“Ringrazio il vaso che trabocca,
l’ultima goccia,
il braccio che mi ha spinta sotto,
il passo lungo del dolore
nell’istante in cui ha raggiunto la forcella, il bivio.
Senza di loro, avrei indugiato, tappandomi gli occhi con le mani, perseverando nella fuga,
nel nascondimento.
Ringrazio il punto di rottura, l’umiliazione più cocente,
lo strappo immedicabile.
Ringrazio le scuse mai arrivate o arrivate per procura,
il rispetto sconosciuto,
ogni forma di bene clandestino. Ringrazio l’arte della sutura e del ricamo, con cui ho fatto ammenda di ferite.
Ringrazio la punteggiatura e l’elemosina,
la questua, il disonore del poco cui ho preferito la dignità contegnosa del niente.
Più di ogni altra cosa,
ringrazio il male immeritato.
In sua assenza, sarei rimasta ferma, illesa ed incorrotta ma senza aria, dormendo un sonno di commedia, di facciata, tragicamente destinata a ripassare una lezione che rifiutavo d’imparare: l’amore per me stessa e la sua carestia.
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“Ci sono le donne. E poi ci sono le donne donne. E quelle non devi provare a capirle, sarebbe una battaglia persa in partenza.
Devi prenderle e baciarle, e non dare loro il tempo di pensare.
Devi spazzare via, con un abbraccio che toglie il fiato, quelle paure che ti sapranno confidare una volta sola, una soltanto, a bassa, bassissima voce. Perché si vergognano delle proprie debolezze e, dopo avertele raccontate, si tormenteranno in un’agonia lenta e silenziosa al pensiero che, scoprendo il fianco,
e mostrandosi umane e fragili e bisognose per un piccolo fottutissimo attimo, vedranno le tue spalle voltarsi ed tuoi passi allontanarsi.
Perciò prendile e amale. Amale vestite, che a spogliarsi son brave tutte. Amale indifese e senza trucco, perché non sai quanto gli occhi di una donna possano trovare scudo dietro un velo di mascara.
Amale addormentate, un po’ ammaccate quando il sonno le stropiccia. Amale sapendo che non ne hanno bisogno:
sanno bastare a sé stesse. Ma, appunto per questo,
sapranno amare te come nessuna prima di loro.”
Antonia Storace, da “Donne al quadrato”, 2015
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Antonia Storace e l’errata attribuzione di Donne al quadrato alla poetessa Alda Merini
“Il brano che dà il titolo al libro, “Donne al quadrato”, l’ho scritto e pubblicato sul mio blog, Nel giardino dei ciliegi, il 7 Novembre del 2012. Data ed ora di pubblicazione certificano la mia maternità come autrice. Tutte le diffusioni seguite, poi, in rete – tra pagine Facebook, Forum, Twitter e siti vari – ad opera di terzi, sono successive a quella data. Ci tengo a specificarlo appunto perché, navigando su internet, ho trovato il mio brano attribuito alla grandissima Alda Merini.
Che il mio nome venisse, sia pure per errore, associato al Suo, è stato un onore, ed un privilegio, senza eguali: parliamo di un’eccellenza inarrivabile della letteratura italiana ed internazionale. Ma si è trattato, appunto, di un equivoco di attribuzione, come ne esistono molti in rete. E’ sufficiente andare sul sito ufficiale di Alda Merini, curato e gestito dalle figlie, per constatare che Donne al quadrato non c’è. La stessa Barbara Carniti, figlia della Poetessa, in alcuni commenti pubblici è intervenuta spiegando che il testo in questione appartiene a me. Certe cose capitano quando si usano i social in maniera pigra, condividendo ciò che si legge senza accertarsi della fonte.”
Antonia Storace
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Foto di Sonia Simbolo – Modella Rossana Perri