Pensieri

Shemà, ovvero l’ascolto

30.03.2022
“La radice della parola Shemà descrive un ascolto profondo e un’interiorizzazione che portano al rispetto e all’obbedienza. Va infatti notato il fatto che, anche se la nozione di obbedienza è chiaramente presente nell’ebraismo classico, vista l’importanza che la legge vi riveste, non vi è un termine che significhi solo «obbedire», al punto che in ebraico moderno si è dovuto ricorrere al verbo di origine aramaica “tsiet”, che oggi viene usato per esempio in ambito militare.
L’obbedienza descritta dal verbo “Shemà” è però di altra natura, non è cieca, ma diventa una risposta e una conseguenza della profonda interiorizzazione del messaggio ascoltato. Si tratta di un ascolto che passa necessariamente dall’apprendimento di un silenzio che permetta di fare posto all’Altro, senza che siano i nostri desideri, il nostro punto di vista, la nostra voce, a fare da protagonisti.
L’importanza dell’ascolto nella cultura ebraica non deve essere sminuita.
Nel mondo greco la visione aveva un’importanza fondamentale, come possiamo constatare dal fatto che la parola idea, ἰδέα, derivi dall’infinito aoristo ἰδεῖν (idein), del verbo ὁράω (orào), che significa vedere, ossia riconoscere un disegno nelle cose.
La metafora visuale è chiaramente centrale, come vediamo poi dall’importanza che assumono nella cultura greca gli aspetti architetturale, artistico e teatrale.
Nell’ebraismo le cose si svilupparono diversamente, e questo aspetto dell’ebraismo classico è presente anche in espressioni più moderne.
Freud sottolineava l’importanza etica dell’aniconismo ebraico. Non è forse casuale che lo stesso Freud abbia elaborato una forma di terapia attraverso l’ascolto, che fu poi sviluppata da un altro ebreo, Theodor Reik, il quale sviluppò anche l’idea di un «terzo orecchio».
A questo proposito egli scrive: «Lo psicoanalista deve imparare come uno spirito parla a un altro al di là di parole e silenzio. Deve imparare ad ascoltare “con il terzo orecchio”». Questo ascolto «può afferrare quello che l’altro non dice, ma sente e pensa; e può anche essere rivolto verso l’interno. Può sentire voci dall’interno del sé che altrimenti sono inaudibili perché soffocate dal rumore dei nostri processi di pensiero cosciente».
Un insegnamento rabbinico recita: «Ogni giorno e giorno e giorno una voce esce dal monte Chorev», dove l’idea è che l’ascolto è in realtà una sensibilizzazione a un fenomeno già in corso, che attende solo la nostra attenzione. Se il fatto di vedere è legato alla volontà di appurare una verità oggettiva, come nel detto «vedere per credere», ascoltare invece significa dare un peso maggiore a una forma di fiducia, perché un messaggio ascoltato ha una dose di astrazione maggiore.
Alcuni hanno sottolineato che l’originalità della Trascendenza ebraica era quella di essere una voce prima di tutto. Lo vediamo in questo passo che evoca la rivelazione al Sinai: «Ascoltate voce di parole, ma non vedete immagine, null’altro che me, voce» (Dt 4,12).
Ma anche nel noto episodio di Elia, in cui la Trascendenza si rivela al profeta non nel vento, né nel clamore, nel fuoco, ma in una «voce di silenzio sottile» (I Re 19,12).
Il suono, più di ogni immagine, simboleggia una presenza divina suscettibile di espandersi al di là di ogni limite. Per questo l’ebraismo classico sviluppa l’arte dell’ascolto e della comprensione come una delle forme più elevate della spiritualità umana. Non a caso la proverbiale saggezza del re Salomone era quella di avere uno «spirito in ascolto» (I Re 3,9).
Alcuni commentatori ritengono che la scelta di Mosè come capo d’Israele sia in parte dovuta alle sue difficoltà oratorie. Perché chi comunica con difficoltà è forse più portato all’ascolto e alla comprensione, anche nei confronti di chi non può o non riesce ad esprimersi in maniera chiara ed efficace. Troppo spesso l’ebraismo viene veicolato e percepito come una cultura di sola obbedienza e questa idea trae origine dal ruolo, certo importante, della legge. Ma l’ebraismo è invece soprattutto una cultura della disobbedienza nei confronti di ogni clamore che impedisca l’ascolto, l’interiorizzazione e la comprensione.”

Haim Fabrizio Cipriani, da “Schiudi le mie labbra. Le vie della preghiera ebraica”, 2018

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Immagine: La parola ebraica Shemà

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