Epistolario

Lettere di condannati a morte della Resistenza

03.01.2022

“Carissimi genitori, parenti e amici tutti,
devo comunicarvi una brutta notizia. Io e Candido, tutt’e due, siamo stati condannati a morte. Fatevi coraggio, noi siamo innocenti. Ci hanno condannati solo perché siamo partigiani. Io sono sempre vicino a voi. Dopo tante vitacce, in montagna, dover morir così… Ma, in Paradiso, sarò vicino a mio fratello, con la nonna, e pregherò per tutti voi. Vi sarò sempre vicino, vicino a te, caro papà, vicino a te, mammina. Vado alla morte tranquillo assistito dal Cappellano delle Carceri che, a momenti, deve portarmi la Comunione. Andate poi da lui, vi dirà dove mi avranno seppellito. Pregate per me. Vi chiedo perdono, se vi ho dato dei dispiaceri. Dietro il quadro della Madonna, nella mia stanza, troverete un po’ di denaro. Prendetelo e fate dire una Messa per me. la mia roba, datela ai poveri del paese. Salutatemi il Parroco ed il Teologo, e dite loro che preghino per me. Voi fatevi coraggio. Non mettetevi in pena per me. Sono in Cielo e pregherò per voi. Termino con mandarvi tanti baci e tanti auguri di buon Natale. Io lo passerò in Cielo. Arrivederci in Paradiso.
Vostro figlio Armando. Viva l’Italia! Viva gli Alpini!”

 

(Armando Amprimo, 20 anni, meccanico – Partigiano della Brigata “Lullo Mongada”, “Divisione Sergio De Vitis “, viene arrestato nel dicembre 1944 da una pattuglia RAU (Reparto Arditi Ufficiali) e tradotto alle Carceri Nuove di Torino. Processato dal Tribunale Co.Gu., Contro Guerriglia, viene fucilato il 22 dicembre 1944, al Poligono Nazionale del Martinetto)

 

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“La Divina Provvidenza non ha concesso che io offrissi all’Italia sui campi d’Africa quella vita che ho dedicato alla Patria il giorno in cui vestii per la prima volta il grigioverde. Iddio mi permette oggi di dare l’olocausto supremo di tutto me stesso all’Italia nostra ed io ne sono lieto, orgoglioso e felice! Possa il mio sangue servire per ricostruire l’unità italiana e per riportare la nostra Terra ad essere onorata e stimata nel mondo intero. Lascio nello strazio e nella tragedia dell’ora presente i miei Genitori, da cui ho imparato come si vive, si combatte e si muore; li raccomando alla bontà di tutti quelli che in terra mi hanno voluto bene. Desidero che vengano annualmente celebrate, in una chiesa delle colline torinesi due messe: una il 4 dicembre anniversario della battaglia di Ain el Gazala; l’altra il 9 novembre, anniversario della battaglia di El Alamein; e siano dedicate e celebrate per tutti i miei Compagni d’armi, che in terra d’Africa hanno dato la vita per la nostra indimenticabile Italia. Prego i miei di non voler portare il lutto per la mia morte; quando si è dato un figlio alla Patria, comunque esso venga offerto, non lo si deve ricordare col segno della sventura. Con la coscienza sicura d’aver sempre voluto servire il mio Paese con lealtà e con onore, mi presento davanti al plotone d’esecuzione col cuore assolutamente tranquillo e a testa alta.

Possa il mio grido di “Viva l’Italia libera” sovrastare e smorzare il crepitio dei moschetti che mi daranno la morte; per il bene e per l’avvenire della nostra Patria e della nostra Bandiera, per le quali muoio felice!”

(Franco Balbis, nome di battaglia “Francis”, 32 anni, Capitano di Artiglieria in Servizio di Stato Maggiore, a Ain El Gazala, El Alamein ed in Croazia, decorato di Medaglia d’Argento, di Medaglia di Bronzo e di Croce di Guerra di 1a Classe – Dopo l’armistizio, entra nel movimento clandestino torinese. Arrestato il 31 marzo I944 dai Fasci Repubblicani e processato ad aprile, viene fucilato al Poligono Nazionale del Martinetto a Torino)

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Roma, Via Tasso, Museo storico della Liberazione

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“Mamma adorata,

quando riceverai la presente sarai già straziata dal dolore. Mamma, muoio fucilato per la mia idea. Non vergognarti di tuo figlio, ma sii fiera di lui. Non piangere Mamma, il mio sangue non si verserà invano e l’Italia sarà di nuovo grande.”

(Achille Barilatti, 22 anni, studente in economia)

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“Gianna, figlia mia adorata,

è la prima ed ultima lettera che ti scrivo e scrivo a te per prima, in queste ultime ore, perché so che seguito a vivere in te. Sarò fucilato all’alba per un ideale, per una fede che tu, mia figlia, un giorno capirai appieno.

Non piangere mai per la mia mancanza, come non ho mai pianto io: il tuo Babbo non morrà mai. Egli ti guarderà, ti proteggerà ugualmente: ti vorrà sempre tutto l’infinito bene che ti vuole ora e che ti ha sempre voluto fin da quando ti sentì vivere nelle viscere di tua Madre. So di non morire, anche perché la tua Mamma sarà per te anche il tuo Babbo: quel tuo Babbo al quale vuoi tanto bene, quel tuo Babbo che vuoi tutto tuo, solo per te e del quale sei tanto gelosa. Riversa su tua Madre tutto il bene che vuoi a lui: ella ti vorrà anche tutto il mio bene, ti curerà anche per me, ti coprirà dei miei baci e delle mie tenerezze. Sapessi quante cose vorrei dirti ma mentre scrivo il mio pensiero corre, galoppa nel tempo futuro che per te sarà, deve essere felice. Ma non importa che io ti dica tutto ora, te lo dirò sempre, di volta in volta, colla bocca di tua Madre nel cui cuore entrerà la mia anima intera, quando lascerà il mio cuore.

Tua Madre resti sempre per te al di sopra di tutto. Vai sempre a fronte alta per la morte di tuo Padre.”

(Paolo Braccini, 36 anni, docente di zootecnia all’università di Torino – Dopo l’8 settembre 1943 si unisce al movimento clandestino torinese ed entra a far parte del I° Comitato Militare Regionale Piemontese in qualità di rappresentante del Partito d’Azione. Arrestato il 31 marzo 1944 da elementi della Federazione dei Fasci Repubblicani di Torino, viene fucilato il 5 aprile del 1944 al Poligono Nazionale del Martinetto in Torino)

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“Carissimi genitori,
sono stato condannato a morte per non essermi associato a coloro che vogliono distruggere completamente l’Italia.
Vi giuro di non aver commessa nessuna colpa se non quella di aver voluto più bene di costoro all’Italia, nostra amabile e martoriata Patria. Voi potete dire questo sempre a voce alta dinanzi a tutti. Se muoio, muoio innocente.”
(Antonio Brancati, 23 anni, studente)

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“Cari compagni, ora tocca a noi.

Andiamo a raggiungere gli altri tre gloriosi compagni caduti per la salvezza e la gloria d’Italia. Voi sapete il compito che vi tocca. Io muoio, ma l’idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella. Siamo alla fine di tutti i mali. Questi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grosso mostro che vuol fare più vittime possibile. Se vivrete, tocca a voi rifare questa povera Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e le ragazze così care. La mia giovinezza è spezzata ma sono sicuro che servirà da esempio. Sui nostri corpi si farà il grande faro della Libertà.”

(Giordano Cavestro, 18 anni, studente di scuola media, nome di battaglia “Mirko”– Nel 1940 dà vita ad un bollettino antifascista che, dopo l’8 settembre, organizza le prime attività partigiane del parmense, Catturato il 7 aprile del 1944 durante un rastrellamento, viene processato dal Tribunale Militare di Parma e condannato a morte. In seguito gli viene concessa la condizionale, ma viene trattenuto come ostaggio. Il 4 maggio del ’44 verrà fucilato a Bardi, vicino a Parma) 

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“Edda, voglio scriverti queste mie ultime, e poche righe. Edda, purtroppo sono le ultime sì, il destino vuole così, spero ti giungano di conforto in tanta triste sventura.  Edda, mi hanno condannato alla morte, mi uccidono; però uccidono il mio corpo non l’idea che c’è in me. Muoio, muoio senza alcun rimpianto, anzi sono orgoglioso di sacrificare la mia vita per una causa, per una giusta causa e spero che il mio sacrificio non sia vano anzi sia di aiuto nella grande lotta. Di quella causa che fino a oggi ho servito senza nulla chiedere e sempre sperando che un giorno ogni sacrificio abbia il suo ricompenso.   Per me la migliore ricompensa era quella di vedere fiorire l’idea che purtroppo per poco ho servito, ma sempre fedelmente.

Addio a tutti. Addio Edda”

(Bruno Frittaion, nome di battaglia “Attilio”, 19 anni, studente – Lascia la scuola, dopo l’armistizio, per unirsi alle formazioni partigiane del “Battaglione Pisacane”, “Brigata Tagliamento”, e poi, con funzioni di vicecommissario di Distaccamento, del “Battaglione Silvio Pellíco”. Catturato il 15 dicembre 1944 e portato nelle carceri di Udine, più volte torturato, viene fucilato il primo febbraio 1945 nei pressi dei cimitero di Tarcento)

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“Mimma cara,  la tua mamma se ne va pensandoti ed amandoti, mia creatura adorata, sii buona, studia e ubbidisci sempre gli zii che t’allevano, amali come fossi io. Io sono tranquilla – Tu devi dire a tutti i nostri cari parenti, nonna e gli altri, che mi perdonino il dolore che do loro. Non devi piangere né vergognarti di me. Quando sarai grande capirai meglio. Ti chiedo solo una cosa: studia, io ti proteggerò dal cielo.
Ti abbraccio col pensiero te e tutti, ricordandovi.
La tua infelice mamma.”

 

(Paola Garelli, 28 anni, parrucchiera – Nell’ottobre del I943 si unisce alla “Brigata Colombo”, “Divisione Gramsci”, assumendo il nome di battaglia di “Mirka”. Arrestata un anno dopo dalle “Brigate nere”, viene fucilata senza processo nel fossato della Fortezza ex Priamar di Savona)

 

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“Caro Mario,
sono le ultime ore della mia vita, ma con questo vado alla morte senza rancore delle ore vissute. Ricordati i tuoi doveri verso di me, ti ricorderò sempre

Franca”

“Cara mamma,  perdonami e coraggio. Dio solo farà ciò che la vita umana non sarà in grado di adempiere. Ti bacio.
La tua Franca”.

(Franca Lanzone, 25 anni, casalinga – Nell’ottobre del I943 si unisce alla “Brigata Colombo”, “Divisione Gramsci”. Arrestata la sera del 21 ottobre I944 dalle “Brigate Nere”, viene fucilata il 10 novembre I944, senza processo, nel fossato della Fortezza ex Priamar di Savona, insieme a Paola Garelli e altri quattro partigiani.)

 

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“Carissimo Piero, mio adorato fratello, (…) nel mio cuore si è fatta l’idea (purtroppo non da troppi sentita) che tutti più o meno è doveroso dare il suo contributo. Questo richiamo è così forte che lo sento tanto profondamente, che dopo aver messo a posto tutte le mie cose parto contenta. (…) Saprò fare il mio dovere, se Iddio mi lascerà il dono della vita sarò felice, se diversamente non piangere e non piangete per me.                                
Ti chiedo una cosa sola: non pensarmi come una sorellina cattiva. Sono una creatura d’azione, il mio spirito ha bisogno di spaziare, ma sono tutti ideali alti e belli. (…)Dio ha voluto che fossi più che mai pronta oggi. Pensami, caro Piero, e benedicimi. (…)”

(Ilaria Marchiani, 33 anni, casalinga, nome di battaglia “Anty” – Staffetta partigiana,  entra a far parte del “Battaglione Matteotti”, “Brigata  Roveda”, “Divisione Modena”. Catturata mentre tenta di portare in ospedale un partigiano ferito e ripetutamente seviziata, viene rinchiusa nel campo di concentramento di Corticelli (Bologna). Condannata a morte e poi alla deportazione in Germania, riesce a fuggire e si unisce nuovamente alla sua formazione, in cui diventa commissario e poi vice-comandante. Arrestata dai tedeschi l’11 novembre 1944 e condotta a Rocca Cometa, poi a Pavullo (Modena), viene processata e fucilata il  26 novembre 1944)

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“Babbo e Mamma,
state tranquilli – sono sereno in quest’ora solenne. In coscienza non ho commesso delitti: solamente ho amato come mi è stato possibile. Condanna a morte – I° per aver protetto e nascosto un giovane di cui volevo salva l’anima, 2° per aver amministrato i sacramenti ai partigiani, e cioè aver fatto il prete. Il terzo motivo non è nobile come i precedenti – aver nascosto la radio.
Muoio travolto dalla tenebrosa bufera dell’odio io che non ho voluto vivere che per l’amore!  ‘Deus Charitas est’ e Dio non muore. Non muore l’Amore! Muoio pregando per coloro stessi che mi uccidono. Ho già sofferto un poco per loro…..E’ l’ora del grande perdono di Dio! Desidero avere misericordia; per questo abbraccio l’intero mondo rovinato dal peccato – in uno spirituale abbraccio di misericordia. Che il Signore accetti il sacrificio di questa piccola insignificante vita in riparazione di tanti peccati – e per la santificazione dei sacerdoti. […]

Non più carta – all’infuori di questa busta – e anche la luce sta per venir meno. Domani festa della Madonna potrò vederne il volto materno? Sono indegno di tanta fortuna. Anime buone pregate voi tutte perché mi sia concessa presto – prestissimo tanta fortuna!

Anche in questo momento sono passati ad insultarmi – “Dimette illis – nesciunt quid faciunt”. Signore che venga il Vostro regno! Mi si tratta come un traditore – assassino. Non mi pare di aver voluto male a nessuno – ripeto a nessuno – mai che se per caso avessi fatto a qualcuno qualche cosa di male – io qui dalla mia prigione – in ginocchio davanti al Signore – ne domando umilmente perdono.”

(Aldo Mei, 32 anni, sacerdote – Arrestato dai tedeschi il 2 agosto 1944 nella Chiesa di Fiano,  subito dopo la celebrazione della Messa, con l’imputazione di aver nascosto  un giornalista ebreo, viene fucilato il  4 agosto 1944)

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“Muoio per la mia Patria. Ho sempre fatto il mio dovere di cittadino e di soldato: Spero che il mio esempio serva ai miei fratelli e compagni. Iddio mi ha voluto… Accetto con rassegnazione il suo volere.
Non piangetemi, ma ricordatemi a coloro che mi vollero bene e mi stimarono. Viva l’Italia.  Raggiungo con cristiana rassegnazione la mia mamma che santamente mi educò e mi protesse per i vent’anni della mia vita.
L’amavo troppo la mia Patria; non la tradite, e voi tutti giovani d’Italia seguite la mia via e avrete il compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire una nuova unità nazionale.  Perdono a coloro che mi giustiziano perché non sanno quello che fanno e non sanno che l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia.”

(Giancarlo Puecher Passavalli, 20 anni, studente, figlio di Giorgio Puecher Passavalli, ucciso nel lager di Mauthausen – Dopo l’8 settembre 1943, diventa l’organizzatore ed il capo dei gruppi partigiani che si stanno  formando nella zona di Erba-Pontelambro (Como). Catturato il 12 novembre 1943 a Erba, dalle “Brigate Nere” e ripetutamente torturato, viene fucilato il 21 dicembre 1943)

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“A te mio dolce amore caro io auguro pace e felicità. Addio amore…Tu che mi hai dato le uniche ore di felicità della mia povera vita…! A te io dono gli ultimi miei battiti d’amore… Addio Livia, tuo in eterno… Roberto”

 

(Roberto Ricotti, 22 anni, meccanico – Nel settembre del 1943, riesce ad evadere dal campo di concentramento di Bolzano e raggiunge Milano, dove comincia ad organizzare i giovani del suo rione diventando  Commissario politico della 124^ Brigata Garibaldi SAP. Arrestato il 20 dicembre 1944  e più volte seviziato, viene fucilato il 14 gennaio 1945 al campo sportivo Giurati di Milano)

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“Carissimi,

una sorte dura e purtroppo crudele sta per separarmi da voi per sempre. Il mio dolore nel lasciarvi è il pensiero che la vostra vita è spezzata, voi che avete fatti tanti sacrifici per me, li vedete ad un tratto frustrati da un iniquo destino. Coraggio! Non potrò più essere il bastone dei vostri ultimi anni ma dal cielo pregherò perché Iddio vi protegga e vi sorregga nel rimanente cammino terreno. La speranza che ci potremo trovare in una vita migliore mi aiuta a sopportare con calma questi attimi terribili. Bisogna avere pazienza, la giustizia degli uomini, ahimè, troppo severa, ha voluto così. Una cosa sola ci sia di conforto: che ho agito sempre onestamente secondo i santi principi che mi avete inculcato sin da bambino, che ho combattuto lealmente per un ideale che ritengo sarà sempre per voi motivo di orgoglio, la grandezza d’Italia, la mia Patria: che non ho mai ucciso, né fatto uccidere alcuno: che le mie mani sono nette di sangue, di furti e di rapine. Per un ideale ho lottato e per un ideale muoio. Perdonate se ho anteposto la Patria a voi, ma sono certo che saprete sopportare con coraggio e con fierezza questo colpo assai duro.

Dunque, non addio, ma arrivederci in una vita migliore. Ricordatevi sempre di un figlio che vi chiede perdono per tutte le stupidaggini che può aver compiuto, ma che vi ha sempre voluto bene.

Un caro bacio ed abbraccio. Renzo”

(Lorenzo Viale, 27 anni, ingegnere alla FIAT di Torino – Addetto militare della squadra “Diavolo Rosso”, poi ufficiale di collegamento dell’organizzazione “Giovane Piemonte” si unisce alle formazioni partigiane operanti nella zona del Canavese e l’8 dicembre del 1944 viene arrestato dalle Brigate Nere. Sottoposto a processo con l’accusa di aver ucciso il prefetto fascista Manganiello, viene fucilato l’11 febbraio 1945 al Poligono Nazionale del Martinetto in Torino.)

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11 aprile 1944
Ai miei cari figli,
quando voi potrete forse leggere questo doloroso foglio, miei cari e amati figli, forse io non sarò più fra i vivi.
Questa mattina alle 7 mentre mi trovavo ancora a letto sentii chiamare il mio nome. Mi alzai subito. Una guardia aprì la porta della mia cella e mi disse di scendere che ero atteso sotto. Discesi, trovai un poliziotto che mi attendeva, mi prese su di una macchina e mi accompagnò al Tribunale di Guerra di Via Lucullo n. 16. Conoscevo già quella triste casa per aver avuto un altro processo il 29 febbraio scorso quando fui condannato a 15 anni di prigione. Ma questa condanna non soddisfece abbastanza il comando tedesco il quale mandò l’ordine di rifare il processo. Così il processo, se tale possiamo chiamarlo, ebbe luogo in dieci minuti e finì con la mia condanna alla fucilazione.
Il giorno stesso ho fatto la domanda di grazia, seppure con repulsione verso questo straniero oppressore. Tale suprema rinuncia alla mia fierezza offro in questo momento d’addio alla vostra povera mamma e a voi, miei cari disgraziati figli.
Amatevi l’un l’altro, miei cari, amate vostra madre e fate in modo che il vostro amore compensi la mia mancanza. Amate lo studio e il lavoro. Una vita onesta è il migliore ornamento di chi vive. Dell’amore per l’umanità fate una religione e siate sempre solleciti verso il bisogno e le sofferenze dei vostri simili. Amate la libertà e ricordate che questo bene deve essere pagato con continui sacrifici e qualche volta con la vita. Una vita in schiavitù è meglio non viverla. Amate la madrepatria, ma ricordate che la patria vera è il mondo e, ovunque vi sono vostri simili, quelli sono i vostri fratelli.
Siate umili e disdegnate l’orgoglio; questa fu la religione che seguii nella vita.
Forse, se tale è il mio destino, potrò sopravvivere a questa prova; ma se così non può essere io muoio nella certezza che la primavera che tanto io ho atteso brillerà presto anche per voi. E questa speranza mi dà la forza di affrontare serenamente la morte”.
(Pietro Benedetti, socialista, più volte arrestato per la sua attività antifascista clandestina,  avviò a Roma  un laboratorio di ebanisteria facendo della sua  bottega  un luogo di riunione di giovani antifascisti e un centro di smistamento della stampa clandestina. Arrestato il 28 dicembre del ’43, fu condannato a 15 anni di reclusione, ma il 1° aprile, nel corso di un nuovo processo, la sentenza fu modificata nella pena capitale, per cui venne fucilato sugli spalti di Forte Bravetta).
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