Ne ho trentanove. –
No, aspetta. Cioè, sì, è corretto. Ma non solo.
Perché dovrei averne solo trentanove?
Sì trentanove, ma oggi – per esempio – me ne sento sedici, come la prima volta che qualcuno ha fatto una playlist per me. E solo ora capisco cosa significasse, negli anni ’90 una playlist.
Ne ho trentasette, li ho, li sento ancora che sfrigolano, come quando davanti allo specchio mi sono resa conto che il corpo cambia e mi va bene, mi piace e lo accetto. Perché perdermi tutte le età che li hanno preceduti per fossilizzarmi in questa? Se ho avuto vent’anni una volta, perché non dovrei averli ancora? Sono lì, li ho vissuti, sono da qualche parte, non possono essere andati lontano. Non posso avere un’età che non ho ancora vissuto, ma quelle che ho passato sono mie di diritto, me le sono sudate; perciò ho anche vent’anni. Li ho, me li sento pieni di quell’energia fatta di incoscienza.
Ne ho dieci, sì ho dieci anni, oggi, come quando passavo le estati a bruciarmi i piedi nudi sull’asfalto mentre tutti riposavano, in quei pomeriggi dove i contorni si perdevano per il calore e la luce era così violenta da far lacrimare gli occhi.
Ieri ne avevo trentuno. Domani, chissà, avrò quindici anni e mi sentirò come la prima volta che lessi Virginia Woolf e iniziai a capire che Donna non è Casa, Cucina, Dolore nascosto.
Non sono il traguardo, non sono la fine di un percorso. Sono fiume che scorre e tutto ciò che passa o è passato è ancora qui che ribolle e ciò che sono oggi è il risultato di ciò che sono stata ieri.
Ho ventun’anni e il dolore di lasciare la mia Terra ben scolpito sulla schiena come un tatuaggio che si irrita ogni volta che sento la parola nave.
Ho un anno, sì uno. E guardo il mondo con innocenza.
Ho tredici anni e odio i bulletti della scuola.
Ne ho quasi quaranta e nascondo i primi capelli argentati intimorita.
Ne ho la metà di quanti ne vorrei avere un giorno.
Ne ho ventisei, dodici, quattro, trentotto.
Sono un’adolescente che lotta col suo corpo.
Un’adulta che lo rispetta.
Sono la figlia di me stessa, che si cura da sola, si protegge.
Sono tutte le età che sono stata. Tutte senza distinzione alcuna.
Ogni tormento, ogni scoperta, ogni sussulto del cuore.
La pelle, le rughe, le ossa, forse.
Ma dentro, nel profondo, convivono giorni, anni, decenni e si ingarbugliano, si mescolano, creando di volta in volta combinazioni nuove e inaspettate.
Non lo so, non lo so più. Non me lo chiedere, non ci crederesti. Non ti importa veramente; se non per dirmi una frase di circostanza. Non li dimostro?
No, non li dimostro. Non li mostro, non li metto in vetrina. Li tengo stretti, li cullo e li osservo e mi aspetto da loro tanto.
Che, ancora, uno per uno mi si presentino come pulcini affamati a richiedere attenzioni. –
Quanti anni dimostro? Se mi dirai cento mi renderai felice.
Voglio camminare per il mondo sentendomi addosso tutte le età che ho vissuto, non un minuto in meno, ancora e ancora finché qualcuno o qualcosa deciderà che ne ho avuti abbastanza e allora, solo allora, smetterò di guardare l’universo, sentendomi appagata e grata per ogni granello di tempo passato.
Sono la custode dei miei anni e quando voglio ne tiro fuori uno e lo indosso, per non dimenticare mai chi sono, chi sono stata, chi sarò.