“Se si sapesse leggere tra le righe si comprenderebbe che in questo tempo il linguaggio che era usato anticamente deve essere modificato. Una volta Il DIAVOLO era una allegoria che avrebbe dovuto far capire agli uomini del tempo di fare attenzione alle loro parti interiori asservite al “materiale”, all’animalità dell’uomo, ed invece con lo scorrere del tempo la stupidità degli uomini ha personificato l’immagine del Diavolo, come quella di altre allegorie, e la loro scemenza lo ha fatto diventare un “culto”, una realtà, e la genia dei neo-sapienti, specialmente ecclesiastici, han creato da questa immagine una scienza particolare che ha fatto impazzire piuttosto che guarire migliaia di individui: gli esorcisti. Oramai, se si dice agli uomini che gli asini volano e glielo si sa dire essi ci crederanno. Povera umanità.”
DIALOGO INTERIORE
Mi dissero che il mio amico non aveva da temere nulla di serio. Era stato arrestato solo perché era la prima volta che si trovava lì e nessuno lo conosceva. E siccome si era circondati da rivoluzionari pericolosi bisognava accertarsi della sua identità.
«Non è una cosa complicata», mi rassicurarono in tono scherzoso, «Si scriverà al luogo dove gli hanno rilasciato il passaporto e si farà una inchiesta sulle sue tendenze politiche. E se nel frattempo si deve divertire solo con pulci e pidocchi, che male c’è? Anzi, questa esperienza gli sarà di grande giovamento per la sua vita futura!».
Poi, prendendomi in disparte, il mio parente mi sussurrò con aria preoccupata che il mio nome si trovava sulla lista degli indesiderabili «sospettati di disturbare la tranquillità di alcuni abituali frequentatori degli ambienti frivoli di Montmartre». Questa novità, accoppiata ad alcune altre considerazioni, mi spinse a lasciare quel luogo il più presto possibile, senza fare caso alla mia salute ancora malferma. In ogni caso non potevo fare nulla per l’amico. E la sera stessa partii solo, con una piccola somma di denaro, in direzione dell’Asia Centrale.
Dopo aver superato, con sforzi incredibili, ostacoli di ogni genere, arrivai a Yeni Hissar, nell’antico Turkestan cinese. Dopo essermi fatto dare del denaro da vecchi amici, mi misi di nuovo in cammino per trovare un luogo dove ero stato due anni prima, con l’intenzione di recuperare la salute che era stata compromessa dalla ferita che mi aveva procurato la seconda pallottola che aveva mancato il bersaglio. Questo luogo, situato all’estremità sud-ovest del deserto di Gobi, è secondo me la parte più fertile di tutta la superficie della terra. L’aria di questa regione e le qualità benefiche che essa possiede per tutto quello che respira non possono farmela definire altro che «soffio del purgatorio». Purgatorio, perché se il paradiso e l’inferno esistono veramente ed emettono delle radiazioni, l’aria, tra queste due sorgenti, deve essere simile a quella di quel luogo. Qua vi è un terreno che .fa uscire come da una cornucopia tutte le specie della flora, della fauna e delle ricchezze naturali della terra, e là, proprio accanto a questa terra fertile, si trova una pianura di parecchie migliaia di chilometri quadrati, che rassomiglia ad un inferno dove nulla nasce e dove tutto quello che germoglia viene subito distrutto al punto che non ne resta alcuna traccia. Là, su quello speciale piccolo lembo di terraferma della superficie del nostro pianeta, dove l’aria, cioè il nostro secondo nutrimento, evapora e si trasforma nella sfera delle radiazioni del paradiso e dell’inferno, che si scatenò dentro di me, alla fine del primo soggiorno, in uno stato di semi-delirio, quella lotta interiore che, come ho già avuto modo di dire, doveva far sgorgare nel cosciente, la sera del 6 novembre 1927, una idea che a tutta prima mi parve assurda.
Ero stato trasportato in quel posto, senza conoscenza, dopo essere stato ferito per la seconda volta da una pallottola sparata non intenzionalmente nelle montagne del Tibet. C’erano con me allora diversi amici tra i quali i cinque medici di cui ho parlato. Quando cominciai a stare meglio, essi se ne andarono alla spicciolata ed io restai solo con un tibetano ed un giovane karakirghizo. Lontano da tutto, curato da questi due uomini pietosi che vegliavano su di noi come avrebbe potuto fare una madre e nutrito da questa aria purificatrice, in sei settimane mi rimisi in piedi e fui pronto a lasciare in ogni momento quel posto che era stato provvidenziale. Tutto era già stato impacchettato e imballato e per metterci in cammino aspettavamo solo l’arrivo del padre del giovane karakirghizo che doveva arrivare con tre cammelli.
Avevo saputo che in una delle valli del massiccio che si chiama «Picco Alessandro III» erano accampati diversi ufficiali russi del dipartimento topografico del Turkestan, nel novero dei quali si trovava uno dei miei migliori amici; mi proposi di andarlo a trovare e poi di raggiungere una grande carovana per recarmi prima ad Andijan e poi in Transcaucasia a vedere la mia famiglia. Non stavo ancora bene in piedi ma mi sentivo molto meglio. Era una notte di plenilunio. Seguendo il corso delle associazioni, i miei pensieri insensibilmente ritornavano sul problema che era diventato ormai la idea fissa del mio mondo interiore.
Prima di tutto mi tornarono in mente tutte le sconfitte subite nelle ricerche passate. Considerando queste sconfitte, e in generale l’imperfezione dei metodi che avevo utilizzato, compresi chiaramente come avrei dovuto agire nelle varie situazioni. Mi ricordo benissimo fino a che punto la tensione di quel pensiero mi sfinisse, e come una parte di me stesso mi ordinasse con insistenza di alzarmi immediatamente e di scuotermi per mettervi fine; ma non potevo farlo tanto ero preso da quei pensieri. Non so come tutto questo sarebbe andato a finire se, al momento nel quale il mio istinto già mi aveva avvertito che ero sul punto di svenire, non fossero venuti a sdraiarsi accanto a me i tre cammelli. Questo mi fece tornare alla coscienza e mi alzai.
Il giorno cominciava a levarsi; i compagni giovani si erano svegliati e si davano da fare intorno con le faccende abituali della vita mattutina nel deserto. Dopo aver parlato con il vecchio karakirghizo, decidemmo di viaggiare di notte approfittando del plenilunio e di partire la sera stessa; i cammelli potevano riposarsi durante il giorno. Invece di sdraiarmi per dormire un po’, presi un fucile, un sacco di tela e mi recai non lontano di là ad una sorgente di acqua freddissima, proprio al limite del deserto. Mi spogliai e mi annaffiai molto lentamente con l’acqua fredda. Dopo di ciò mi sentii psichicamente molto bene, ma fisicamente così debole che una volta rivestito fui costretto a sdraiarmi accanto alla fonte.
E fu allora che…
… in uno stato di grande debolezza fisica, ma con il pensiero lucido, si svolse in me la lotta la cui essenza si è fissata per sempre nel mio cosciente e dalla quale è sgorgata, la sera del 6 novembre 1927, l’idea di cui ho parlato…
Siccome questo accadeva molto tempo fa, non mi ricordo i termini esatti di questo monologo interiore che era così poco in sintonia con il mio stato abituale. Ma lo posso quasi fedelmente ricostruire ricordandomi il gusto che me ne è restato.
Mi dicevo infatti pressappoco così:
Se devo giudicare dallo stato nel quale mi sono trovato nei giorni scorsi, credo che ora sto ritornando alla vita, e che dovrò volente o nolente riprendere a trascinare la stessa catena.
Mio Dio! Bisognerà dunque ripassare ancora una volta attraverso tutto quello che ho passato durante i periodi nei quali ero in uno stato di piena attività, nei sei mesi che hanno preceduto questa catastrofe? Provare nello stato ordinario di veglia rimorsi di coscienza per tutte le manifestazioni interiori ed esteriori che si alternano a sentimenti di solitudine, di disillusione, di sazietà etc…. ma soprattutto affrontare la terrificante sensazione del «vuoto interiore» che mi è nello stato ordinario di veglia, il funzionamento dello psichismo si sviluppasse secondo le direttive del cosciente attivo! E tutto questo invano!
Lavorando e vegliando costantemente su me stesso, senza pietà per le mie debolezze naturali, ero giunto ad ottenere quasi tutto quello che all’uomo è possibile; in alcuni campi ero giunto perfino ad un potere che forse non era mai stato raggiunto, neppure nelle epoche passate. Per esempio, avevo sviluppato il potere del mio pensiero ad uno stadio tale che ero capace, preparandomi qualche ora prima, di uccidere un «jack» alla distanza di 10 chilometri, oppure potevo accumulare in un giorno una forza vitale di tale intensità che potevo addormentare un elefante nel giro di cinque minuti. Tuttavia, malgrado tutti i miei desideri e tutti i miei sforzi, non potevo ancora riuscire, durante lo svolgimento della vita in comune con gli altri, a «richiamarmi a me stesso» e a manifestarmi non secondo le tendenze della natura, ma secondo le direttive del cosciente in stato di raccoglimento. Non potevo arrivare ad un grado di «richiamo di sé» tale da impedire al corso delle associazioni che si sviluppavano automaticamente dentro di me di dipendere da certi fattori indesiderabili della mia natura che mi erano stati trasmessi ereditariamente. Non appena l’insieme dell’energia che mi permetteva di stare in uno stato attivo si era esaurito, le associazioni di pensiero e di sentimento cambiavano e si rivolgevano ad oggetti diametralmente opposti all’ideale del mio cosciente. In uno stato di non-soddisfacimento relativo al cibo o al sesso, il fattore determinante delle mie associazioni era soprattutto la rivendicazione, e in uno stato di soddisfacimento completo, le associazioni si orientavano sul tema delle soddisfazioni future, relative al cibo ed al sesso, oppure nelle soddisfazioni dell’amor proprio, della vanità, dell’orgoglio, della gelosia, dell’invidia e delle altre passioni..
Avevo cercato molto la causa di questa situazione terribile del mio mondo interiore, e avevo interrogato molte persone su questo tema, ma non avevo potuto chiarire nulla. Una sola cosa era infatti chiara, ed era che la necessità di non identificarsi e di «richiamarsi a se stessi» in ogni momento, nel corso dello svolgimento della esistenza in comune, esige la presenza in se stessi della forza dell’attenzione permanente e che questa forza non si produce nell’uomo se non per mezzo della azione di un fattore costante di richiamo che viene dal di fuori. Avevo fatto, nella mia vita passata, tutti i tentativi possibili, avevo perfino indossato ogni sorta di cilici, ma nulla mi era stato di aiuto. Questi oggetti erano di aiuto solo nel momento in cui erano indossati e in più solo all’inizio: non appena si smetteva di portarli o appena ci si abituava, ci si ritrovava come prima.
Non c’è nessuna soluzione possibile…
E tuttavia una c’è – una sola: di avere fuori di me l’aiuto di un fattore regolante che non dorma mai. Un fattore cioè che mi inciti costantemente, qualunque sia il mio stato ordinario, a «richiamarmi a me stesso». Che cosa! Come! Sarebbe dunque possibile!
Perché un’idea così semplice non mi è venuta in mente prima ?
Perché ho dovuto soffrire tanto e mi sono dovuto disperare e fino a questo punto per accorgermi solo ora di questa possibilità?
Perché non ho fatto ricorso, ancora una volta, a questa analogia che abbraccia tutto?
E ancora una volta, Dio… di nuovo Dio. Lui solo. Ovunque Lui – e tutto è legato a Lui..
È vero certamente che sono un uomo e non un animale, anche se sto nello stesso ambiente cosmico di tutte le creature. Non è senza significato che fin dall’origine dell’umanità, è stato detto e affermato da tutte le religioni che l’uomo – a differenza delle altre forme esteriori di vita animale – è stato creato da Dio a sua immagine. A sua immagine vuol dire che nella sua preveggenza, Egli ha dato alla nostra presenza generale una struttura che ha la possibilità di inglobare e di manifestare le proprietà che Egli ha in se stesso.
Egli è Dio e di conseguenza anche io sono Dio. La sola differenza tra Lui e me deve essere – e naturalmente è – una differenza di scala.
Egli è il Dio di un mondo grande ed io devo essere, io stesso, il Dio di un mondo piccolo.
Egli è il Dio di tutte le presenze dell’Universo e di tutto il mondo esteriore.
Anche io sono Dio, ma di tutto il mio mondo interiore. In tutto e per tutto abbiamo le stesse possibilità e le stesse impossibilità.
Le stesse possibilità ed impossibilità che Egli ha nei riguardi della presenza intera dell’Universo, io le devo avere nei riguardi della presenza che mi è affidata.
Quello che gli è possibile ed impossibile nel suo mondo grande a me deve essere possibile ed impossibile nel mio mondo piccolo.
Tutto questo è chiaro, così chiaro allo stesso modo che dopo la notte viene il giorno.
Come non avevo ancora notato una analogia così evidente? Avevo molto pensato alla creazione e alla esistenza del mondo e in generale a Dio e alle Sue opere, avevo molta parlato di tutto questo con gli altri, ma non mi era mai venuto in mente questo semplice pensiero. E tuttavia era così evidente!
Tutto, senza eccezione – la sana logica come i dati storici rivelano e affermano che Dio è la Bontà assoluta. Egli è l’Amore totale e la Misericordia totale. Egli è il Giusto Conciliatore di tutto quello che esiste. Ma perché, se questo è vero, Egli ha ritenuto necessario allontanare da Lui, utilizzando l’orgoglio proprio di ciascun individuo ancora giovane e non interamente formato, uno dei suoi figli più vicini, che Egli stesso aveva reso spirito, gratificandolo allo stesso tempo di una forza uguale, ma opposta alla Sua… Voglio dire Satana.
Questa idea, come un sole, illuminò lo stato del mio mondo interiore. Mi fece comprendere che per una costruzione armoniosa, il mondo grande, anch’esso, ha avuto bisogno di un fattore costante di richiamo. Per questo motivo il Nostro Creatore, proprio Lui, fu costretto, in nome di tutto quello che aveva creato, a mettere uno dei Suoi amati figli in questa situazione, oggettivamente parlando, terribile. Perciò anche io devo fare di uno dei fattori favoriti dei quali dispongo un’analoga sorgente di richiamo per il mio piccolo mondo interiore.
Ed ora si pone l’interrogativo.
C’è qualcosa, nella mia presenza generale, che possa, se la isolo da me, richiamarmi costantemente a me stesso qualsiasi sia il mio stato?
A forza di riflettere arrivai alla conclusione che se smettevo intenzionalmente di impiegare il potere eccezionale che possedevo e che avevo sviluppato coscientemente, ciò avrebbe costituito al di fuori di me una sorgente che mi avrebbe costantemente richiamato a me stesso.
Bisognava cessare di impiegare il potere derivante dalla forza del «ghanblezoine» o, come lo si può anche definire, “il potere telepatico ed ipnotico”. E i risultati sarebbero stati quelli che mi aspettavo, lo so, perché grazie a questa proprietà, che aveva messo radici nella mia natura, e che funzionava automaticamente, il crescente successo della mia vita ordinaria, soprattutto durante i due ultimi anni, aveva sviluppato dentro di me una quantità di vizi e di debolezze che verosimilmente sarebbero restati in me per sempre.
Allora se mi privavo coscientemente di questo dono della mia natura, la sua assenza si sarebbe fatta sentire sempre ed in tutto.
Faccio giuramento di ricordarmi di non utilizzare mai il potere che possiedo, e per mezzo di ciò, di impedirmi il soddisfacimento della maggior parte dei miei vizi. Così, che io lo voglia o no, mi ricorderò costantemente di «richiamarmi a me stesso».
Per tutta la durata della mia. vita, mai dimenticherò l’ultimo giorno che passai in quel, posto, ed il momento quando in me si produsse il ragionamento che mi portò a quelle conclusioni.
Non appena mi resi conto di tutta la portata di questa idea, mi sembrò di essere rinato; balzai in piedi e senza rendermi conto di quello che facevo mi misi a correre intorno alla sorgente come un giovane vitello.
Devo aggiungere che facendo dinanzi alla mia stessa essenza il giuramento di non utilizzare questo potere, avevo fatto una eccezione per quei casi nei quali il suo impiego si sarebbe rivelato necessario a fini scientifici. Per esempio, allora mi interessavo molto e mi interesso ancora oggi alla possibilità di aumentare, molte migliaia di volte, la visibilità delle concentrazioni cosmiche lontane per mezzo delle facoltà medianiche, ed alla possibilità di guarire il cancro con il magnetismo.
Tutto questo era successo due anni prima del secondo soggiorno che feci in quella località.
Al termine del secondo soggiorno, grazie ad una riflessione totalmente libera, cioè a dire ad una riflessione non influenzata dall’agire automatico di altri uomini, lo scopo essenziale della mia vita interiore mi apparve in due forme ben determinate.
Fino ad allora, le forze del mio mondo interiore erano state concentrate unicamente sul desiderio irresistibile di penetrare e di comprendere completamente il senso e lo scopo della vita umana.
Tutto quello verso cui indirizzavo costantemente i miei sforzi nella vita – tutti i successi e tutti gli insuccessi – era legato a questo unico scopo del mio mondo interiore. Anche la mia perseveranza nel viaggiare, nell’andare ovunque si producessero, nello svolgimento della vita collettiva, eventi significativi come guerre, rivoluzioni, guerre civili etc., si riallacciava a questo unico scopo.
Durante questi eventi, stante l’intensità delle manifestazioni umane, raccoglievo, in forma assai succinta, il materiale necessario per approfondire nel modo più efficace possibile il problema che mi interessava.
Più tardi, quando mi tornarono alla memoria, per associazione, tutti gli orrori di cui più volte ero stato testimone, e quando ritrovai dentro di me anche le impressioni prodotte, nel corso degli ultimi anni, dai programmi esposti da vari rivoluzionari in Italia, in Svizzera e recentemente in Transcaucasia, nel mio essere si cristallizzò a poco a poco un desiderio irresistibile che diventò il secondo scopo della mia vita.
Questo secondo scopo, ultimo apparso nel mio mondo interiore, consisteva nel trovare ad ogni costo un mezzo per distruggere negli uomini la predisposizione a lasciarsi facilmente influenzare da quella che viene definita l’«ipnosi di massa».
Dopo questo «rinnovamento» nello scopo del mio mondo interiore, mentre continuava il processo di risanamento della mia salute, programmai nel pensiero un piano provvisorio per le mie ulteriori attività.
L’idea che la sera del 6 novembre si presentò al mio cosciente era la seguente:
Senza alcun dubbio, la disperazione terribile di cui sono stato vittima in questi giorni e la spaventosa lotta interiore che è sfociata questa mattina in un ragionamento quasi delirante, sono la conseguenza diretta del ragionamento che avevo fatto in stato analogo, trenta anni fa, ai confini del deserto del Gobi.
Quando bene o male mi ripresi, continuai le mie ricerche che questa volta erano orientate verso due scopi ben determinati..
Non vi racconterò adesso quello che in seguito feci per soddisfare questi «due vermi divoratori» conseguenza della mia curiosità, ne parlerò dettagliatamente in un altro capitolo di questa terza serie.
Vi dirò soltanto che dopo alcuni anni mi pareva necessario organizzare da qualche parte un istituto destinato alla preparazione di aiuto-istruttori, con lo scopo di introdurre nella vita degli uomini tutto quello che avevo compreso.
Dopo matura riflessione, il luogo che mi parve essere il più appropriato fu la Russia.
Georges Ivanovic Gurdjieff, da “La vita è reale solo quando “Io sono”, 1974