Affabulazioni

L’orologio dei siciliani

18.01.2022

“Quando gli arabi arrivarono al di qua del mare, c’era già la gente. i siculi o siciliani, insomma noi c’eravamo già, con le nostre regole, il nostro modo di vivere, il nostro modo di immaginare e colorare il mondo, il nostro modo di incontrarci…
Gli arabi si innamorarono di questa terra dalla forma geometrica e così, non fecero come certa gente più avanti che andò a cercare il peperoncino e portò a casa un continente e che siccome era ingombrante da portare a casa, ci mise la bandierina e come si fa a risico, dichiarò che gli apparteneva, gli diede un nome e disse che lo aveva scoperto… Ma quella è un’altra storia detta poi: “nisciti don cola ca a putia è mia” [uscite don cola che la bottega è mia].
Dunque… gli arabi… i mori… con il gusto del bello, testardi, abbronzati e dalla mente sveglia… e innamorati di questo triangolo nel cuore del mare. Qualcuno sta pensando “crudeli” e pensa bene, ma dubito che abbiano il primato in questa categoria, non fecero di meglio i signori dagli occhi azzurri…
Comunque non divaghiamo… Gli arabi portarono tante cose, dalla cassata siciliana, all’architettura, al gelato, alle conoscenze… matematiche… e qua volevo arrivare, perché vedete, loro introdussero i numeri che servivano per tante cose… saper far di conto era un segno di persona di rispetto: “sa far di conto, ha fatto le scuole” poi se conosceva pure l’italiano e sapeva scrivere allora era uno che aveva “fatto le scuole alte”.
Torniamo agli arabi che da persone intelligenti su certe cose si limitarono a rispettare usi e costumi degli indigeni… l’ora ad esempio.
I numeri, per quanto riguarda “l’ora”, non sono fattori algebrici, sono fattori orientativi oscillanti e con diverse soluzioni, un esempio: se al di qua dello stretto uno dice “ci sentiamo a mezzogiorno” non sta traducendo il mezzogiorno con le ore 12,00 di un qualsiasi orologio e nemmeno fa riferimento a quella linea immaginaria che passa per un punto immaginario di un paesino della lontana Inghilterra… no, fa riferimento concreto a ciò che di più concreto c’è al di qua dello stretto: la tavola, il desco. il luogo dove si divide il pane e vario companatico con chi è della famiglia (anche qua il termine va interpretato); quindi il “ci sentiamo a mezzogiorno” si traduce in: “ci sentiamo all’ora di pranzo” che oscilla dalle 12,00 circa alle 15,00.
Di conseguenza: “passo alle 3,00” non vuol dire affatto passo alle 15,00 ma “passo dopo pranzo e comunque nel primo pomeriggio” che va dalle 15,00 alle 17,00 più o meno.
Ecco, questa è una delle cose che imparerete quando attraversate lo stretto, perché al di qua dello stretto i siciliani c’erano già prima dei numeri e prima del termine “o’ clock” e a certe tradizioni ci si tiene a mantenerle nel tempo… i minuti sono sottigliezze, un siculo che dice: “dieci minuti alle nove”… è come trovare “u pulici ca porta a cravatta” [una pulce che indossa la cravatta], dare più importanza ai minuti… che alle ore, che già faticano di suo per stare dentro un orologio, non esiste. Comunque, volevo dire che nonostante questa visione del tempo che passa, e mentre passa, passeggia e nel frattempo si prende un caffè e chiacchiera con la vicina, anche noi ci stressiamo, ma con calma…

Maria Carmela Micciché

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