Linguaggi

Ode al nostro corpo

20.04.2022
“Io sono un uomo… ho un corpo! E lei capisce che, avendo un corpo, ho bisogno anche di una corpa.
Mi sono spiegato?”
Totò (Antonio De Curtis), in “Totò nella Luna”, 1958
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Corpo di donna

“Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche,
assomigli al mondo nel tuo gesto di abbandono.
Il mio corpo di rude contadino ti scava
e fa scaturire il figlio dal fondo della terra.

Fui solo come un tunnel. Da me fuggivano gli uccelli
e in me irrompeva la notte con la sua potente invasione.
Per sopravvivere a me stesso ti forgiai come un’arma,
come freccia al mio arco, come pietra per la mia fionda.
Ma viene l’ora della vendetta, e ti amo.

Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.
Ah le coppe del seno! Ah gli occhi d’assenza!
Ah le rose del pube! Ah la tua voce lenta e triste!
Corpo della mia donna, resterò nella tua grazia.

Mia sete, mia ansia senza limite, mio cammino incerto!
Rivoli oscuri dove la sete eterna rimane,
e la fatica rimane, e il dolore infinito.”

 

Pablo Neruda, “Corpo di donna”

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Elogio ai piedi

“Perché reggono l’intero peso.
Perché sanno tenersi su appoggi e appigli minimi.
Perché sanno correre sugli scogli e neanche i cavalli lo sanno fare.
Perché portano via.
Perché sono la parte più prigioniera di un corpo incarcerato. E chi esce dopo molti anni deve imparare di nuovo a camminare in linea retta.
Perché sanno saltare, e non è colpa loro se più in alto nello scheletro non ci sono ali.
Perché sanno piantarsi nel mezzo delle strade come muli e fare una siepe davanti al cancello di una fabbrica.
Perché sanno giocare con la palla e sanno nuotare.
Perché per qualche popolo pratico erano unità di misura.
Perché quelli di donna facevano friggere i versi di Pushkin.
Perché gli antichi li amavano e per prima cura di ospitalità li lavavano al viandante.
Perché sanno pregare dondolandosi davanti a un muro o ripiegati indietro da un inginocchiatoio.
Perché mai capirò come fanno a correre contando su un appoggio solo.
Perché sono allegri e sanno ballare il meraviglioso tango, il croccante tip-tap, la ruffiana tarantella.
Perché non sanno accusare e non impugnano armi.
Perché sono stati crocefissi.
Perché anche quando si vorrebbe assestarli nel sedere di qualcuno, viene scrupolo che il bersaglio non meriti l’appoggio.
Perché, come le capre, amano il sale.
Perché non hanno fretta di nascere, però poi quando arriva il punto di morire scalciano in nome del corpo contro la morte.”

Erri De Luca, “Elogio ai piedi”

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Bocca

“Dove inizia la bocca?
Nel bacio?
Nell’ insulto?
Nel morso?
Nel grido?
Nello sbadiglio?
Nel sorriso?
Nel fischio?
Nella minaccia?
Nel gemito?
che sia ben chiaro
dove finisce la tua bocca
lì inizia la mia”
Mario Benedetti, “Bocca”
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Torture

“Nulla è cambiato.
Il corpo prova dolore,
deve mangiare e respirare e dormire,
ha la pelle sottile, e subito sotto, sangue,
ha una buona scorta di denti e di unghie,
le ossa fragili, le giunture stirabili.
Nelle torture di tutto ciò si tiene conto.

Nulla è cambiato.
Il corpo trema, come tremava
prima e dopo la fondazione di Roma,
nel ventesimo secolo prima e dopo Cristo,
le torture c’erano e ci sono,
solo la Terra è più piccola
e qualunque cosa accada,
è come dietro la porta.

Nulla è cambiato.
C’è soltanto più gente,
alle vecchie colpe se ne sono aggiunte di nuove,
reali, fittizie, temporanee e inesistenti,
ma il grido con cui il corpo
ne risponderà, è
e sarà un grido di innocenza,
secondo un registro e una scala eterni.

Nulla è cambiato.
Tranne forse i modi, le cerimonie, le danze.
Il gesto delle mani che proteggono il capo
è rimasto però lo stesso,
il corpo si torce, si dimena e si divincola,
fiaccato cade, raggomitola le ginocchia,
illividisce, si gonfia, sbava e sanguina.

Nulla è cambiato.
Tranne il corso dei fiumi,
la linea dei boschi, del litorale, di deserti e ghiacciai.
Tra questi paesaggi l’anima vaga,
sparisce, ritorna, si avvicina, si allontana,
a se stessa estranea, inafferrabile,
ora certa, ora incerta della propria esistenza,
mentre il corpo c’è,
e c’è, e c’è
e non trova riparo.”

Wislawa Szymborska, “Torture”, da “Gente sul ponte”

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Volti

“I volti sono l’interiorità nascosta,
i sensi, la maschera del non detto.
I volti sono francobolli vidimati dal tempo
uno scandalo che denuda i pensieri e le intenzioni.
I volti sono ricordi che deridono il loro passato
i volti sono una pozione chimica
nella quale circolano le domande
i volti sono lingue senza alfabeto
i volti sono lettere che restano sempre chiuse.”

Amal al-Juburi (scrittrice, poetessa, giornalista, editrice e traduttrice irachena)

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Foto di Jack Barnosky

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I corpi
“Lasciano i corpi un incavo nell’aria
come un calco translucido impalpabile
di quintessenza. In certe congiunture
capita che s’inverino le forme
urgenti e vive come in un orgasmo
della materia. Allora ricompare
nell’angolo, di colpo, il tavolino
con le tazzine del caffè, i giornali
e loro uguali a prima, solo un poco
più luminosi. Forse hanno indossato
per gioco quei vestiti specialissimi
da cerimonia che ci metteremo
– si dice – la domenica mattina
del giorno del giudizio.”
Erminia Gallo
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Anatomia

 

“Dice un proverbio sardo
che al diavolo non interessano le ossa
forse perché gli scheletri dànno una grande pace,
composti nelle teche o dentro scenari di deserto.
Amo il loro sorriso fatto solo di denti, il loro cranio,
la perfezione delle orbite, la mancanza di naso,
il vuoto intorno al sesso
e finalmente i peli, questi orpelli, volati dentro il nulla.

Non è gusto del macabro,
ma il realismo glabro dell’anatomia
lode dell’esattezza e del nitore.
Pensarci senza pelle rende buoni.
Per il paradiso forse non c’è strada migliore
che ritornare pietre, saperci senza cuore.”

 

Antonella Anedda, “Anatomia”, da “Historiae”

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Omaggio ai miei fianchi
“Omaggio ai miei fianchi
questi fianchi sono fianchi larghi
hanno bisogno di spazio
in cui girarsi.
non ci stanno in piccoli
spazi meschini. questi fianchi
sono fianchi liberi.
non vogliono essere trattenuti.
questi fianchi non saranno mai schiavi,
vanno dove vogliono andare
fanno ciò che vogliono fare.
questi fianchi sono fianchi possenti.
questi fianchi sono fianchi magici.
ho saputo che sono capaci
di fare un incantesimo a un uomo
e farlo girare come una trottola!”

Lucille Clifton

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Ferando Botero, “Donna alla finestra”, 2009

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Osso

“Un tempo fui
un osso
nella pianura
tra gli altri scheletri.
In un deserto remoto
tra rocce e ciottoli.
Ero nuda, ero bianca.

Il vento venne,
un soffio d’aria
spinse l’anima
dentro di me.
Fui fatta donna,
forgiata da una
costola d’Adamo.

La tempesta venne,
soffiò con forza
sentii la tua voce
un richiamo nel tuono.
Fui fatta Eva
madre della razza.
Vendetti la mia primogenitura
per il bene dei miei figli.
Barattai una mela
per il più antico dei desideri.

Sono un osso
ancora.”

Nuala Nì Dhomhnaill (poetessa irlandese), “Osso”

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Poesia per il mio utero
“Tu utero
sei stato paziente
come un calzino
mentre facevo scivolare dentro te
i miei figli vivi e quelli morti
adesso
ti vogliono tagliare via
calza di cui non avrò bisogno
dove sto andando
andando dove
vecchia ragazza
senza di te
utero
mia impronta insanguinata
mia cugina d’estrogeno
mia nera borsa di desiderio
dove posso andare
scalza
senza di te
dove puoi andare tu
senza di me”
Lucille Clifton, da “Nuovi poeti americani”
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Torture
“Nulla è cambiato.
Il corpo prova dolore,
deve mangiare e respirare e dormire,
ha la pelle sottile, e subito sotto, sangue,
ha una buona scorta di denti e di unghie,
le ossa fragili, le giunture stirabili.
Nelle torture di tutto ciò si tiene conto.
Nulla è cambiato.
Il corpo trema, come tremava
prima e dopo la fondazione di Roma,
nel ventesimo secolo prima e dopo Cristo,
le torture c’erano e ci sono,
solo la Terra è più piccola
e qualunque cosa accada,
è come dietro la porta.
Nulla è cambiato.
C’è soltanto più gente,
alle vecchie colpe se ne sono aggiunte di nuove,
reali, fittizie, temporanee e inesistenti,
ma il grido con cui il corpo
ne risponderà, è
e sarà un grido di innocenza,
secondo un registro e una scala eterni.
Nulla è cambiato.
Tranne forse i modi, le cerimonie, le danze.
Il gesto delle mani che proteggono il capo
è rimasto però lo stesso,
il corpo si torce, si dimena e si divincola,
fiaccato cade, raggomitola le ginocchia,
illividisce, si gonfia, sbava e sanguina.
Nulla è cambiato.
Tranne il corso dei fiumi,
la linea dei boschi, del litorale, di deserti e ghiacciai.
Tra questi paesaggi l’anima vaga,
sparisce, ritorna, si avvicina, si allontana,
a se stessa estranea, inafferrabile,
ora certa, ora incerta della propria esistenza,
mentre il corpo c’è,
e c’è, e c’è
e non trova riparo.”
Wislawa Szymborska, “Torture”, da “Gente sul ponte”
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Immagine: Antonio Canova, “Venere e Adone, 1794

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