Linguaggi

Botta e risposta tra poeti: Giuseppe Ungaretti e Davide Rondoni

02.04.2022

I fiumi

Cotici, il 16 agosto 1916

“Mi tengo a quest’albero mutilato
Abbandonato in questa dolina
Che ha il languore
Di un circo
Prima o dopo lo spettacolo
E guardo
Il passaggio quieto
Delle nuvole sulla luna

Stamani mi sono disteso
In un’urna d’acqua
E come una reliquia
Ho riposato

L’Isonzo scorrendo
Mi levigava
Come un suo sasso
Ho tirato su
Le mie quattro ossa
E me ne sono andato
Come un acrobata
Sull’acqua

Mi sono accoccolato
Vicino ai miei panni
Sudici di guerra
E come un beduino
Mi sono chinato a ricevere
Il sole

Questo è l’Isonzo
E qui meglio
Mi sono riconosciuto
Una docile fibra
Dell’universo

Il mio supplizio
È quando
Non mi credo
In armonia

Ma quelle occulte
Mani
Che m’intridono
Mi regalano
La rara
Felicità

Ho ripassato
Le epoche
Della mia vita

Questi sono
I miei fiumi

Questo è il Serchio
Al quale hanno attinto
Duemil’anni forse
Di gente mia campagnola
E mio padre e mia madre.

Questo è il Nilo
Che mi ha visto
Nascere e crescere
E ardere d’inconsapevolezza
Nelle distese pianure

Questa è la Senna
E in quel suo torbido
Mi sono rimescolato
E mi sono conosciuto

Questi sono i miei fiumi
Contati nell’Isonzo

Questa è la mia nostalgia
Che in ognuno
Mi traspare
Ora ch’è notte
Che la mia vita mi pare
Una corolla
Di tenebre”

Giuseppe Ungaretti, “I fiumi”, da “L’allegria”, 1931

***

A Giuseppe Ungaretti, visto di notte alla televisione leggere “I fiumi”

“Non ho fiumi io,
non ho mai vissuto sporgendo
il volto sull’acqua
che quieta o vorticosa
taglia la città, nobilita o nel gorgo
ruba via tutti i pensieri.
Non ho avuto
gradoni di pietra su cui disteso
perdere sotto il sole
il lume della mente, addormentando.
Ho avuto viali,
strade larghe, rumorose, il getto alto
di tangenziali,
braccia aperte di povera madre
vene da cui entra in città
ogni genere di roba.
Ho avuto viali d’alberi
o rapide vertigini tra l’acciaio di pareti
e vetro oscuro.
Il caos
Li rende identici, sotto la pioggia
sono l’inferno,
sono frenetici.
Ma la notte, quando cade
la notte
si ridisegnano,
viali nuovi
d’ombra e di solitudine,
quando li illumina il lento
collo dei lampioni e lo spegnersi
delle ultime réclame.
Si muovono allora leggermente,
ramificano, forse rotea un poco
tutta la città;
qualcuno finisce
in faccia a un castello, a una
cattedrale, altri smuoiono
sotto i fari arancio di un nodo autostradale –
i viali la notte respirano
con le foglie dei platani, larghe, nere,
le grate dei metro e l’aria nenia
che dorme sui bambini.
Tirano il fiato quando va
il passeggero dell’ultimo tram –
I viali mi danno
una vita speciale,
che non è pianto e allegria
non è, ma una ventosità,
un andare
ancora andare
che viene da chissà che mari,
da quali valli, da grandi fiumi.”
Davide Rondoni, “A Giuseppe Ungaretti, visto di notte alla televisione leggere “I fiumi”, da “Il bar del tempo”, 1999

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