Riflessioni

Io, Franklin Armstrong

15.01.2022

Franklin:
In fondo un gioco che fa male alle bambine non può essere un bel gioco“.

“Gentile signor Schulz,
dalla morte di Martin Luther King mi sono chiesta cosa potessi fare  per contribuire a cambiare le condizioni della nostra società, che hanno portato all’assassinio di King e che contribuiscono alla marea di incomprensioni, paure, odio e violenza.
Come casalinga di periferia, come madre di tre bambini e come cittadina attiva e preoccupata, sono ben consapevole della lunga e tortuosa strada di fronte a noi. Credo dovrà passare un’altra generazione prima di vedere amicizia e fiducia come parti accettate delle nostre vite. (…)
Ho realizzato che sarebbe stato possibile fare qualcosa attraverso le strisce a fumetti. (…)
Non ha certo bisogno della mia conferma per sapere che Peanuts è una delle più amate, lette e citate realtà della società letteraria (…). Ho pensato, oggi, che l’introduzione di un bambino di colore nel gruppo di personaggi avrebbe un impatto minimo. (…) Sono consapevole che un cambiamento del genere in un’istituzione così importante non sarà privo di reazioni da parte dei distributori e dei clienti. Lei, però, ha una statura e una reputazione che può sopportare questo ed altro. Infine, se dovesse prendere in considerazione la mia idea, spero che il risultato sia più di un solo bambino di colore. Lo faccia adorabile come gli altri, ma, per favore, faccia che anche i neri abbiano una loro Lucy”.
15 aprile 1968
Harriet Glickman

“Gentile signora Glickman, la ringrazio molto per la sua lettera. Apprezzo il suggerimento di introdurre un bambino nero nella striscia, ma devo affrontare lo stesso problema che hanno gli altri fumettisti con il suo stesso desiderio. Tutti vorremmo esaudire la richiesta, ma siamo spaventati che il nostro atteggiamento possa apparire paternalistico o di superiorità nei suoi confronti. Non so quale sia la soluzione”.
26 aprile 1968
Charles Schulz

Harriet Glickman è una maestra: insegna in una scuola elementare del distretto Sherman Oaks di Los Angeles.
Charles Schulz non ha bisogno di presentazioni.

Quel 1968 non può certo essere definito “annus mirabilis“. L’America è imbarcata nella “sporca guerra” del Vietnam e appena dieci giorni prima Martin Luther King è stato assassinato a Memphis, sul balcone dell’albergo in cui alloggiava. Un colpo preciso alla testa.
Il sogno della “non violenza” sembra destinato  a morire con lui.
Una fiammata di odio, di rabbia, di esasperazione, di violenza, devasta tutto il paese.

Harriet scrive a Schulz con una richiesta ben precisa: un fumetto in cui uno dei protagonisti sia un bambino nero.
È una richiesta che parte dalla sua esperienza di maestra, dalla consapevolezza di quanto un fumetto possa influenzare l’immaginario di un bambino e di quanto l’educazione dell’infanzia sia determinante per formare l’uomo di domani.

“Non è che mi sono svegliata una mattina pensando di scrivere una lettera (..). Mi c’è voluta tutta la mia vita per decidere di scriverla.”

E Schulz non è il primo autore di fumetti a cui si rivolge. Aveva interpellato anche Allen Saunders, che però  si era tirato subito indietro:

“E’ impossibile mettere un nero in un ruolo professionalmente rilevante e fare in modo che i lettori lo accettino. D’altro canto, il nero militante non accetterà che un membro della sua etnia venga messo in ruoli umili che ora facciamo fare anche ai bianchi. Sarebbe ostile e cercherebbe di eliminare il prodotto.”

Il mercato è così…mai stuzzicarlo troppo, il capitalismo si offenderebbe!

In realtà Schulz nutre in cuor suo le stesse perplessità, ma si dimostra più coraggioso, non senza prima aver preso le debite precauzioni consultandosi con chi di dovere, perfino con Tom Bradley, futuro sindaco di Los Angeles.
È però Kenneth C. Kelly, un afroamericano che si batte per la parità di diritti, che gli suggerisce un éscamotage: se il nuovo personaggio avrà un ruolo secondario, di semplice comparsa, forse nessuno ci farà troppo caso.

Il 31 luglio 1968 nasce Franklin Armstrong.

“Ho disegnato una storia che credo le piacerà”, scrive Schulz a Harriet.

Franklin incontra Charlie Brown sulla spiaggia, di solito preclusa ai neri. Ben presto, lo inviterà a casa sua.
È un bambino tranquillo, Franklin, studioso, affabile con tutti, bravo perfino nel giocare a baseball. Il figlio ideale, insomma. E, tanto per non distinguersi troppo dai “bianchi”, suo padre è andato a combattere in Vietnam.
Sono in molti, però, a non amarlo.
“Ci sta bene vedere un personaggio di colore, –  scrive a Schulz un editore, – ma per favore non mettetelo più in classe con gli altri bambini.”
Ci sono giornali, tanti, che minacciano di boicottare la striscia e c’è chi accusa Schulz  di “tokenism”, in sostanza, di aver dato una sorta di contentino ai sostenitori della parità di diritti e di averlo fatto con un personaggio che si potrebbe definire “un guscio vuoto”.
In effetti Franklin spicca non solo per il suo colore: troppo equilibrato per non risaltare tra quelli “schizzati” dei Peanuts.
Troppo perfetto, tanto perfetto da risultare noioso e anche un po’ scialbo.
Perfino il vescovo James P. Shannon, molto vicino alle posizioni di Martin Luther King,  non può fare a meno di osservare che “Franklin sarebbe un personaggio più credibile se avesse dei difetti, invece di essere un piccolo nero perfetto”.
Del resto il suo stesso “papà” non sembra apprezzarlo molto, né è particolarmente convinto della sua creatura:

“Non ci ho mai fatto molto con Franklin perché non faccio cose razziali. Non sono un esperto della razza, non so cosa voglia dire crescere come un bambino nero e penso che uno dovrebbe disegnare solo quello che capisce veramente, a meno di voler smuovere le cose e insegnare alla gente qualcosa. Io non faccio questo lavoro per istruire la gente, lo faccio solo per divertirla. Ogni tanto posso insegnare qualcosa, ma non sono il tipo che fa proseliti. Lascio che sia qualcun altro a farlo”.

Ce l’ha messa tutta, però. Il problema è che mantenersi in equilibrio su una corda tesa è tutt’altro che semplice.  E il gioco delle parti è sempre in agguato. Così, nel ’74, “in tempore non suspecto” (o, se non altro, meno sospetto), sarà Schulz ad essere tacciato di razzismo, quando Piperita Patty farà notare a Franklin che non sono molti i neri  che possano vantare un ruolo nel più importante campionato di hockey americano.

Franklin scompare improvvisamente nel 1999, lo stesso anno in cui suo padre viene colpito da un ictus.
Schulz lo seguirà l’anno dopo.
Strano destino, questo andarsene via insieme…

Clarence Page, sul “Chicago Tribune“,  fu una delle poche ad assumere le difese di entrambi: “Ve lo immaginereste Franklin pieno di complessi, che si succhia il dito, come Linus? O che cammina circondato da una nuvola di polvere come Pig-Pen?”

Sì, ce lo immagineremmo. Perché nel bene e nel male siamo tutti uguali. Tutti sotto lo stesso cielo.

Piperita Patty:
Martin Luther King diceva di “avere un sogno”. Prima di ciò, noi due non saremmo stati seduti qui“.

Franklin:
Già e io non avrei potuto proporti questo scambio commerciale: ti offro una carota per una patatina fritta“.

Maddalena Vaiani

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Nell’immagine: La prima apparizione di Franklin (© Peanuts Worldwide LLC/distributed by Universal Uclick/ILPA)

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