Riflessioni

Leda Rafanelli, la “zingara anarchica”

07.01.2022

Io ero in uno stato d’animo strano. Comprendevo che si compiva qualcosa di inevitabile. Che l’Europa, la parte di mondo che ha sempre rubato agli altri suolo, prodotti, libertà, autonomia, – dovesse finalmente pagare le sue colpe era ormai una vicenda in atto. Sentivo che era quasi giusto, logico, che l’Europa soffrisse ciò che aveva fatto soffrire ai popoli conquistati, che comprendesse quale terribile realtà è la violenza delle armi[…] Io soffrivo molto in quel tempo, presaga di ciò che doveva avvenire. E non seppi, non volli tacere. In quelle giornate ardenti, mentre le idee cozzavano contro altre idee, mentre anche alcuni a noi vicini si facevano travolgere dalla corrente che invocava la “guerra liberatrice” – io volli mettermi al sicuro da ogni interpretazione errata delle mie teorie […] soprattutto cosciente esecrazione della guerra, – del fatto guerra, – e consapevole rinunzia a tutto ciò che è detto gloria – eroismo – valore di marca dinastica militare e borghese. E in una notte di dolorosa passione, turbata e straziata per tutto ciò che succedeva a noi intorno, scrissi un opuscolo che intitolai, a scanso di equivoci, Abbasso la guerra. Questo opuscolo fu stampato in molte migliaia di esemplari, e diffuso in tutta Italia. Naturalmente fu subito sequestrato.

Leda Rafanelli (1880 – 1971), da “Una donna e Mussolini”, 1945

Anarchica, musulmana, sufista, fiera di sentirsi scorrere nelle vene il sangue arabo ereditato dal nonno materno “che era figlio naturale di uno zingaro tunisino“, Leda non ha mai avvertito alcun tipo di contrasto tra queste convinzioni che altri, invece, consideravano inconciliabili: “I miei compagni sono atei, e padroni di esserlo. Io sono credente. A me non interessa affatto che gli altri siano religiosi, amo esserlo io.” Insieme al marito, Luigi Polli, si stabilisce a Milano dove i due aprono una casa editrice che pubblica scritti anticlericali, antimilitaristi e femministi. Dopo la morte di Luigi, si innamora di Giuseppe Monanni, anche lui tipografo, con il quale fonda la Libreria Editrice Sociale, una nuova casa editrice decisamente all’avanguardia, che pubblica i libri di Bakunin, Proudhon, Stirner, Nietzsche ecc.

Sono questi gli anni in cui comincia a frequentare Benito Mussolini,  che, all’epoca, è il direttore de «L’Avanti!»; se abbia avuto una storia con lui, non si sa con certezza, ma certo il tono delle lettere che il futuro “duce” le scrive non lascia adito a dubbi circa i sentimenti di lui: “Da tre giorni non mi scrivi. Perché? Lo indovino. Ti credevo più forte, più umana. Finito dunque? Già finito questo nostro amore che sembrava meraviglioso? Tu non puoi credere quanto questo silenzio mi faccia soffrire. Scrivimi, magari per maledirmi, ma scrivimi, te ne scongiuro.” Dopo la rottura con Mussolini, il carteggio tra i due non sarebbe mai stato ritrovato, nonostante le ripetute perquisizioni fatte dalla polizia fascista, perché le lettere, portate in Romagna,  erano state accuratamente nascoste in casa del pittore Luigi Melandri: dopo la guerra, verranno raccolte nel libro “Una donna e Mussolini.” Nel frattempo, mentre Mussolini, schieratosi su posizioni interventiste, era stato espulso dal Partito Socialista, Leda continuava la sua lotta contro ogni tipo di guerra: “Donne d’Italia! Unitevi tutte al grido di abbasso le armi! Madri, spose e sorelle! Se l’amore che dite di sentire per i vostri figli, per i vostri mariti e per i vostri fratelli non è una menzogna, se l’esistenza dei vostri cari vi è veramente sacra, unitevi tutte nel fatidico grido di Abbasso le armi! Per l’umanità, per la civiltà, per l’avvenire, sia unica la vostra volontà e sia forte il vostro grido affinché risuonando in ogni contrada strappi al dolore muto ed alla passiva rassegnazione tutte le femminili energie e le sollevi all’azione contro le barbarie devastatrice. Su la tempesta di fuoco e di sangue che imperversa senza tregua da oltre venti mesi, sopra gli urli dell’odio e della morte che travolgono tante genti, sopra il rombo micidiale e orrendo delle artiglierie che mietono tanti giovani e preziose esistenze, risuoni alto e vibrante il vostro grido generoso: giù le armi! Viva la fratellanza umana!”

Dopo la separazione da  Giuseppe Monanni, Leda, le cui già precarie condizioni economiche continuano a peggiorare, per riuscire a sbarcare il lunario si mette a fare la chiromante e, per scrivere, assume lo pseudonimo di Dhjali: “È un dono che sento di possedere fin da bambina, la mano è una pagina dove uno scrittore ignoto ha segnato le vicende segrete dell’individuo che porge il palmo, ma la chiromanzia non è una scienza e dubito assai di tutti i maestri delle scienze occulte; io non ho gocce da mescolare col caffè, polverine di capelli da fare ingoiare col cibo o spilli da infilare negli occhi di una fotografia, solo l’istinto e un senso segreto e inspiegabile mi guidano.” (Leda Rafanelli, “Memorie di una chiromante”).

Schiva, solitaria, “irregolare persino nei ricordi” (come spesso amava definirsi),  negli ultimi anni della sua vita è circondata da pochissimi amici: “Sono quattro, il numero perfetto. Quattro come le stagioni, come i poli del vento, come le facce della piramide. Potranno diventare cinque, come le dita della mano, cinque come i sensi. Ma non di più…”. Le sue ultime parole sono per la fede politica: “Leda Rafanelli, partendo per sempre, saluta tutti i compagni. Viva l’anarchia” (Leda Rafanelli, su “L”Internazionale”, settembre 1971)

Maddalena Vaiani

Lascia un commento