Epistolario

Lettere ad un giovane poeta

18.12.2021

“Qui non serve misurare con il tempo, a nulla vale un anno, e dieci anni non son nulla. Essere artisti significa: non calcolare o contare; maturare come l’albero, che non incalza i suoi succhi e fiducioso sta nelle tempeste di primavera, senza l’ansia che dopo possa non giungere l’estate. L’estate giunge. Ma giunge solo a chi è paziente e vive come se l’eternità gli stesse innanzi, così sereno e spensierato e vasto. Lo imparo ogni giorno, lo imparo a prezzo di dolori ai quali sono grato: la pazienza è tutto!”

 

“Lei ha avuto molte e grandi tristezze, che poi sono passate. (…) Rifletta se quelle grandi tristezze non l’abbiano piuttosto trapassata. Se non si siano trasformate molte cose in lei, se in qualche luogo, in qualche parte del suo essere, lei non sia cambiato, mentre era triste. (…) Essa sono i momenti in cui qualcosa di nuovo è subentrato in noi, qualcosa d’ignoto; i nostri sentimenti ammutoliscono in timido imbarazzo, tutto in noi arretra, si fa silenzio, e il nuovo, inconoscibile, vi sta nel mezzo e tace. Io credo che quasi tutte le nostre tristezze siano momenti di tensione, che noi sentiamo come paralisi perché non udiamo più vivere i nostri storditi sentimenti. Perché siamo soli con l’intruso in noi; perché per un istante ogni cosa consueta e familiare ci è sottratta; perché siamo nel pieno di una transizione dove non è possibile arrestarsi. (…) Per questo è così importante essere solitari e attenti, quando si è tristi: perché l’istante in apparenza vuoto e fermo in cui il nostro futuro accede a noi, è tanto più vicino alla vita di quell’altro momento chiassoso e casuale in cui esso, come da fuori, sopravviene. Più siamo quieti, pazienti, aperti quando siamo tristi, tanto più profondo e tanto più sicuro entra in noi in nuovo”

 

“Col tempo si imparerà anche a riconoscere che quello che noi chiamiamo destino esce dagli uomini, non li compenetra da fuori”

 

“Eppure è necessario che viviamo anche questo. Dobbiamo immaginare la nostra esistenza quanto più vasta possibile; tutto, anche l’inaudito, deve trovarvi spazio. È questo in fondo l’unico coraggio che si richieda a noi: essere coraggiosi verso quanto di più strano, prodigioso e inesplicabile ci possa accadere.”

 

“Non abbiamo motivo di diffidare del nostro mondo, poiché esso non è contro di noi. Se vi sono orrori, allora sono i nostri orrori, se vi sono abissi, allora quegli abissi ci appartengono, se vi sono pericoli, allora dobbiamo cercare di amarli. E se solo organizziamo la nostra vita secondo quel principio, che ci ingiunge di attenerci sempre al difficile, allora ciò che adesso ci appare ancora totalmente estraneo, ci diverrà del tutto familiare e fido. Come potremmo dimenticare quegli antichi miti che stanno all’origine di tutti i popoli, i miti dei draghi che nell’attimo estremo si tramutano in principesse? Forse tutti i draghi della nostra vita sono principesse, che attendono solo di vederci una volta belli e coraggiosi. Forse tutto l’orrore non è in fondo altro che l’inerme che ci chiede aiuto.”

 

“Non vi osservate troppo. Non ricavate conclusioni troppo rapide da quello che vi accade; lasciate che semplicemente vi accada. O troppo facilmente arriverete a guardare con risentimento (cioè: moralmente) il vostro passato, che naturalmente è compartecipe di tutto quello che ora vi accade. Ciò che in voi opera ancora degli errori, desideri e brame della vostra fanciullezza, non è però quello che ricordate e giudicaste. Le straordinarie condizioni di un’infanzia solitaria e inerme sono così difficili, così complicate, abbandonate a tante influenze e nello stesso tempo così sciolte da tutte le reali connessioni della vita, che dove un vizio entra in essa, non lo si può senz’altro chiamare vizio. […]
E se vi debbo dire ancora una cosa, è questa: non crediate che colui che tenta di confortarvi, viva senza fatica in mezzo alle parole semplici e calme, che qualche volta vi fanno bene.
La sua vita reca molta fatica e tristezza
e resta lontana dietro a loro. Ma fosse altrimenti, egli non avrebbe potuto trovare quelle parole.”

Rainer Maria Rilke, “Lettere ad un giovane poeta”, 1929

 

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Foto di Sonia Simbolo

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