Epistolario

Lettera d’amore al mio corpo

18.12.2021
“Caro Corpo,
è solo nel mio quarantesimo anno d’età che capisco quanto a lungo ti ho dato per scontato. Tu ed io: è stato come un matrimonio combinato. Siamo stati presentati alla nascita e poi il nostro lavoro è stato quello di attraversare insieme questa vita. Tu sei il mio vascello, ed io la tua guida. Insieme, possiamo fare qualsiasi cosa. Il mondo era la nostra ostrica.
Il nostro viaggio lo avevamo cominciato bene, imparando a fare squadra per muoverci qua e là ed essere felici nella nostra vita comune. Correre, giocare, lavorare insieme per trarre la massima gioia da ogni cosa. Ma da allora in poi non abbiamo più funzionato tanto bene insieme, vero? E lo so che è colpa mia. E’ facile per me puntare il dito sulla nostra cultura e sui nostri media, indicandoli come la cattiva influenza che, ad ogni passo, tenta di mettere un velo di vergogna fra me e te. Come risultato, non appena ho capito che ci si aspettava che io apparissi bella, ho cominciato a prestarti attenzione solo quando pensavo che tu stessi facendo qualcosa di sbagliato. E l’attenzione prendeva la forma del tentare di “rimediare” a qualsiasi errore io pensavo tu avessi commesso.
Ho pensato che eri troppo grosso in alcuni posti e troppo piccolo in altri. Ho creduto che la tua pelle fosse della sfumatura sbagliata e troppo a chiazze. La qualità dei capelli non andava bene. E ho tentato disperatamente, ogni giorno, di cambiarti. Ho speso un sacco di soldi. Ma alla fine ero esasperata. Tu finivi per essere esattamente ciò che eri. E ciò che eri, non era palesemente una delle modelle ritoccate col photoshop usate per pubblicizzare la bellezza come dovrebbe apparire. Ed io ero incastrata in questo ciclo quotidiano del tentare di reinventarti secondo lo standard impossibile che i giornali mi mostravano.
Vergogna, allora. Tu eri il mio inevitabile annuncio giornaliero al mondo che io non ero perfetta. Eccomi qua, la Signora Imperfetta. E tu facevi delle cose. Cose che mi facevano impazzire. Avevi fame delle cose sbagliate. Non digerivi bene. Ti ammalavi. Scoreggiavi. Puzzavi. Avevi le mestruazioni. Ti stancavi nei momenti sbagliati. Eri davvero un peso, qualche volta. Per fortuna, potevo fare del mio meglio per rimediare anche a questo: tamponi, deodoranti, caffè… i soldi potevano comprare un arsenale di prodotti per fissare i tuoi sconvenienti disagi. Ti avrei mostrato io chi comandava.
Ero ben avanti nella mia terza decade quando mi hai mostrato che cose meravigliose eri capace di fare tutto da solo: e hai dato loro la forma di due bellissimi e paffuti neonati. E’ stata questa scintilla che ci ha riportati insieme, ci ha fatto lavorare in squadra ancora una volta. Io mi sono presa assai buona cura di te, di modo che tu potessi prenderti assai buona cura di loro. La posta era alta. Ed ho imparato cosa significa darti un tipo diverso d’attenzione. Ho smesso il ciclo dell’attenzione negativa ed ho ascoltato attentamente i messaggi che mi mandavi. Non ti avevo mai ascoltato davvero, prima. Il farlo ha cambiato profondamente la mia esperienza su cosa significhi essere umani.
Tu sei una sinfonia, Corpo, pieno delle più dolci melodie della vista, del gusto, del tatto. Pieno di segnali su come operare al meglio per essere in sincronia. Per essere dinamici insieme. E mi uccide pensare a quanto sei stato solo nel nostro matrimonio: aspettavi la mia piena partecipazione, mentre io ti avevo chiuso volontariamente fuori. Non lo farò mai più. Il velo della vergogna? E’ nella spazzatura. Noi abbiamo da fare.
Sono circondata in questa vita dalle persone e dalle cose per me più splendide. Se tu ed io facciamo squadra di nuovo, come ai vecchi tempi, so che saremo in grado di trarre la massima gioia da tutto il tempo che ci resta da vivere insieme.
Sono fiera di te. E il mondo è la nostra ostrica.”

Erin S. Nieto, “A Love Letter to My Body”

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Nell’immagine: André Derain, “Donna in camicia”, 1906

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