Pensieri

Leggere Lolita a Teheran

03.03.2022
“Dobbiamo ringraziare la Repubblica islamica di averci fatto riscoprire, anzi di aver trasformato in oggetti del desiderio più spasmodico tutte quelle cose che prima davamo per scontate: si potrebbe scrivere un saggio sul piacere proibito di affondare i denti in un toast”. Oh, ma in realtà dovremmo ringraziarla per un sacco di cose! Quell’episodio ha segnato l’inizio dei nostri lunghi e dettagliatissimi elenchi di debiti con la Repubblica islamica: andare a una festa, mangiare un gelato o ridere in pubblico, innamorarsi, tenersi per mano, mettere il rossetto, leggere Lolita a Teheran.”
“Rammento che un giorno, mentre correggevo i compiti di metà semestre, mi resi conto che la maggior parte delle ragazze, invece di rispondere alle domande, si era limitata a ripetere quello che avevo detto a lezione. Fu quasi uno choc: sembrava che avessero trascritto parola per parola il mio discorso…
… Mi ripresentai a scuola furibonda. … Ricordo che esordii dicendo che alle ragazze che sarebbe stato meglio se avessero copiato – almeno, copiare richiedeva una certa inventiva…
Mi ascoltarono tutte in silenzio, ma qualcuna rimase in aula a difendersi. Che cosa potevano fare? Le avevano abituate così. Fin dal primo giorno di scuola erano state educate a imparare tutto a memoria, perché le loro opinioni non contavano niente.”
“Adesso che non potevo più pensare a me come a un’insegnante, una scrittrice, che non potevo più indossare quello che volevo, né camminare per strada al mio passo, gridare se mi andava di farlo o dare una pacca sulla spalla a un collega maschio, adesso che tutto ciò era diventato illegale, mi sentivo evanescente, artificiale, un personaggio immaginario scaturito dalla matita di un disegnatore che una gomma qualsiasi sarebbe bastata a cancellare.“
“Continuavo a domandarmi: quando l’abbiamo perduta, questa capacità di dare estro e luce alla vita con la poesia? In quale preciso momento è andata smarrita? Ciò che avevamo adesso, quella retorica melensa, quelle iperboli putride e ingannevoli, era come un’ acqua di colonia da quattro soldi.”
“Un romanzo non è un’allegoria, è l’esperienza sensoriale di un altro mondo. Se non entrate in quel mondo, se non trattenete il respiro insieme ai personaggi, se non vi lasciate coinvolgere nel loro destino, non arriverete mai ad identificarvi con loro, non arriverete mai al cuore del libro. È cosi che si legge un romanzo: come se fosse qualcosa da inalare, da tenere nei polmoni. Dunque, cominciate a respirare.“
“Ripensando a quei momenti, mi accorgo che una tale passione per Tarkovskij da parte di un pubblico che perlopiù non sapeva neanche scriverne il nome, e che in condizioni normali lo avrebbe nel migliore dei casi ignorato, nasceva più che altro da una profonda privazione sensoriale.
Eravamo assetati di bellezza, in qualunque forma, anche quella di un film incomprensibile, ultraintellettuale e astratto, senza sottotitoli e sfigurato dalla censura. Era già meraviglioso anche solo ritrovarsi in pubblico, per la prima volta da anni, senza paura né rabbia, in mezzo a una folla di estranei che non fosse lì per una manifestazione, un raduno di protesta, una coda per il pane o una pubblica esecuzione.
Il film parla della guerra, e del voto che il protagonista fa di sacrificare tutti i suoi averi pur di veder salvi i suoi cari. Parla della minaccia che si nasconde dietro l’apparente tranquillità della vita di ogni giorno e la prorompente bellezza della natura; e parla del modo in cui la guerra si fa sentire nel suono sordo dei mobili smossi dai bombardieri, e del terribile sacrificio che richiede. Tutto insieme toccammo per un attimo, grazie all’arte, un’angoscia estrema e una bellezza atroce.”
“La mia fantasia ricorrente è che alla Carta dei Diritti dell’Uomo venga aggiunta la voce: diritto all’immaginazione. Ormai mi sono convinta che la vera democrazia non può esistere senza la libertà di immaginazione e il diritto di usufruire liberamente delle opere di fantasia. Per vivere una vita vera, completa, bisogna avere la possibilità di dar forma ed espressione ai propri mondi privati, ai propri sogni, pensieri e desideri; bisogna che il tuo mondo privato possa sempre comunicare col mondo di tutti. Altrimenti, come facciamo a sapere che siamo esistiti? I fatti concreti di cui parliamo non esistono, se non vengono ricreati e ripetuti attraverso le emozioni, i pensieri e le sensazioni”
“Chi sa ballare alla persiana?” domando. Tutte si voltano a guardare Sanaz. Lei si schermisce, fa di no con la tessta. Cominciamo ad insistere, a incoraggiarla, formiamo un cerchio intorno a lei. Quando inizia a ballare, piuttosto a disagio, battiamo le mani e ci mettiamo a canticchiare. Nassrin ci chiede di fare più piano. Sanaz riprende, quasi vergognandosi, a piccoli passi, muovendo il bacino con grazia sensuale. Continuiamo a ridere e a scherzare, e lei si fa più ardita; muove la testa a destra e sinistra, e ogni parte del suo corpo vibra; balla anche con le dita e le mani. Sul suo volto compare un’espressione particolare, spavalda, ammicante, che attrae, cattura, e al tempo stesso sfugge e si nasconde. Appena smette di ballare, tuttavia, il suo potere svanisce. Esistono varie forme di seduzione, ma quella che emana dalle danze tradizionali persiane è unica, una miscela di impudenza e sottigliezza di cui non mi pare esistano eguali nel mondo occidentale. Ho visto donne di ogni estrazione sociale assumere lo stesso sguardo di Sanaz, sornione, seducente e l’ho ritrovato anni dopo sul viso di Leyly, una mia amica molto sofisticata che aveva studiato in Francia, vedendola ballare al ritmo di una musica piena di parole come naz e eshveh e kereshmeh, che potremmo tradurre con “malizia”, “provocazione”, “civetteria”, senza però riuscire a rendere l’idea. QUesto tipo di seduzione è al tempo stesso elusiva, vigorosa e tangibile. Il corpo si contorce, ruota su se stesso, si annoda e si snoda. Le mani si aprono e si chiudono, i fianchi sembrano avvitarsi e poi sciogliersi. Ed è tutto calcolato: ogni passo ha il suo effetto, e così il successivo. È un ballo che seduce in un modo che Daisy Miller non si sognava neanche. È sfacciato, ma tutt’altro che arrendevole. Ed è tutto nei gesti di Sanaz. La veste nera e il velo – che ne incorniciano il volto scavato, gli occhi grandi e il corpo snello e fragile – conferiscono uno strano fascino ai suoi movimenti. Con ogni mossa, Sanaz sembra liberarsene: la vesta diventa sempre più leggera, e aggiunge mistero all’enigma della danza.“

Azar Nafisi, da “Leggere Lolita a Teheran”, 2003

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Shirin Neshat, “Ribellious silence”, 1994

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