Pensieri

Navigare è necessario, vivere non è necessario

26.01.2022

“Appartengo a una generazione che ha ereditato l’incredulità verso il cristianesimo e che ha alimentato in sé incredulità verso ogni fede. I nostri padri possedevano ancora l’impulso a credere, che trasferivano dal cristianesimo ad altre forme di illusione. Alcuni erano fanatici dell’uguaglianza sociale, altri erano appassionati solo della bellezza, altri nutrivano fede nella scienza e nei suoi progressi, e altri ancora, più profondamente cristiani, andavano alla ricerca, da Oriente a Occidente, di altre forme religiose con cui intrattenere la coscienza, altrimenti vuota, del mero vivere.
Noi abbiamo perduto tutto questo, siamo nati orfani di tutte queste forme di consolazione. Ogni civiltà segue la linea intima di una religione che la rappresenta: passare ad altre religioni equivale a perderla, e alla fine a perdere anche tutte le altre.
Noi l’abbiamo persa, e anche tutte le altre.
Ciascuno di noi, perciò, è rimasto abbandonato a se stesso, nella desolante sensazione di sentirsi vivere. Una nave sembra un oggetto il cui fine è navigare; ma il suo fine non è navigare, bensì arrivare in porto. Noi ci siamo ritrovati a navigare senza l’idea del porto a cui avremmo dovuto attraccare. Abbiamo ripetuto in questo modo, nella nostra dolorosa specie, la formula avventurosa degli argonauti: navigare è necessario, vivere non è necessario.
Privi di illusioni, siamo vissuti soltanto del sogno, che è l’illusione di chi non può farsi illusioni. Vivendo di noi stessi, ci siamo diminuiti, perché l’uomo completo è colui che ignora se stesso. Privi di fede, non abbiamo speranza e senza speranza non abbiamo propriamente vita. Non avendo un’idea di futuro, non abbiamo neppure l’idea dell’oggi, perché l’oggi, per l’uomo d’azione, non è altro che un prologo del futuro. L’energia di lottare è nata morta con noi, perché siamo nati privi di entusiasmo per la lotta.
Alcuni di noi si sono impantanati nella ebete conquista della vita di ogni giorno, cercando vilmente e volgarmente il pane quotidiano e volendolo ottenere senza il lavoro intenso, senza la coscienza della fatica, senza la nobiltà della realizzazione.
Altri di noi, di razza migliore, si sono astenuti dalla cosa pubblica, senza volere niente e senza desiderare niente, ma cercando di portare dritta al calvario dell’oblio la croce della mera esistenza. Sforzo impossibile per chi non ha, come chi portò la Croce, una coscienza di origine divina.
Altri ancora si sono dedicati, indaffarati all’esterno dell’anima, al culto della confusione e del rumore, credendo di vivere quando udivano se stessi, credendo di amare quando sbattevano contro l’esteriorità dell’amore. Vivere ci doleva, perché sapevamo di essere vivi; morire non ci terrorizzava, perché avevamo perduto la normale nozione della morte.
Ma altri, della Razza della Fine, limite spirituale dell’Ora Morta, non hanno avuto neppure il coraggio di negare e di rifugiarsi in se stessi. Hanno vissuto tutto con negazione, scontentezza e sconforto. Ma lo abbiamo vissuto dentro di noi, senza alcun gesto, barricati sempre, per lo meno riguardo alla vita, tra le quattro pareti della stanza e i quattro muri del non saper agire.”

Fernando Pessoa, da “Il libro dell’inquietudine”, 1982

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