Pensieri

Freud: il déja vu

22.05.2022

“Alla categoria del miracoloso e del perturbante appartiene anche quella particolare sensazione che si ha in certi momenti e in certe situazioni, di avere già vissuto una volta proprio quella esperienza, di essersi già trovato una volta nella medesima circostanza, senza che abbia mai successo lo sforzo di rammentare chiaramente quel passato che sentiamo così vivamente. So bene che mi servo di un’espressione del linguaggio corrente quando chiamo sensazione ciò che proviamo in noi in tali momenti; si tratta più esattamente di un giudizio, e precisamente di un giudizio di conoscenza, ma questi casi hanno un carattere del tutto peculiare, e il fatto che non ci si ricordi mai di ciò che si cerca di ricordare non deve essere negletto. Non so se questo fenomeno del “già veduto” (déja vu) sia stato seriamente addotto a prova di un’esistenza psichica anteriore dell’essere singolo; so però che gli psicologi hanno rivolto il loro interesse a questo enigma cercandone la soluzione per le più svariate vie speculative.
Nessuno dei tentativi di spiegazione tentati mi sembra essere giusto, perché in nessuno si prende in considerazione altro che non siano le manifestazioni che accompagnano e le condizioni che favoriscono il
fenomeno stesso. Quei processi psichici che secondo le mie osservazioni sono i soli responsabili per la spiegazione del “già veduto“, vale a dire le fantasie inconsce, sono ancora oggi generalmente trascurati dagli psicologi.
Ritengo che si sia nel torto definendo una illusione la sensazione di qualcosa di già vissuto una volta. È vero invece che in quei momenti effettivamente viene toccato qualcosa che si è già vissuto una volta, soltanto che questo qualcosa non può essere ricordato coscientemente perché cosciente non è mai stato. Detto in breve, l’impressione del “già veduto” corrisponde al ricordo di una fantasia inconscia. Esistono fantasie inconsce (o sogni a occhi aperti), così come esistono le analoghe creazioni consce che tutti conoscono per esperienza propria.
Mi rendo conto che l’argomento meriterebbe di essere trattato a fondo, tuttavia citerò qui soltanto l’analisi di un unico caso di “già veduto“, in cui la sensazione provata eccelleva per particolare intensità e durata. Una signora, che adesso ha trentasette anni, afferma di ricordarsi nel modo più netto di avere fatto all’età di dodici anni e mezzo per la prima volta visita in campagna ad alcune amiche di scuola e, appena entrata nel giardino, di avere avuto immediatamente la sensazione di essere già stata una volta in quel luogo; questa sensazione si sarebbe ripetuta quando entrò in casa, cosi da sembrarle di sapere già da prima quale sarebbe stata la stanza successiva, la vista che di là si godeva, e cosi via. È però del tutto escluso, e confermato in base alle informazioni avute dai genitori, che questo sentimento di familiarità potesse provenire da una passata visita nella casa e nel giardino in questione, fatta per esempio prima della fanciullezza. La signora, comunicando questa esperienza, non cercava una spiegazione psicologica, ma ravvisava nel manifestarsi di quella
sensazione un indizio profetico dell’importanza che quelle amiche avrebbero più tardi acquistato per la sua vita sentimentale. La considerazione delle circostanze nelle quali il fenomeno si è manifestato presso la signora, ci indica peraltro la via per un’interpretazione diversa. Quando fece quella visita, ella sapeva che le fanciulle avevano un unico fratello, il quale era gravemente ammalato. Lo poté vedere in occasione di quella visita, lo trovò di pessimo aspetto e pensò che sarebbe morto presto. Orbene, anche il suo unico fratello aveva sofferto pochi mesi prima di una pericolosa difterite; durante la sua malattia lei era stata per settimane ospite di una parente, lontana dalla casa paterna. Crede che il fratello l’abbia accompagnata durante quella visita in campagna, e anzi che fosse stata la prima gita un po’ lunga da lui compiuta dopo la malattia; ma la sua memoria su questi punti è curiosamente vaga, mentre tutti gli altri dettagli, in particolare il vestito che
indossava quel giorno, le stanno più che mai vividi dinanzi agli occhi.
La persona esperta non troverà difficile dedurre da questi indizi che in quel torno di tempo l’attesa della morte del fratello era stata di grande importanza per la fanciulla, e che tale attesa o non era mai divenuta
cosciente o, dopo la felice guarigione, era caduta in preda a un’energica rimozione. Se il fratello non fosse guarito, ella avrebbe dovuto portare un vestito diverso, e cioè un vestito da lutto. Presso le amiche trovò
una situazione analoga: l’unico fratello in pericolo di morire, come effettivamente avvenne poco tempo dopo. Avrebbe dovuto ricordare coscientemente di avere lei stessa vissuto questa situazione pochi mesi
prima; ma invece di ricordarlo — ciò che le era impedito dalla rimozione — essa trasferì il sentimento del ricordo sui luoghi, il giardino e la casa, soccombendo al “falso riconoscimento” (fausse reconnaissance) di avere già una volta veduto esattamente tutte quelle cose.
Dal fatto della rimozione, ci è lecito dedurre che la precedente aspettativa della morte del fratello non aveva avuto carattere molto diverso da una fantasia di desiderio. In tal caso sarebbe rimasta figlia unica.
Nella sua nevrosi ulteriore soffri intensamente per l’angoscia di perdere i genitori, e sotto questa angoscia l’analisi come al solito poté rivelare il desiderio inconscio di uguale contenuto.
Anch’io ho potuto derivare in modo simile le mie fugaci esperienze di “già veduto“, dalla mia costellazione affettiva del momento. Posso affermare che “si tratta di nuovo di un’occasione per destare quella fantasia (inconscia e ignota) che in quella tale epoca si è formata in me come desiderio di migliorare la situazione.” — Questa spiegazione del “già veduto” è stata finora apprezzata soltanto da un unico osservatore. Il dottor Ferenczi, al quale la terza edizione [1910] del presente libro deve tanti preziosi contributi, mi scrive a tale proposito: “Mi sono convinto sia su me stesso che su altri che l’inspiegabile sentimento di familiarità sia da far risalire a fantasie inconsce fatteci ricordare inconsciamente dalla situazione attuale. Nel caso di uno dei miei pazienti le cose stavano in apparenza diversamente, in realtà però in modo perfettamente analogo. Quel sentimento in lui ritornava molto spesso, ma risultava regolarmente originato da una parte dimenticata (rimossa) del sogno della notte precedente. Pare dunque che il ‘già veduto’ possa provenire non solo da sogni
a occhi aperti, ma anche da sogni notturni.
Sono venuto a sapere soltanto più tardi che nel 1904 Grasset ha fornito una spiegazione del fenomeno molto vicina alla mia. Nel 191 3 ho descritto in un breve lavoro un altro fenomeno molto affine al “già veduto“. Si tratta del “già raccontato” (déjà raconté), l’illusione di avere già comunicato qualcosa e che è particolarmente
interessante quando si manifesta durante il trattamento psicoanalitico. Il paziente allora sostiene con tutti i sintomi della certezza soggettiva di avere già da tempo raccontato un determinato ricordo.
Il medico invece ha la certezza del contrario e di solito riesce a persuadere il paziente del suo errore. La spiegazione di questo interessante atto mancato è certamente data dal fatto che il paziente ha avuto l’impulso e il proponimento di fare quella tale comunicazione, trascurando però di mandarla ad effetto, e che ora egli considera il ricordo del proponimento come sostituto dell’altro, quello della sua esecuzione.
Un simile stato di cose, e verosimilmente anche un meccanismo identico, si riscontra in quelli che Ferenczi chiama “atti mancati presunti“. Si crede di avere dimenticato, smarrito, perduto qualche cosa, un oggetto, e ci si può persuadere poi di non avere fatto nulla del genere e che tutto è in ordine. Una paziente, per esempio, ritorna nella stanza del medico per voler riprendersi l’ombrello che ha dimenticato, ma il medico le fa notare che essa… lo tiene in mano.
Esisteva dunque l’impulso a questo atto mancato e tale impulso bastò a sostituirne l’esecuzione. A meno di questa differenza, l’atto mancato presunto è da equiparare a quello effettivo, solo che è, per cosi dire, a buon mercato.”

Sigmund Freud, da “Psicopatologia della vita quotidiana”, 1901

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Foto di Pierre Tacher, “Déjà vu e altri istrionici”

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