Pensieri

Suite francese

20.04.2022

“Non era delirio né un principio di follia; mai era stata più spietatamente lucida e cosciente di sé: era una sorta di commedia volontaria, la sola che le procurasse un po’ di sollievo – come può darne l’alcol o la morfina. Nell’oscurità, nel silenzio, ricreava il passato; rievocava istanti che lei stessa aveva creduto dimenticati per sempre; portava alla luce dei tesori; ritrovava una determinata parola detta dal figlio, una determinata intonazione della sua voce, un gesto delle piccole mani paffute che realmente, per un attimo, cancellavano il tempo. Non si trattava più di immaginazione: la realtà stessa le veniva restituita in ciò che aveva d’imperituro, perché niente poteva far sì che tutto quello non fosse avvenuto. Né l’assenza né la morte riuscivano a cancellare il passato; un grembiulino rosa che suo figlio aveva indossato, il gesto con cui le aveva teso piangendo la mano punta da un’ortica erano esistiti realmente, ed era in suo potere, per gli anni che le restavano, farli esistere di nuovo. Occorrevano soltanto la solitudine, l’ombra e, intorno a lei, quei mobili, quegli oggetti che il figlio aveva conosciuto.”

“Nessuno, così almeno parve, era stato colpito. Ma ripreso il cammino videro i primi morti: due uomini e una donna. I loro corpi erano dilaniati, ma stranamente i loro volti erano rimasti intatti, volti così scialbi, così banali, con un’espressione meravigliata, compunta e stupida, come se cercassero invano di capire cosa gli stava succedendo – così poco all’altezza di una morte guerriera, mio Dio, così poco all’altezza della morte. La donna, in tutta la sua vita, doveva aver pronunciato frasi del tipo: «I porri sono ancora aumentati di prezzo», oppure: «Chi è quel sudicione che ha sporcato i miei vetri?».
Ma che ne posso sapere, disse Jeanne tra sé. Forse dietro quella fronte bassa, sotto quei capelli spenti e scarmigliati c’erano tesori d’intelligenza e di tenerezza. E cos’altro siamo noi, io e Maurice, agli occhi della gente se non una coppia di poveri impiegatucci? In un senso è vero, ma in un altro siamo esseri preziosi e rari. So anche questo.”

“Malgrado la stanchezza, la fame, la preoccupazione, Maurice Michaud non si sentiva troppo infelice. Aveva una struttura mentale particolare, non attribuiva molta importanza alla propria persona: non era, ai suoi occhi, quella creatura rara e insostituibile che ogni uomo vede quando pensa a se stesso. Per quei compagni di sventura provava pietà, ma una pietà lucida e fredda. Dopo tutto, pensava, queste grandi migrazioni umane sembrano governate da leggi naturali. Certi periodici spostamenti di massa probabilmente sono necessari alle popolazioni come la transumanza lo è per le greggi. E trovava in questo uno strano conforto. Quella gente intorno a lui credeva che la sorte si accanisse in particolare su di loro, sulla loro disgraziata generazione, ma lui ricordava che gli esodi si erano sempre verificati, in ogni periodo. Quanti uomini erano caduti su quella terra (come su tutte le terre del mondo) piangendo lacrime di sangue, fuggendo il nemico, lasciando città in fiamme, stringendosi al petto i figli… Eppure nessuno aveva mai pensato a tutti quei morti con partecipazione affettuosa: per i loro discendenti non contavano più di polli sgozzati. Immaginò le loro ombre dolenti materializzarsi davanti a lui sulla strada e mormorargli all’orecchio: «Abbiamo conosciuto tutto questo prima di te. Perché dovresti essere più fortunato di noi?»
Vicino a lui una comare gemeva: «Non si è mai visto un orrore simile!».
«Si è visto, signora, si è visto» rispose lui con dolcezza.”

“Ma allora cos’è che ti conforta?”
“La certezza della mia libertà interiore” disse lui dopo aver riflettuto “questo bene prezioso, inalterabile, e che dipende solo da me perdere o conservare.
La convinzione che le passioni spinte al parossismo come capita ora finiscono poi per placarsi. Che tutto ciò che ha un inizio avrà una fine. In poche parole, che le catastrofi passano e che bisogna cercare di non andarsene prima di loro, ecco tutto.
Perciò, prima di tutto vivere: Primum vivere. Giorno per giorno. Resistere, attendere, sperare.”

Irene Némirovsky, da “Suite francese”, 2004

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Immagine: Un’inquadratura del film Suite francese, del 2014, diretto da Saul Dibb 

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