Affabulazioni

Elena e i fiori di sale

02.02.2022

Scendeva ogni giorno, di ogni settimana, di ogni mese dell’anno, a piccoli passi leggeri, senza rumore. Raggiungeva la salina, sempre la seconda, salutando con un cenno di capo e un sorriso chiunque incontrava e prendeva a cantare sottovoce arie di lirica.
D’inverno, il vento del mare sferzava gli ulivi intrecciandone i rami, fino a piegarli tanto da dare loro l’aspetto di strane creature. Tra i secolari alberi grigi avvinghiati alla terra brulla, forti nel loro esistere nonostante tutto, lei, avvolta nei suoi scialli e con i mezzi guanti, diventava una macchia scura in lento movimento come in un quadro di Monet.
Quando scendeva il  secchio di legno seguiva il movimento aggraziato del braccio, ma al ritorno batteva il tocco del passo sulla gamba. Elena mormorando arie famose, ogni giorno, apriva il cancello di legno della seconda salina, guardava le bianche colline di sale coperte di tegole d’argilla e sceglieva con cura il mucchio dal quale avrebbe preso il suo sale. Non riempiva mai il secchio: “Poco più della metà” – diceva ad alta voce come a ricordare un patto e richiudendo il cancello di legno prendeva la via del ritorno.
C’erano le piccole case dei pescatori dietro al molo vecchio, fatte di pietre levigate dalla fatica e rese silenziose dalla pazienza dell’attesa. Ormai nessuno abitava quell’angolo senza parole. Elena viveva lì, la seconda casa, quella che aveva la porta di fronte agli scogli dove ogni sera il sole finiva il suo viaggio.
Elena intrecciava fiori di sale. Prendeva i grani di sale bianco e lucido e un pugno alla volta li metteva nel mortaio di pietra poi lo pestava con movimenti lenti. Non aveva bisogno di guardare i granelli sminuzzati, sapeva già quando era pronto perché d’un tratto smetteva di pestare. Si alzava e  metteva in un piatto di argilla quei cristalli bianchi, preparava la ciotola con l’acqua e la ciotola con l’albume montato a neve, soffice e bianco come una nuvola estiva. Gli steli senza spighe già asciugati dal sole erano a gruppetti di tre legati dal filo che i marinai lasciavano lungo il molo. Seduta sulla seggiola di paglia, batteva con la punta del piede il tempo dell’aria che via via le veniva voglia di cantare e guardava dalla porta aperta il mare che benevolo la ascoltava senza mai tradirla, senza mai mancare all’appuntamento.
Piegava la testa di lato e sorrideva al suo pubblico a volte schiumoso a volte languido e calmo. Mentre lo sguardo seducente si posava sullo scoglio, il primo a destra, le mani lavoravano quei petali che profumavano di mare. Prendeva forma quel fiore tra le sue mani come se le note di Puccini fossero diventate bianchi, minuscoli granelli di sale, come se fossero state sempre granelli di sale e lei li avesse solo raccolti.
Sorrideva Elena e poi abbassava lo sguardo quasi intimidita dal fedele scoglio che con immutato e devoto amore la ascoltava sempre. E intrecciavano le sue mani quei fiori agli steli e lo sguardo di donna felice si perdeva tra la folla che arrivava a lambire la banchina vuota.
I turisti compravano i fiori di sale di Elena e lei non parlava mai, porgeva loro i mazzetti di fiori e piegando leggermente la testa come un gentile inchino ringraziava con un sorriso. Stranamente  nessuno insisteva per farla parlare, andava così.
Gli occhi di Elena color cielo sbiadito splendevano d’amore, di un amore dolce mai consumato, di quell’amore che è attesa e desiderio, ed era come se le chiedessero qualcosa oltre il sorriso, come se si avesse paura di interrompere quella luce.
Quel giorno di fine estate il sole aveva gettato le sue pietre preziose in quell’angolo di mare che brillava di una luce accecante. Elena con il suo cestino di fiori di sale andava verso il porto nuovo, c’era già tanta gente e lei guardò orgogliosa i suoi fiori. Anche questo sarebbe stato un giorno sereno, pensò guardando i bambini che giocavano.
La strada verso il porto nuovo era piena di negozi colorati, Elena amava le vetrine piene di cose, i manichini vestiti con abiti meravigliosi, e i profumi. Elena più di ogni altra cosa amava sentire i profumi delle persone.
Quel profumo sicuramente era uno dei migliori che aveva sentito negli ultimi tempi, la signora elegante, giovane, lo portava quasi senza rendersene conto. Elena avrebbe voluto fermarla per sentire ancora quella fragranza, ma la signora era già andata via tra la folla.
Sorrise, quel profumo l’aveva messa di buonumore. Inspirava lentamente l’aria come a cercare di imprimerlo bene nella mente.
Era quasi arrivata al suo solito posto, la panchina di pietra a ridosso della tonnara. Era un angolo riparato dal vento e quando stava seduta lì poteva osservare la piazzetta e le barche che entravano e uscivano dal porticciolo.
Prima ancora di vedere la giovane donna, sentì quello che ormai era il suo profumo preferito, sorrise socchiudendo gli occhi.
Non capì cosa successe. Fu un attimo o forse meno di un attimo.
Quanto è lungo un attimo? Il tempo di un respiro?
Cosa può succedere in un attimo, in un tempo così breve?
Elena sentì qualcosa che la spingeva con forza, ma non capì subito cosa. Stordita dalla preoccupazione  per il suo cesto di fiori che era volato via e per quel profumo che ora sentiva forte e intenso, non si rese conto subito. Poi capì, vide le sequenze come fotografie una dietro l’altra.
Il signore con la bicicletta le era venuto quasi addosso. Con il braccio aveva urtato il suo cesto che era caduto più avanti. Lei aveva perso l’equilibrio e sarebbe caduta se la giovane donna non fosse stata così vicina e pronta a sorreggerla, la donna che aveva il suo profumo preferito.
Il signore si era fermato e assicuratosi che stava bene era andato a prendere il suo cestino con i fiori ormai spezzati. I petali schiacciati erano piccole macchie bianche sulle pietre della piazzetta. Continuava a chiedere scusa ma lei non lo sentiva più, guardava la donna. Poi prese il cestino con quello che restava dei fiori e andò a casa. Non vide le vetrine, non sentì altri profumi.
Arrivò a casa come se avesse attraversato un deserto. Posò il cestino sul tavolo e guardò dalla porta aperta il mare.
Rivide la donna giovane ed elegante. Sentì la voce della donna spiegare a un uomo, che “quella povera vecchia non aveva visto la bicicletta”. E rivide quello sguardo di pietà. La rivide ancora guardarsi la mano che l’aveva sorretta e poi pulirsi la mano.
Rivide quella scena ancora, e ancora, e ancora. Guardò il mare e vide il mare.
Non fece fatica a guardare il suo scoglio, corroso dalla pietà del mare e del vento. Non sarebbe stato più come prima.
Le sue mani tremavano un po’, mentre si metteva l’abito più bello che aveva. Raccolse i suoi capelli bianchi e stopposi in una crocchia male fatta. Si mise la collana di grosse perle finte. Nel cesto grande c’era un gran mazzo di fiori di sale, li prese tutti. Era l’ultima replica.
Uscì, ma rimase davanti alla porta, scalza, tenendo il mazzo di fiori con entrambe le mani, come fossero rose rosse dal lungo stelo.
Guardò il mare, il suo pubblico, ne riconobbe perfino alcuni, quelli più assidui. Poi guardò l’uomo che aveva amato con tutta se stessa, fermo, immobile sempre in prima fila, con il suo sguardo innamorato. L’uomo che l’aveva sostenuta sempre, che l’aveva fatta sentire importante regalandole tutti quei fiori. Già i fiori che adesso teneva in mano erano quelli che lui le mandava ogni sera.
Li annusò profumavano di mare perché non erano rose. Il pubblico svanì e i suoi occhi non videro neanche il suo uomo. Aveva gocce di mare negli occhi, gocce salate, pungenti. Strinse i fiori al petto sperando ancora di sentirne il profumo.
Non si era accorta di avere il cuore così lacerato, lo capì quando i fiori di sale toccarono il suo cuore. Il dolore del sale sul cuore ferito fu insopportabile.

“Hanno trovato la vecchia pazza morta davanti a casa sua.”
“Cantava sempre e faceva i suoi fiori di sale.”
“Era vestita elegante, aveva pure una collana di plastica, chissà chi si credeva di essere?”
“Poverina, non faceva male a nessuno, viveva in un mondo suo.”

 Maria Carmela Micciché – mc-micciche.com

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Foto di Sonia Simbolo

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