Pensieri

Le ferite, aperture luminose

10.02.2022

“In una sua poesia Rumi, grande poeta turco nato in Tagikistan attorno al 1200, dice:

“La ferita è il punto da cui entra in te la luce.”

Ecco, quando anziché maledire le ferite, anziché ignorarle e tirare avanti, anziché farcela, ci fermiamo e le ascoltiamo, le sentiamo, le leggiamo e le lasciamo parlare, ci facciamo scolari delle ferite, allora, anche se dolorosamente e con tempi lunghi, tempi vegetali e musicali, le ferite si trasformano in brecce. Da lì entra la luce della conoscenza. Per anni, ho vacillato sotto il peso di un’infanzia imperdonabile, non aveva nome il mio male, che potevo dire? “Sono una reduce dell’infanzia”? Avrebbero riso tutti, o peggio deriso. Ma è così e quando ho accolto il male e mi sono lasciata orientare dal male, l’ho sentito legittimo e vero, ho smesso di ignorarlo o di vivere ‘nonostante’ e invece ho vissuto ‘con’ il male, allora ho iniziato un cammino di scolarizzazione e alfabetizzazione. Mi sono lasciata insegnare una nuova grammatica, un lessico dalle ferite. E sai cosa è successo man mano che ho avuto rispetto delle mie? Ho incontrato quelle degli altri. Non si può saltare alcun passaggio, non si può accogliere le ferite degli altri se non si sono accolte le proprie. Ma non si può nemmeno aspettare di essere guariti, non succederà mai. Noi siamo le nostre ferite e in quelle ferite passa la luce della conoscenza. E la conoscenza è gioia, sempre. Come quando diciamo: “Piacere di conoscerti.” Sì, piacere di conoscere se stessi e di portarsi nuovi, vibranti, parlanti nel mondo. La parola è un rischio grande, ci mette allo scoperto e ne abbiamo così bisogno. Incontro bambini pugili, bambini sopravvissuti, che lottano per restare vivi, da quando ho ammesso di esserlo io, ho smesso le maschere graziose, accondiscendenti e sono uscita dal gioco del mondo per entrare in quello della vita: ci si ammala, si invecchia, si muore. E questi tre messaggeri, malattia, vecchiaia e morte, sono tre visitatori angelici. Se li riconosco, non li nego, e insieme non mi faccio abbattere dalla visione collettiva della negazione e della fuga da tutto quello che ferisce, allora dalle nostre ferite entra la luce, anzi sono il modo stesso perché la luce entri. Essere vivi non è una cosa data una volta per tutte nascendo, bisogna rinascere continuamente. Non posso dividere la durezza della vita dalla sua magnificenza. Sono un unico mistero. E mi inchino.

Adrienne Rich, poeta americana, dice: “Il momento del cambiamento è l’unica poesia.

E quale momento non è di cambiamento se siamo svegli? Ora e ora e ora. Proprio questo ora, mentre scrivo, mentre leggi. “Respira, sei vivo!” come dice Thich Nhat Hanh.

Chandra Livia Candiani, in “Per qualcuno le cose inutili sono indispensabili”, di Olivier Turquet

 

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