Linguaggi

Ognuno ha una favola dentro…

19.01.2022
“Le favole non dicono ai bambini che i draghi esistono.
Perché i bambini lo sanno già.
Le favole dicono ai bambini che i draghi possono essere sconfitti.”
Gilbert Keith Chesterton
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Ognuno ha una favola dentro

“Ognuno ha una favola dentro
che non riesce a leggere da solo.
Ha bisogno di qualcuno che,
con la meraviglia e l’incanto
negli occhi, la legga e gliela racconti.”

Pablo Neruda

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Fiabe
“Biancaneve rifiutò di fare la serva ai nani,
e non le permisero di entrare in casa.
Cenerentola denunciò per maltrattamenti la sua matrigna.
Senza fucile non entro nel bosco, disse Cappuccetto,
dopo che il lupo la seguì per la prima volta.
(La nonna non ha mai aperto la porta senza prima guardare).
Pelle d’Asino osò denunciare l’incesto di suo padre.
La Sirenetta non morì d’amore. Nemmeno si illuse
che un principe l’avrebbe sposata.
Quando la Bella incontrò la Bestia, lo amò com’era,
senza aspettare qualche tipo di miracolo.
Riccioli d’Oro non provò neppure ad assaggiare la minestra;
gli orsi l’avrebbero divorata all’istante.
La Principessa sul Pisello non accettò di dormire
sopra tanti materassi, e gridò che se dubitavano
del suo lignaggio, andassero tutti all’inferno.
Alice non viaggiò mai nel Paese delle Meraviglie
e la Bella Addormentata si coricò, annoiata,
perché non le permettevano mai di fare quello che voleva.
Queste sono le fiabe, figlia mia.
La vita si incaricherà di raccontartele.”

Daisy Zamora

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Salvador Dalí, “Ossificazione mattutina del cipresso”, 1934

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Poesie di ghiaccio

“Andiamo alla casa
del camino acceso
dove la storia
di c’era una volta
comincia ora
vieni e ascolta.

Che cosa scende?
È l’ora-neve?
No, è solo un cristallo
di passaggio
il primo di tutti
a mettersi in viaggio.

Fiori di neve
erba ghiacciata
l’inverno è un’estate
pietrificata.

Urla il vento
nella tormenta
nella tana il lupo
si addormenta.
Ma il cuore freddo
freddo gelato
non trova tana
è assiderato.

È l’agrifoglio
il mio fidanzato
ha foglie verdi
meravigliose
ma quando punge
con le sue spine
la neve bianca
la neve esangue
diventa rossa
come sangue.

Fa finta il mondo
di essere buono
fa finta il mondo
di essere bianco
guardate anche
il cuore
si è imbiancato
quasi non batte
si è addormentato.

Che cielo bianco
l’azzurro è finito
il cielo bianco
è il suo preferito.
Il cuore freddo
freddo gelato
del cielo bianco
è il fidanzato.

Corra dottore
il cuore è freddo
dottore corra
è freddo gelato
un respiro di iceberg
l’ha ammalato.

Corra dottore
il cuore affonda
un volto di iceberg
ha incontrato
corra dottore
mio invocato.

Corra dottore
che il ghiaccio mi copre
corra dottore
che il ghiaccio è alla gola
corra dottore
che l’anima è sola.

Grazie dottore
grazie al suo cuore
il suo cuore ha curato
il cuore malato
l’acqua riscorre
si è sciolta la neve
l’acqua riscorre
luccica, vede?

Dal camino
è uscita una storia
che comincia
con c’era una volta,
c’era una volta
il Re del Ghiaccio
con una valigia di neve
si metteva in viaggio.

Al mio fidanzato
preparo una sciarpa
ma lunga lunga
ma bianca bianca.
Preparo una sciarpa
come un sentiero
su quel sentiero
ci incontreremo
su quel sentiero
ci baceremo.

Torna ti prego
ti aspetto in cucina
vicino al cuore
e alla sua spina.
Torna ti prego
ti aspetto
per sempre
dove il tempo
non muore mai.

Il mio fidanzato
è un cielo stellato
io gli parlo
e lui mi parla
io lo guardo
e lui mi guarda.

Il mio fidanzato
è un pettirosso,
abitiamo
al settimo ramo,
quando dal cielo
scende la neve
di ramo in ramo,
ridiamo e ridiamo.

Guarda, gentile luna:
qualcuno ti ama.
“Sì, mi ama qualcuno
ma io non amo nessuno”.
“Sì, mi ama qualcuno
ma io non amo nessuno”.

Fa così freddo,
dov’è un camino?
Dov’è un fuoco?
Dov’è la vita?
Era qui adesso,
dov’è finita?

Un altro fiocco
e un altro ancora
sarà un’annata di quelle buone
la neve si posa
sulle persone.”

Vivian Lamarque, da “Poesie di ghiaccio”

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Personaggi di fantasia

“Vogliono mai scappare?
Uscire dalle pagine bianche
ed entrare nel nostro mondo?

Holden Caulfield che scivola nel cinema
per catturare le due
Anna Karenina seduta in una tavola calda, che
legge il giornale mentre la cameriera
serve un cheeseburger.

Anche Ettore, in pausa dall’Iliade,
fa una passeggiata nel parco,
ammira i tulipani.

Forse si sono stancati
della mente dell’autore, di tutti i suoi colpi di scena.

O si sono finalmente stancati
di inciampare per Pamplona,
una bottiglia in ogni pugno
mangiare fiori di loto sulle rive del Nilo,
per altri era semplicemente troppo caldo
nella piccola città della California
dove erano stati scritti in
una vita di campi arati.

Qualunque sia la ragione,
eccoli qui, vagando per le strade della città, la
pioggia cade sulle loro spalle fantasmatiche.

Non lo faresti, se potessi?
Esci dalla tua stessa storia,
per appoggiarti a una porta
del Five & Dime, sorseggiando il tuo caffè, la tua vita,
da qualche parte lontano dietro di te,
tutto il suo calore e fatica nient’altro che un racconto che
riposa nelle mani di uno sconosciuto,
il marciapiede davanti bagnato e scintillante.”

Danusha Laméris, “Personaggi immaginari”, da “Lune di agosto”

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René Magritte, “L’embellie”, 1962

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Le bambine dai capelli rossi. Una favola teatrale

“Davanti ai cancelli delle favole
chi aspetta il suo turno
per essere amata
ha tutto il tempo di avere paura
ogni petalo è un mostro
che ha tenuto per mano
coi fiori sugli occhi la testa a punta
e molti animali randagi
nelle vene
tu sai che sono una bambina.”
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“Le bambine che non sanno amare
sono animali che nascono ciechi
e restano appesi
a testa in giù
somigliano ai pipistrelli.
Ti rompono le ossa giocando
come nel buio sbattendo
l’una contro l’altra.”
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“La prima bambola che ho fatto
è stata mio padre
ma senza quei baffi
era mio padre e non mi voleva.
Coperto di api ripeteva
«Quando meno te lo aspetti sparirò».”
Eva Laudace, da “Le bambine dai capelli rossi. Una favola teatrale”, 2022
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John Atkinson Grimshaw, “Spirit of the Night”
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Io conosco una piccola fata triste
“Io conosco una piccola fata triste
Che dimora in un oceano e suona il suo cuore in un flauto di legno.
Dolcemente, dolcemente.
Una piccola fata triste
Che, al tramonto, di un bacio muore e all’alba, di un bacio rinasce.”
Forugh Farrokhzad
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Il gigante dagli occhi azzurri, la donna piccolina e la madreselva
“C’era una volta un gigante dagli occhi azzurri.
si innamorò di una donnina
piccolina, piccolina.
Il sogno della donna era una casina,
piccolina, piccolina,
con un giardino dove cresce la madreselva
di raso.
Il gigante amava come un gigante.
E le mani del gigante
erano fatte per cose tanto grandi
ma tanto grandi
che non avrebbe mai potuto costruire i muri,
né bussare alla porta
di una casina
tanto piccolina
con un giardino dove cresce la madreselva
di raso.
C’era una volta un gigante dagli occhi azzurri.
si innamorò di una donnina
piccolina.
Ebbe sete di benessere
la donnina, così si stancò
degli immensi sentieri del gigante.
“Addio, addio disse” a i suoi occhi azzurri,
e al braccio di un ricco nano
penetrò nella casina
piccolina
con un giardino dove cresce la madreselva
di raso.
Adesso il gigante dagli occhi azzurri sa
che non può essere utile nemmeno come tomba
degli amori di un gigante
la casina
piccolina
con un giardino dove cresce la madreselva
di raso.”
Nazim Hikmet, “Il gigante dagli occhi azzurri, la donna piccolina e la madreselva”
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Illustrazione di Quentin Blake
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Fiaba
“Quando mi guardo indietro mi sembra di ricordare il canto.
Eppure c’era sempre silenzio in quella lunga stanza calda.
Impenetrabili, quelle mura, pensavamo,
buie con scudi antichi. La luce
brillava sulla testa di una ragazza o su giovani membra
si diffondeva con noncuranza. E le voci basse
si levavano nel silenzio e si perdevano come in acqua.
Eppure, per tutti c’era quiete e calore come di una mano,
se uno di noi tirava le tende
una pioggia filettata soffiava incautamente all’esterno.
A volte un vento si insinuava, agitando le fiamme,
e piazzava ombre a rannicchiarsi sulle pareti,
o fuori un lupo ululava nella vasta notte,
e sentendo la nostra carne gelata disegnavamo insieme.
Ma per un po’ la danza continuò –
Ecco come mi sembra ora:
lente forme si muovevano calme attraverso
pozze di luce come oro intrappolato sul pavimento.
Sarebbe potuto continuare, come un sogno, per sempre.
Ma tra un anno e quello successivo – soffiava un vento nuovo?
La pioggia finalmente ha reso marce le pareti?
I musi dei lupi sono venuti ad agitare le travi cadute?
È stato tanto tempo fa.
Ma a volte mi ricordo la stanza con le tende
e sento le giovani voci cantare in lontananza.”
Doris Lessing, “Fiaba”, da “Fourteen poems”, 1959
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Racconto antico
“Il sole tramonta per tre intere pagine,
la notte cala con ampi fraseggi
una falena secca sulla parola luna.
Qualunque cosa accada qui, accadrà nella cornice climatica opportuna. L’autore dà a ciascuno secondo il suo cuore:
chi piange ha la pioggia oltre il vetro,
chi sorride un piccolo raggio di sole,
gli infami tramano nella bufera.
Un giovane puro alla luce di stelle calcolate
s’inginocchia al cospetto di un’angela. L’angela
vola via su orlature di morbida mussola.
Una strega curva come un manico di brocca
dice ‘cugina’ a una nuvola gonfia di grandine.
Da un capoverso all’altro la tempesta è passata…”
Wislawa Szymborska, “Racconto antico”
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Adelina Lirius, “Night people”
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Cenerentola in cucina
“Le ore migliori di Cenerentola erano quelle passate giù in cucina
aveva per così dire
libertà d’intelletto.
Si stringeva le tempie fra le mani
i capelli ricoperti d’unto.
Volava con la mente verso luoghi lontani
impensati
inspiegabili
sensazioni che lei conosceva senza dare loro un nome.
E abbassava gli occhi sul grembiule
imbrattato e macchiato
e sapeva quanto grande è la distanza fra qui e lì
se pure è misurabile
se pure è misurabile
e poi ciò che comincia qui ed ora
non ha fine nel tempo
né un punto nel tempo.
E tracciava un cerchietto intorno a sé
si faceva un contrassegno
ovviamente immaginario.
Poi vedeva uscire quelle due con gli abiti migliori
eleganti, sfarzose, profumate
tutte tronfie.
E non voleva davvero trovarsi al loro posto.
Infiniti tesori possedeva nella sua fantasia
infiniti veramente
e senza forma.
Aveva un piccolo groppo di calore in gola
e un battito violento, malato del cuore.
Ed esisteva fuori di tutti
piangente, riarsa dalla febbre
in ogni istante pronta a smettere di esistere.
Aveva un punto di osservazione
di rara distanza
come stesse sul pianeta Marte
il pianeta della guerra.
E stringeva i pugni, dichiarava:
parto per la guerra.
E poi si addormentava.”
Dahlia Rabikovitch, poetessa e attivista israeliana
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Rafael Olbinsky
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Cenerentola e i poeti
Le donne di casa hanno un’abitudine, maltrattarla:
“Pettina un poco quella lingua!
Dalle lucentezza!
Puliscila!
Stira un poco quella lingua!”
Sordomuta entra nello specchio canticchiando
canzoni che nessuno ascolterà.
Quasi tutti i giorni la stessa visita:
rospo d’incantesimi.
E lei, notte dopo notte, va ad accarezzargli la schiena
e a dirgli senza voce: “chissà, forse domani”.
Le signore di casa hanno un’altra abitudine,
infierire davanti allo specchio:
“Questo profilo appesta!
E questa ruga!
Oggi nessuno è venuto a vedermi!”
Sordomuta apre la grande finestra e tremano azzurri
gli astri lontani.
Lì stanno i disegni sui muri vicini,
tra vivi e muori, grandi lettere di stampa:
“Che piccolo è il mondo!
Lei cammina o galleggia?”
È già tardi.
Ogni finestra è chiusa.
E tutte le forme che si muovono nei dintorni:
muggito,
sibilo,
pianto,
non fanno che chiederle un bacio.
Jorge Boccanera, da “Sordomuta” – Traduzione di Verónica Becerril e Alessio Brandolini
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La bella addormentata
“Prima di essere offerta in sacrificio
verrai bardata come un cavallo
farcita di perle
come una conchiglia assente
Nastri tra le trecce,
trine a stringerti il respiro bianco
Sangue di topo sulla tua bocca
che – te l’avranno detto –
sta meglio chiusa
e polvere di cielo frantumato
sui tuoi occhi
che non hanno ancora
visto il mondo
Costringeranno i tuoi piedi
in piccoli gioielli di cristallo
nemici della corsa e del salto
Ballerai il tuo primo ballo
l’ultimo
Ti incoroneranno
vittima sacrificale,
Non prima di averti eletta
principessa per un giorno.
Non prima di aver profumato le tue
carni
e tinto le tue mani e le tue orbite
Non prima di averti resa fragile
Come una torta di panna a quattro
piani
Non prima di averti sussurrato
all’orecchio
tutte le bugie della terra
in tutte le lingue del mondo
Ti mostreranno la vastità
e l’ebbrezza
per mangiarti meglio
Per meglio soffocarti
nella sontuosità spregevole della
gabbia
Sanguinerai
pungendoti forse ad un
vecchio fuso arrugginito
-la maledizione della tua culla:
è femmina.
Per cento anni dormirai
col Valdorm sul comodino
Sulla torre più alta.
Per cadere meglio.
Uno sconosciuto ti prenderà nel sonno
un pezzo d’anima che non ti avevano
detto
E ti risveglieranno i vagiti e i morsi
dei figli affamati
quelli che non ti è dato scegliere se
mettere al mondo o
lasciare nella terra opaca del possibile
Ti sveglierai in tempo
per tessere trine per la tua secondogenita:
una femmina.
Con gli occhi grandi e la parola
sempre sulla punta della lingua
Le insegnerai a tacere
e a brillare
come una stella morta
secoli prima
Con le tue ceneri
verrà riscaldata la tua casa
verranno cotti
la fame e il freddo
Prima di essere offerta in sacrificio
si taglierà i capelli
e si romperà il naso
Affilerà ogni imperfezione
Per farne un’arma
Non sufficientemente graziosa per il
tritacarne,
scamperà al destino
Vivrà i dirupi
Saprà di salsedine
e benzina
Non cercatela,
non azzardatevi a salvarla
L’unica cosa che possiede
è se stessa
E un coltello.”
Nadezda Nim, da “Avrai sorelle frammenti di sorellanza, memoria e libertà.”
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Dina Goldstein, dalla serie “Fallen Princesses”
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Nell’immagine in evidenza: Foto di Adam Bird

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