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Se incontri una strega…

19.12.2021

“Se incontri una strega,
devi sapere che ama il silenzio,
così come ama la notte e le sue infinite stelle.

Se incontri una strega, 
non spaventarti:
le sue emozioni sono intense, imprevedibili e mutevoli,
proprio come quelle della luna
a cui lei è legata. 

Se incontri una strega,
probabilmente non la comprenderai,
basta che tu la lasci fare.

Parlerà dei misteri dell’universo,
o senza alcuna ragione ti citerà una poesia,
o parlerà tra sé e sé,
…delle volte, neanche lei riesce a capire se stessa.

Se incontri una strega,
preparati,
i tuoi giorni diventeranno magici
e la quotidianità un’avventura.

Se incontri una strega,
devi sapere che lei fa l’amore come una tempesta di vento…
a volte scatenata, a volte leggera,
calma come una piuma,
che si posa sulla terra.

Se incontri una strega,
non ti preoccupare,
lei ride dei drammi
e piange con i fiori.

Se incontri una strega,
tieni presente che lei vedrà nei tuoi occhi la bellezza
che hai sempre temuto.
Vedrà il tuo potere, le tue sofferenze
e ogni tuo sogno.

Se incontri una strega,
e dormirai accanto a lei, goditi il viaggio…
ti porterà nei suoi sogni pieni di voli pindarici ed incontri fantastici…
Al risveglio non sarai più lo stesso.

E infine, se incontri una strega,
stai attento!
Potrebbe essere che per un fugace istante,
tu possa confonderla con una donna normale.”

Carla Babudri, “Se incontri una strega”

 

*****

L’irreparabile

 

“Possiamo soffocare il vecchio, il lungo Rimorso,
che vive, s’agita e si contorce,
e di noi si nutre come il verme dei morti,
come il bruco della quercia?
Possiamo soffocare l’implacabile Rimorso?

In quale filtro, in quale vino, in quale tisana,
affogheremo questo vecchio nemico,
distruttore e ingordo come la cortigiana,
paziente come la formica?
In quale filtro ? in quale vino ? in quale tisana?

Dillo, bella strega, oh! dillo, se lo sai,
a questo spirito carico d’angoscia
e pari al moribondo schiacciato dai feriti
che lo zoccolo del cavallo batte,
dillo, bella strega, oh! dillo, se lo sai,

a questo agonizzante che già il lupo fiuta
e che il corvo sorveglia,
a questo soldato affranto! se deve disperare
d’avere la sua croce e la sua tomba;
questo povero agonizzante che già il lupo fiuta.

Si può illuminare un cielo melmoso e nero?
Si possono strappare delle tenebre
più dense della pece, senza mattina e senza sera,
senza stelle, senza lampi funerei?
Si può illuminare un cielo melmoso e nero?

La Speranza che brilla alle finestre dell’Albergo
è spenta, è morta per sempre!
Senza luna e senza raggi, trovare dove riparano
i martiri di un cammino maledetto!
Il Diavolo ha spento tutto alle finestre dell’Albergo!

Adorabile strega, ami tu i dannati?
Dimmi, conosci l’irremissibile?
Conosci il Rimorso dai dardi avvelenati
cui il nostro cuore serve da bersaglio?
Adorabile strega, ami tu i dannati?

L’Irreparabile rode col suo dente maledetto
la nostra anima, pietoso monumento,
e spesso attacca, come la termite,
la struttura dal basamento.
L’Irreparabile rode col suo dente maledetto!

Ho visto a volte in fondo a un banale teatro
infiammato dal suono di un’orchestra,
una fata accendere in un cielo infernale
una miracolosa aurora;
ho visto a volte in fondo a un banale teatro

un essere tutto luce, oro e velo
abbattere il grande Satana;
ma il mio cuore, mai visitato dall’estasi,
è un teatro in cui si attende
sempre, sempre invano, l’Essere dalle ali di velo!”

 

Charles Baudelaire, “L’irreparabile”, da “Les fleurs du mal”, 1857 – Traduzione di Giovanni Soriano

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Illustrazione di Gloria Pizzilli
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Alla sua maniera
“Sono andata fuori, una strega posseduta,
ad inseguire il buio, più coraggiosa della notte;
sognando il maleficio, ho fatto il mio anatema
sulle case piane, ad ogni luce:
sola, con dodici dita, fuori di testa.
Una donna così non è donna, chiaramente.
L’ho fatto alla sua maniera.
Ho trovato il tepore delle caverne nei boschi,
riempite di tegami, mensole, scaffali,
armadi, tessuti, numerosissime merci;
ho preparato cene per vermi e folletti:
lamentandomi ho riparato le rotture.
Una donna come questa non è capita.
L’ho fatto alla sua maniera.
Ho cavalcato il tuo carro, cocchiere,
agitato le mie braccia nude ai villaggi che s’allontanavano,
imparando le ultime luci delle strade, sopravvivendo
dove le tue fiamme mi prendono le cosce
e le tue ruote mi spaccano le costole.
Una donna come questa non si vergogna di morire.
L’ho fatto alla sua maniera.
Anne Sexton, da “Vivi o muori”
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Ci vuole una strega che sappia parlarti

I

Eravamo a brandelli negli occhi dei grandi
scartati dalle loro fitte mani. I loro anni
una vertigine ogni tanto che allentava
la magia e la paura si faceva spesso
tremore.

Ma a noi, coi nostri fianchi
sembrava di poter entrare dalla serratura
e questo bastava – origliare le messe
distinguere i trambusti e le violenze
non è cosa da bravi e i curiosi sono sempre
puniti nelle storie dei padri –

Dov’erano gli spiriti minuti che sorvegliano
gli angoli dei corridoi dai bordi
delle mensole, dalla punta delle spighe
noi lo sapevamo. Nessuno ci credeva
(qualche poco di buono
che prendeva una strada più corta
lo aveva capito, ma troppo tardi
– per tutto il giorno poi se ne stava
a osservare i passanti
nascosto tra le lumache)

Sapevamo anche che se resti
è perché non sai di essere morto.
Ci vuole una strega che sappia parlarti
lanciando una mano di terra
a indicarti l’istante del salto. Altre volte
devi scappare perché neanche dopo
i vivi ti lasciano in pace.

C’era una strega antica
nella porta sotto le scale
pioveva nei giardini delle gatte gravide
per coprirle dall’invidia delle altre.
Faceva i tarocchi alle donne e benediva
le scarpe degli uomini
ché non perdessero la strada.
Mi chiesi se quella fossi tu
me ne compiacqui, le tue mani
raccoglievano per chi non sapeva
tutto il fuoco e tutta l’acqua.

Una volta sposata capii
che le streghe chiudono ogni porta
per piantarsi nella vita di un uomo.
Il passo è un occhio che fruga la porta d’uscita
come il primo furto impallidisce
le mani, un’ape un fiore
serrato, ma i capelli
come il biasimo dei figli
non imbiancano mai
e un’altra vita si spiega
bruciata la strega resta la scopa
le erbe secche
il gatto.

II

Una retta lancia il braccio dal bordo
della fontana, quasi morbido
sotto la pancia bambina, poi
un bastone nel palmo e i bateaux
dei jardins des Tuileries a sloggiare
dall’ombra le oche, sciolte
nel volo delle cose
che in accordo imprescindibile
comprimono il ricordo nello spazio.

Là tu sei il giglio a steli chiusi di burrasca
ogni linea oltre la svolta dell’intero
prima nasce e sfiora, poi muore
e ribadisce una natura di tangente, inutile
sul bordo di qualsiasi fontana possa
tirarmi, sasso nello specchio
e non sapere altro che un’oca assolata.

Ci sono maree che aspettano in segreto
svernano tra la barba dei viandanti
come uno spessore d’impronta. Ci sono
maree che non tornano alla sabbia
sbiadisce l’inverno piuttosto.

Qui si spintona la storia, l’angolo
in cui i sassi prendono casa, qui
scavare è un gesto che trema
ma non restituisce.

III

Febbraio non ci offrì alcun riposo, potevamo al massimo rallentare e inserire una marcia d’attesa ma nel traffico una manciata di sole faceva bollire i pensieri a fuoco lentissimo. Ci siamo raccontati che nulla si sarebbe fermato, mordevamo in un tubero l’illusione della povertà. Questo ci diede così un moto, una polpa nelle gambe che si disperse in fatica.

Eppure, tutto era cambiato.
Mia sorella sotto il sole o nella cuna
a forma di mia madre non ha mai
mostrato disperazione. Mio padre
da quando ha mangiato, bambino
la sua ultima pesca
non mostra disperazione.
Eppure, tutto è cambiato come un soffio
d’inverno che raggeli in un’estate intera
uno schiocco di palpebre.
Ho fatto a pezzi la mia disperazione
– qualche macchia nel marmo ancora
impallidisce – l’ho levigata
e fatta entrare a forza come un letargo
come un atto d’amore fa crescere
un figlio chiuso nella madre
senza mai venire al mondo.”

 

Davide Gallo: “Ci vuole una strega che sappia parlarti…”

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