigliare della fioritura dell’albicocco
Non voglio essere in paranoia per la mia salute adesso
e poi tornare tranquillamente a respirare lo smog delle industrie
come se fosse normale riprendere a crepare di tumore
Voglio che rimanga l’aria pulita di questi giorni
che i delfini tornati sulle coste non se ne vadano
Voglio nutrirmi ogni giorno
di questa Natura di cui io sono parte
Non voglio che le scuole riaprano
se in esse ci sarà ancora prestazione ansiogena
stupida burocrazia e inutile ingozzamento cognitivo
Voglio che la conoscenza sia gioia, piacere e creatività
Voglio che sia consacrato e incentivato il tempo all’arte, al canto, al gioco
Non voglio più dare per scontato il tocco della tua mano sulla mia
i piedi nudi sulla spiaggia e il tramonto dalla collina
Voglio ringraziare quando muovo il polso, quando sto in piedi, quando posso
baciare mia madre
Voglio ricordarmi che questo momento è la cosa più preziosa
Non voglio tornare alla normalità
Voglio ritornare alla Vita.”
Giordano Ruini, da “Dichiarazioni poetiche”
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Ho stirato finestre
“Ho stirato finestre
verniciato camicie
spazzolato i gatti
e accarezzato i libri
ho sorriso alle cozze
tradotto il lavandino
sturato gli amici
riordinato i vicini
ho cavato dal buco
il ragno
ho pianto di gioia
disperato di noia
abbracciato a un lampione
ho disossato il modem
stuprato il decoder
e avvelenato il mouse
non so perché ho fatto tutto quanto
ma tu non ci sei più
e io faccio fatica a riorganizzare l’universo”
Milton Fernàndez
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Di chiar’azione
“Fu una sensazione particolare,
un fagiolo. Mi credevo malato,
sottoterra sforzavo la gravità,
dovevo solo nascere.
Il calore
non era statico, chè trasformavo
in varco energie intorno transeunti.
Mi dico forte nell’attesa verde.
Ora so che qualcuno mi ha visto,
un dolce attimo memorabile,
la prima luce diretta, un paradiso.
La sorpresa che dovesse affondare
dentro tutto il mio essere, ascoso.
Il primo colpo di vento, crudele.
Mi dico debole, impressionata.
Sembra così semplice, vegetale,
il senso della fatica. Affioro
appena e capisco: nell’aria
un procedere diverso si prospetta,
altri lavori, sebbene fiorirò
queste stesse radici. Allo scoperto
sto uscendo, mi dico sottovoce.”
Chiara Adezati, “Dich’iarazione” da “Soste e percorsi”

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Foto di Sonia Simbolo

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Sono questa vita
“Sono questa vita e quella che resta,
quella che verrà dopo in altri giorni,
in altri giri della terra.
Quella che ho vissuto così come fu scritta
ora dopo ora
sul grande libro indecifrabile,
quella che mi va cercando per strada,
da un taxi
e senza avermi visto mi ricorda.
Ancora non so quando arriverà, chi la trattiene,
non conosco il suo viso, il suo corpo, il suo sguardo,
non so se arriverà da un altro paese
in un tappeto volante
o da un altro continente.
Sono questa vita che ho vissuto o malvissuto
ma ancor di più quella che deve arrivare
nelle orbite che la terra mi deve.
Quella che sarà domani quando arrivi
in un amore, una parola;
quella che in ogni attimo spero di prendere
senza sapere se è qui, se è lei quella che scrive
guidandomi la mano.”
Eugenio Montejo, “Sono questa vita”, da “Terredad” – Traduzione di Alessio Brandolini
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In evidenza: Foto di Sonia Simbolo

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