Affabulazioni

Un uomo

22.01.2022
“Qualcosa scivolò nella mia borsa che divenne molto pesante.
”Alekos, che cosa ci hai messo dentro?”
”Ferma, non guardare, non toccare. Due frammenti della scalinata.”
”Due frammenti della scalinata?!? Non volevi che rubassi un sasso e hai preso due frammenti della scalinata?!?”
Risatina compiaciuta: ”Ah, cosa non farei per te! Ladro mi rendi, ladro!” (…)
”Bene. Vediamo cosa hai rubato.”
Tirai la lampo della borsa, con ansia gioiosa, e subito il mio sorriso si spense. Dentro non c’erano frammenti di marmo, ma due scatolette di latta color verde mela. ”Alekos, che roba è?” ”Tabacco. C’è anche scritto: Golden Virginia, hand rolling tobacco.” (…)
Sollevai un coperchio, la carta stagnola, e subito ogni dubbio svanì. Conoscevo bene quella pietra ruvida, gialla. Potevo illustrartene tutte le caratteristiche e le proprietà. Ciò che avevi messo nella mia borsa come un giocattolo o un dono era il tritolo. Due belle saponette di tritolo.
”Cosa vuoi farne Alekos?” Mi rispondesti con una domanda: ”Dimmi, l’amore cos’è?”. ”Forse è portare in borsa due saponette di tritolo.”
”Brava. Portarle o affidarle. Te le ho affidate di proposito, per dimostrarti che l’amore è amicizia, è complicità. L’amore è una compagna con la quale si divide il letto perché si divide un sogno, un impegno. Io non voglio una donna con cui essere felice. Il mondo è pieno di donne con cui si può essere felici, se è la felicità che si cerca. Infatti ho avuto tante donne che a pensarci bene cinque anni di prigione sono stati un riposo. Però non ho mai avuto una compagna. E voglio una compagna. Una compagna che mi sia compagno, amico, complice, fratello. Sono un uomo in lotta. Lo sarò sempre. Lo sarei ovunque e comunque. Anche in paradiso. Non so concepire un modo diverso per vivere e per morire. (…) Il tritolo non c’entra. Il tritolo è un momento nell’esistenza di un uomo in lotta. Del resto non mi piace il tritolo. Non mi piace la violenza, qualsiasi forma di violenza: non sarei mai capace, io, di far saltare un autobus di bambini come fanno alcuni in nome della patria o di qualche altra fottuta ideologia. (…)” ”Cosa vuoi farne, Alekos?”
”Cosa? Ascoltami, cinquecento grammi di tritolo sono una miseria. Però si possono fare moltissime cose con cinquecento grammi di tritolo. Basta un detonatore, una miccia, un po’ di fantasia. E una compagna che ci aiuta. Ho bisogno di te. Mi servi.”
”Per andare a spasso e raccattare scatole di Golden Virginia senza dare nell’occhio?”
”No, per molto di più. Per non essere solo. Se mi aiuti, ti dico cosa voglio farne.”
Quella voce. Quegli occhi. C’era un demone in quella voce, in quegli occhi: una passione lucida, fredda, incontrollabile, da ossesso che in nome della sua fede può commettere qualsiasi assurdità, rovinare la propria vita e quella degli altri. (…)
”Mi aiuterai?” ”Certo.” ”Bene. Hai presente l’Acropoli…?”
Il piano dell’Acropoli era una gloriosa follia. Consisteva nell’occupare il recinto archeologico all’ora in cui viene chiuso al pubblico, poi nell’innalzare la bandiera rossa sul Partenone, non perché ti piacesse il conformismo della bandiera rossa, ma perché il rosso dava fastidio alla Giunta e spiccava bene sul bianco dei marmi, infine nel tenere il Partenone in ostaggio con la minaccia di farlo saltare in aria.
”Alekos, due saponette di tritolo non bastererebbero neanche a far saltare in aria una colonna!” ”Naturalmente. Ma loro non lo sanno che abbiamo due saponette e basta. E appena ne avrò fatta esplodere una a scopo dimostrativo…”
”Non ti crederanno.” ”Mi crederanno. Perché mi credono capace di tutto, anche di distruggere il Partenone.”
”Lo distruggeresti davvero?”
”Neanche morto.”

*****

“Non si fa il proprio dovere perché qualcuno ci dica grazie, lo si fa per principio, per se stessi, per la propria dignità. L’abitudine è la più infame delle malattie perché ci fa accettare qualsiasi disgrazia, qualsiasi dolore, qualsiasi morte. Per abitudine si vive accanto a persone odiose, si impara a portare le catene, a subire ingiustizie, a soffrire, ci si rassegna al dolore, alla solitudine, a tutto. L’abitudine è il più spietato dei veleni perché entra in noi lentamente, silenziosamente, cresce a poco a poco nutrendosi della nostra inconsapevolezza, e quando scopriamo d’averla addosso ogni fibra di noi s’è adeguata, ogni gesto s’è condizionato, non esiste più medicina che possa guarirci.
L’amara scoperta che Dio non esiste ha ucciso la parola destino. Ma negare il destino è arroganza, affermare che noi siamo gli unici artefici della nostra esistenza è follia: se neghi il destino, la vita diventa una serie di occasioni perdute, un rimpianto di ciò che non è stato e avrebbe potuto essere, un rimorso di ciò che non si è fatto e avremmo potuto fare, e si spreca il presente rendendolo un’altra occasione perduta.
Però è bella la vita, è bella anche quando è brutta. Nella vita c’è il sole, c’è il vento, c’è il verde, c’è l’azzurro, c’è il piacere di un cibo, di una bevanda, di un bacio, c’è la gioia che riscatta le lacrime, c’è il bene che riscatta il male, c’è il tutto e io ti amo.”
“Non si fa il proprio dovere perché qualcuno ci dica grazie, lo si fa per principio, per se stessi, per la propria dignità. L’abitudine è la più infame delle malattie perché ci fa accettare qualsiasi disgrazia, qualsiasi dolore, qualsiasi morte. Per abitudine si vive accanto a persone odiose, si impara a portare le catene, a subire ingiustizie, a soffrire, ci si rassegna al dolore, alla solitudine, a tutto. L’abitudine è il più spietato dei veleni perché entra in noi lentamente, silenziosamente, cresce a poco a poco nutrendosi della nostra inconsapevolezza, e quando scopriamo d’averla addosso ogni fibra di noi s’è adeguata, ogni gesto s’è condizionato, non esiste più medicina che possa guarirci.
L’amara scoperta che Dio non esiste ha ucciso la parola destino. Ma negare il destino è arroganza, affermare che noi siamo gli unici artefici della nostra esistenza è follia: se neghi il destino, la vita diventa una serie di occasioni perdute, un rimpianto di ciò che non è stato e avrebbe potuto essere, un rimorso di ciò che non si è fatto e avremmo potuto fare, e si spreca il presente rendendolo un’altra occasione perduta.
Però è bella la vita, è bella anche quando è brutta. Nella vita c’è il sole, c’è il vento, c’è il verde, c’è l’azzurro, c’è il piacere di un cibo, di una bevanda, di un bacio, c’è la gioia che riscatta le lacrime, c’è il bene che riscatta il male, c’è il tutto e io ti amo.”
Oriana Fallaci, da “Un uomo”, 1979

*****

Nella foto: Oriana Fallaci e Alekos Panagulis

Lascia un commento