Pensieri

Zorba il greco

25.12.2021

“Non sei libero , padrone”, disse. “I legami che ti trattengono, forse sono un poco più lunghi di quelli che avvincono gli altri uomini. Sei legato a una fune abbastanza lunga, padrone: vai e vieni e ti illudi di essere libero, ma non tagli quella fune. E la gente non la taglia…”
Egli scrollò il capo.
“Un giorno la taglierò”, dissi in tono di sfida, perché le parole di Zorba avevano toccato una ferita aperta e dolente.
“E’ difficile, padrone, molto difficile. Per farlo bisogna essere un poco pazzi. Occorre un granello di follia, capisci? Dovresti arrischiare tutto; ma la tua testa è troppo solida: riuscirà sempre ad avere la meglio su di te. La testa dell’uomo è come una drogheria: tiene conto di tutto: dice, ho pagato tanto e ho incassato tanto, con un profitto e una perdita di tanto. La testa è una bottegaia prudente: non arrischia mai tutto quello che possiede. Tiene sempre qualcosa in serbo. Non rompe mai la fune. Anzi, vi si aggrappa, la maledetta bastarda! Se la fune le sfugge dalle mani, è perduta, finita! Ma l’uomo che non la spezzi, sai dirmi quale sapore troverà nella vita? Il sapore della camomilla, della camomilla più leggera! Nulla che somigli al rum, che ti faccia sentire vivo!”

 

“Cosa dicevamo l’altro ieri, padrone? ‘Illuminare il popolo, aprirgli gli occhi!’. Bene, prova ad aprire gli occhi al vecchio Anaghnostis! Hai visto come sua moglie stava impalata ad aspettare i suoi ordini? Ora prova a insegnargli che la donna ha gli stessi diritti dell’uomo, e che è una cosa crudele mangiare un pezzo di carne del maiale mentre il maiale grugnisce per il dolore davanti a te, e che è una grande sciocchezza compiacersi della grandezza di Dio mentre muori di fame! Cosa ci guadagnerebbe quel povero diavolo del vecchio Anaghnostis da tutte queste tue illuminanti corbellerie? Lo metteresti soltanto nei guai. E cosa ci guadagnerebbe la moglie di Anaghnostis? Comincerebbero a litigare, la gallina vorrebbe diventare gallo, e la coppia continuerebbe ad azzuffarsi e a spennarsi…
Lasciali stare tranquilli, padrone, non aprir loro gli occhi; se glieli apri, che cosa vedranno? La loro povertà e miseria! Lasciaglieli chiusi, quindi, che possano sognare!”.
Tacque per un istante, si grattò la testa pensieroso.
“A meno che”, disse infine, “a meno che…”.
“Cosa? Sentiamo!”.
“A meno che, quando aprono gli occhi, tu non abbia da offrire loro un mondo migliore… Ce l’hai?”
Non lo sapevo. Sapevo bene che cosa sarebbe andato distrutto; non sapevo che cosa si sarebbe costruito su quelle rovine. Questo non può saperlo nessuno con certezza, pensavo; il vecchio mondo è tangibile, solido, ci viviamo e combattiamo in ogni momento, esiste; il mondo futuro non è ancora nato, è inafferrabile, sfuggente, è fatto con il materiale con cui si tessono i sogni, è una nuvola battuta da forti venti – l’amore, la fantasia, il destino, Dio –, si sfilaccia, si ricompatta, cambia… E il piú grande profeta può dare solo una parola d’ordine agli uomini, e piú è vaga la parola, piú è grande il profeta.
Zorba mi guardava con un sorriso ironico che mi irritò.
“Ce l’ho”, risposi indispettito.
“Ce l’hai? Sentiamo!”. “Non posso dirtelo; non lo capiresti”.
“Eh, allora non ce l’hai!”, esclamò Zorba scuotendo il suo testone. “Non credere che abbia mangiato l’erba sciocca, padrone; ti hanno preso in giro. Sono anch’io analfabeta come il vecchio Anaghnostis, ma non sono per niente sciocco! Allora, se non capisco io, come vuoi che capiscano quel poveraccio ingenuo e la sua stupida signora? Tutti gli Anaghnostis e tutte le Marulià del mondo? Vuoi che vedano una nuova oscurità? È meglio se li lasci nella vecchia, almeno ci sono abituati. Finora se la sono cavata bene, non vedi? Vivono una bella vita, fanno figli e nipoti, Dio li fa diventare sordi, ciechi, e loro gridano: ‘Gloria a te, o Signore!’. Nella cattiva fortuna se la sono cavata. E allora lasciali in pace e sta’ zitto.”
“Questo operaio analfabeta, che quando scriveva spezzava le penne con la sua foga impaziente, era sopraffatto, come i primi uomini sottrattisi alla condizione di scimmia, o come i grandi filosofi, dai problemi fondamentali della vita, e li viveva come necessità immediate e urgenti. Come un bambino, vedeva anche lui tutte le cose per la prima volta, e si stupiva continuamente, e faceva domande, e tutto gli sembrava un miracolo, e ogni mattina quando apriva gli occhi e vedeva gli alberi, il mare, le pietre, un uccello, rimaneva a bocca spalancata. Cos’è questo miracolo? gridava. Che cosa vuol dire albero, mare, pietra, uccello?“

“Dimmi che cosa fai del cibo e ti dirò chi sei. Alcuni trasformano gli alimenti in grasso e letame: altri in attività e allegria, altri ancora, a quanto si dice, in Dio. Ci devono quindi essere tre categorie di uomini. Io non appartengo alla migliore, padrone, ma neppure alla peggiore. Sto nel mezzo. Quello che mangio diventa attività e buon umore. Il che non è poi male, ti sembra?”

 

“Quando qualcuno ci offre una cena, poi un’altra, poi un’altra ancora, insistendo per farci mangiare sempre più.. bè si finisce con il rimpinzarci di cibo squisito, che non si trasforma tutto in letame. Qualcosa resta, qualcosa si salva e si tramuta in buon umore, in volontà di ballare, si saltare, di cantare, o magari di altercare.. ed è questo che io chiamo risorgere.”

 

“Lui si alzava e cominciava a ballare. Quello che doveva dirmi lo esprimeva danzando. E io facevo lo stesso. Qualsiasi cosa non potessimo raccontare con la lingua, la raccontavamo con i piedi, le mani, il ventre, oppure con le urla selvagge: ih, Hi! Hop! Hop! La -la.
I miei piedi, le mie mani, i miei abiti parlavano con chiarezza.”

 

Niko Kazantzakis, da “Zorba il Greco”, 1946

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