Linguaggi

In difesa dell’allegria

08.03.2022
“Ridere ci ha rese invincibili.
Non come coloro che vincono sempre,
ma come coloro che non si arrendono.”
Frida Kahlo

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Difesa dell’allegria

“Difendere l’allegria come una trincea
difenderla dallo scandalo e dalla routine
dalla miseria e dai miserabili
dalle assenze transitorie
e da quelle definitive
difendere l’allegria come un principio
difenderla dallo stupore e dagli incubi
dai neutrali e dai neutroni
dalle dolci infamie
e dalle gravi diagnosi
difendere l’allegria come una bandiera
difenderla dal fulmine e dalla malinconia
dagli ingenui e dalle canaglie
dalla retorica e dagli arresti cardiaci
dalle endemie e dalle accademie
difendere l’allegria come un destino
difenderla dal fuoco e dai pompieri
dai suicidi e dagli omicidi
dalle vacanze e dalla fatica
dall’obbligo di essere allegri
difendere l’allegria come una certezza
difenderla dall’ossido e dal sudiciume
dalla famosa patina del tempo
dall’insolenza e dall’opportunismo
dai prosseneti della risata
difendere l’allegria come un diritto
difenderla da Dio e dall’inverno
dalle maiuscole e dalla morte
dai cognomi e dalle pene
dal caso
e anche dall’allegria

Mario Benedetti, “Difesa dell’allegria”

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Noi

“Noi
abbiamo l’allegria delle nostre allegrie
e abbiamo pure
l’allegria dei nostri dolori.
Perché non ci interessa la vita indolore
che la civiltà del consumo
vende nei supermercati.
E siamo orgogliosi
del prezzo di tanto dolore
che per tanto amore abbiamo pagato.
Noi
abbiamo l’allegria dei nostri errori
dei ruzzoloni che provano la passione
dell’andare e l’amore verso il cammino.
Abbiamo l’allegria delle nostre sconfitte
perché la lotta
per la giustizia e la bellezza
vale la pena persino quando si perde.
E abbiamo sopra tutte le cose
l’allegria delle nostre speranze
mentre impazza la moda del disincanto
ora che il disincanto è diventato
un articolo di consumo massivo e universale.
Noi.”

Eduardo Galeano, “Noi”

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Christian Imbriani

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Una risata

“Una risata.
Forse un giorno
la sentirò prorompermi dalla gola:
giorno di gran sole,
risata sopra il mondo,
e poi
due braccia
che mi sollevino ansante
verso la prima stella della sera.”

Sibilla Aleramo, “Una risata”

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Ci sono giorni

“Ci sono giorni in cui crediamo
che tutto lo schifo del mondo ci cada
addosso. Poi
usciamo sul balcone e vediamo
i bambini correre cantando
lungo il molo.
Non conosco i loro nomi. Uno
o l’altro mi assomiglia.
Voglio dire: somiglia a quello che fui
quando divenni
luminosa presenza della grazia
o dell’allegria.
Allora si apre un sorriso
su un’estate lontana.
E dura, dura ancora.”

Eugénio De Andrade, “Ci sono giorni”, da “I luoghi del fuoco”

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La felicità

“Fin quando dai la caccia alla felicità,
non sei maturo per essere felice,
anche se quello che più ami è già tuo.

Fin quando ti lamenti del perduto
ed hai solo mete e nessuna quiete,
non conosci ancora cos’è pace.

Solo quando rinunci ad ogni desiderio
e non conosci né meta né brama
e non chiami per nome la felicità,
allora le onde dell’accadere non ti raggiungono più
e il tuo cuore e la tua anima hanno pace.”

Hermann Hesse, “La felicità”

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   Umberto Boccioni, “La risata”, 1911

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Il sorriso

“C’è un sorriso d’amore,
e c’è un sorriso della seduzione,
un sorriso c’è dei sorrisi
dove si incontrano quei due sorrisi.
C’è un aggrottamento dell’odio
e c’è un aggrottamento del disdegno,
ed un aggrottamento c’è degli aggrottamenti
di cui invano tentate di scordarvi,
Poiché a fondo nel profondo del cuore penetra,
e affonda nelle midolla delle ossa
e mai nessun sorriso fu sorriso,
ma solo quel sorriso solo,
sorriso che dalla culla alla fossa
sorridere si può una volta una sola;
quando è sorriso
ha fine ogni miseria.”
William Blake, “Il sorriso”, da “The Pickering Manuscript”, 1803
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   Jacob Duck, “Scena galante”, 1635-40
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E lasciatemi divertire
“Tri tri tri,
fru fru fru,
ihu ihu ihu,
uhi uhi uhi.
Il poeta si diverte,
pazzamente,
smisuratamente!
Non lo state a insolentire,
lasciatelo divertire
poveretto,
queste piccole corbellerie
sono il suo diletto.
Cucù rurù,
rurù cucù,
cuccuccurucù!
Cosa sono queste indecenze?
Queste strofe bisbetiche?
Licenze, licenze,
licenze poetiche.
Sono la mia passione.
Farafarafarafa,
tarataratarata,
paraparaparapa,
laralaralarala!
Sapete cosa sono?
Sono robe avanzate,
non sono grullerie,
sono la spazzatura
delle altre poesie.
Bubububu,
fufufufu,
Friu!
Friu!
Ma se d’un qualunque nesso
son prive,
perché le scrive
quel fesso?
Bilobilobilobilobilo
blum!
Filofilofilofilofilo
flum!
Bilolù. Filolù.
U.
Non è vero che non voglion dire,
vogliono dire qualcosa.
Voglion dire…
come quando uno si mette a cantare
senza saper le parole.
Una cosa molto volgare.
Ebbene, così mi piace di fare.
Aaaaa!
Eeeee!
Iiiii!
Ooooo!
Uuuuu!
A! E! I! O! U!
Ma giovinotto,
ditemi un poco una cosa,
non è la vostra una posa,
di voler con così poco
tenere alimentato
un sì gran foco?
Huisc… Huisc…
Huisciu… sciu sciu,
Sciukoku… Koku koku,
Sciu
ko
ku.
Ma come si deve fare a capire?
Avete delle belle pretese,
sembra ormai che scriviate in giapponese.
Abì, alì, alarì.
Riririri!
Ri.
Lasciate pure che si sbizzarrisca,
anzi è bene che non la finisca.
Il divertimento gli costerà caro:
gli daranno del somaro.
Labala
Falala
falala
appoi lala.
Lalala, lalala.”
Aldo Palazzeschi, “E lasciatemi divertire”
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   Elliott Erwitt, “France, Provence”, 1955

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Tutta questa gioia adamantina

“Tutta questa gioia adamantina
– ridondante, da diamante –
questo andare per strada
nuovo,
senza pensarti,
senza che sia solo tuo
l’amore che invece è mio,
senza che il tuo dito mi dica no,
gigante come il mondo,
questo procedere sbilenco e salvo,
come i superstiti bagnati,
con la testa alla fine più dritta,
alla fine svuotata,
così grata
alla sabbia grossa che graffia i piedi,
ai Cieli;
questo respirare senza tappo
e il continuo ringraziare
(che è un evviva)
mi arriva
forse da una stanza senza giochi,
con i lupi negli armadi,
dalle scale,
senza i tacchi
di mia madre,
dai tricicli così soli,
così fuori;
da un ammanco che non hai
capito tu,
che non mi hai
riempito tu;
non vuole più che io muoia,
tutta questa gioia adamantina
che ridonda,
che mi arriva,
come i treni,
pieni –
da lontano.
Salgo e parto,
senza salutare.”

Beatrice Zerbini, da “In comode rate”

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Quando cadono a terra
“Quando cadono a terra
i grandi fiori si aprono,
come se esplodessero
dei fuochi d’artificio.
Che bello,
che bello sarebbe,
se si versassero risate,
come si versano lacrime.”

Kaneko Misuzu (1903-1930), poetessa giapponese

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   Pieter Paul Rubens, “Garden of Love”, 1630–35

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Annuncio

“Cerco il mio sorriso.
L’ho fatto cadere qui, da qualche parte
in mezzo ai fatti e alle parole.
Se qualcuno lo trova,
lo appenda all’orecchio
come un orecchino!
E dica al boia:
non più spauracchi di pianto!
Chi genera paura, è preso dal panico.”

Blaga Dimitrova, “Annuncio”

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Ho pensato stamattina

“Ho pensato stamattina:
non ritorna più la magia della vita
non ritorna.
Ma ecco, il sole improvviso in casa mia
essenza viva per me
e il tavolo con il pane
è oro
e il fiore sul tavolo e le tazze
oro
e cosa ne è stato della tristezza?
C’è splendore anche nella tristezza.”

Zelda Mishkovsky Schneerson (poetessa israeliana), “Ho pensato stamattina”, da “Ecco il monte, e il fuoco”

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Foto di Esther Ruth Mbabazi

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I Love Home
“Per coloro che trovano le risate
Così di compagnia
Ridono come se stessero andando in pezzi
O si stessero lasciando andare
Le lacrime che bagnano le guance
E al giorno d’oggi tutto
Sul cellulare.
Per le risate che si alzano in volo
Echeggiando in ogni angolo
Per le risate sparse
sui cespugli in fiore
Per le risate che sfuggono da ogni anfratto
Levandosi per salutare il sole
Per le risate da cellulare a cellulare.
Per quelli che hanno preso lezioni di danza
Nell’utero della madre
Che scendono in pista
E si fanno adorare
Che si voltano di qua e creano magie
Si voltano di là
E mandano miliardi di angeli
A implorarli di non fermarsi mai
Per quelli che fischiettano canzoni
E ti spingono a cantarle con loro
Tuo malgrado.
Per quelli che piangono il lutto
Richiamando mille nomi
Ricordando nome su nome
Ripercorrendo la storia di ogni vita
A loro cara
Ogni volto dell’amore.
Per quelli che sentono il loro dolore
Dentro e fuori
Che strisciano e graffiano la terra
Come se questa potesse rispondere alle loro domande
Per quelli che ogni giorno guardano al cielo
E implorano Dio
Continuando ad amare
A sperare
A vivere come se la vita fosse per sempre.
Per quelli che non si lasciano mai andare
Né lasciano le persone che colorano la loro vita
Per quelli che fanno della tristezza parte della felicità
Un elemento di pace
Per vedere il prima, l’ora e il per sempre.
Per la mia gente che mi fa
Desiderare di capire ciò che non capisco.”
Susan Kiguli, (poetessa ugandese), “I Love Home” – Traduzione di Giovanna Molinelli e Marta Zonca
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Nell’immagine: Frida Khalo e Chavela Vargas in una foto di Nickolas Muray del 1945

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