Magazzino Memoria

Quando Fiume era una città aperta…

10.02.2022
“Disinteresse e tanta ignoranza. Alcuni dei mali di oggi, per me, sono questi. E l’antidoto è uno solo: la memoria, da conservare e promuovere. Perché quando si nascondono la storia e i fatti, con la scusa delle ideologie che oltretutto ci hanno rovinato, siamo messi male. L’unica cosa che ci salva, in certi casi è il ricordo, da tramandare di padre in figlio. Sempre”.
“Fiume è la città della memoria. Per noi fiumani è così. È il ricordo. Era bellissima Fiume – spiega – una città cosmopolita. Si viveva bene, ungheresi, italiani, croati. Per me non c’erano difficoltà. Poi è venuta la guerra, il disastro e il nostro esodo. Avevo 13 anni quando sono andato via, facevo la vita di tutti gli studenti. Studiavo, nuotavo, andavo in barca, in montagna. Facevo lunghe camminate, anche di 12 ore. La Fiume di prima del ’43 era allegra, c’era tanta gente spiritosa, cantavano. Era una città aperta, perché sul mare. Si parlava ungherese, tedesco, croato e italiano ovviamente. Parlavamo anche il nostro dialetto, c’era un bel mix di culture. Gli italiani erano la maggioranza ma non c’erano problemi di convivenza con gli altri. Soprattutto con gli ungheresi. L’Ungheria mandava la gente a Fiume, al mare. Loro sono molto legati alla città.
Poi le persecuzioni razziali, l’occupazione Jugoslava, i sovietici, e l’esodo…con tutto quel che ne è derivato. Ma non hanno pagato solo gli italiani, non solo noi. E ho perso anche amici ebrei nei campi di concentramento, ad Auschwitz per esempio. Nelle Foibe per fortuna no.
Ho fatto un anno di campo di concentramento a Novara: uno squallore indicibile. Non avevamo da coprirci, faceva freddo e il telo, la copertaccia era di cotone. Non parliamo del mangiare, un anno solo a lenticchie e riso. In quel campo ci sono stato con mio fratello, poi mi sono ricongiunto con mia madre e il resto della mia famiglia nei pressi Genova. E dopo ci siamo stabiliti in città. (…)
A Novara, le mamme, quando passavo per strada mentre andavo a scuola, dicevano ai figli: se non stai bravo ti faccio mangiare dal profugo e dai, su…ma che livello era quello…”
“Abbiamo combattuto molto per fare in modo che si parli della nostra storia. Non voglio certo che Fiume torni all’Italia, sarebbe un’utopia, ma che almeno si riconosca quello che è stato. Uno storiografo su una nota rivista ha scritto che il nome Fiume lo ha inventato Mussolini. Macché, ci sono documenti degli ungheresi, di tantissimi anni prima che dicono che la città si chiamava così perché c’era un fiume che segnava il confine”.
“Faccio il testimone in molti istituti scolastici, Quando posso. In genere mi ascoltano anche perché parlo poco per non stancare i ragazzi e non distogliere la loro attenzione. Però devo dire che vedo ancora tanto disinteresse. Oggi ci rimane il valore del ricordo, per me, di Fiume. Fiume è la mia città della memoria e il mio compito, così come quello delle generazioni future è quello di tutelarla e fare in modo che non finisca tutto con noi anziani. Noi che stiamo scomparendo, cerchiamo di spingere gli altri a ricordare, anche con la comunità degli italiani a Fiume. Su questo però devono impegnarsi le giovani generazioni anche in tutta Italia. In Istria ci sono comunità italiane che si danno tanto da fare, speriamo che questo aiuti a mantenere le nostre tradizioni. Io ogni tanto torno a Fiume, ci sono stato anche a dicembre per presentare il mio libro. Ci sono giovani, nelle scuole italiane che non sanno nemmeno dove si trova la città dove sono nato, e se penso che si vogliono ridurre le ore di studio della geografia a scuola, figurarsi se si può pensare ad incrementare quelle dello sport al quale ho dedicato la vita! Tutto questo mi preoccupa. Perché mi allarma l’ignoranza capillare. Le persone non vogliono sapere, non sono interessate. Leggetevi ‘Prigionieri del silenzio’, cercate di essere curiosi. Occorre invitare gli insegnanti a documentarsi. Io ho studiato storia e non si parlava della vicenda Giuliano-Dalmata.
Se sono pessimista, alla mia età? No, sono realista: quando la storia è nascosta nei testi a disposizione delle scuole, vuol dire che siamo messi male.
Ecco perché mi preoccupo che l’impegno del ricordo, soprattutto fra le giovani generazioni, venga mantenuto”.

Maria Letizia D’agata, da “Abdon Pamich: “Vi racconto come si viveva nella mia Fiume, città aperta”, agi.it

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