Affabulazioni

Un racconto di Sylvia Plath

23.01.2022
“Il treno stava sfrecciando nel tunnel, nero, quando iniziò, sul sedile di fronte, il battibecco. I ragazzini erano lì, la madre leggeva una rivista, stavano giocando con dei soldatini di stagno.
“Dammelo”, disse il bambino più grande, con gli occhi neri, al fratello. “Quello è mio, hai preso il mio soldato”.
“No”, disse il bambino pallido, dalla testa tonda, l’altro. “Non l’ho preso”.
“Ti ho visto”. Il bimbo più grande afferrò un soldatino e colpì il fratello sulla fronte. “Ti farà bene!”.
Il sangue sgorga dal livido violaceo. Il bimbo comincia a piagnucolare, “Ti odio”, fa. “Ti odio”.
La madre continuava a leggere la sua rivista.
“Qui, qui, ora basta”, disse la donna, era accanto a Mary, sporgendosi in avanti dal sedile. Allungò una mano per tamponare con delicatezza la ferita sulla fronte del figlio, con l’orlo del fazzoletto di lino bianco. “Dovreste vergognarvi, tutto questo chiasso senza motivo, per degli stupidi soldatini di latta”.
I bambini restavano imbronciati, mentre il silenzio tornò a dominare.
La donna si appoggiò allo schienale. “Non so quale sia il problema dei bambini in questi giorni. Peggiorano sempre”. La luce cominciò ad aumentare.
“Guardi”, disse Mary. “Stiamo uscendo dal tunnel”.
Il treno correva dentro un pomeriggio grigio, campi desolati si estendevano sui lati dei binari. Dal cielo pendeva un disco piatto e arancione, il sole.
“L’aria è così densa”, esclamò Mary. “Non ho mai visto un sole dal colore così strano”.
“Sono gli incendi nelle foreste”, disse la donna.
Una baracca di legno comparve e si spense, in lontananza.
“Perché quella casa è così distante da tutto?”.
“Non è una casa. Era la prima stazione sulla linea, ma ora non la usano più, è chiusa”.
Cullata dal ritmo d’orologio delle ruote del treno, Mary guardò fuori dalla finestra. Dal campo di grano uno spaventapasseri attirò la sua attenzione; sopra assi sospese bucce di mais erano stese a marcire. Il cappotto scuro e irregolare ondeggiava al vento, vuoto, senza sostanza. Sotto quella figura ridicola i corvi si muovevano, avanti e indietro, beccando grani sulla terra arida.”

Sylvia Plath, da “Mary Ventura and the Ninth Kingdom”

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