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Un poeta commenta se stesso: Giancarlo Majorino

30.05.2022

Denti di latte

 

noi siamo qui

io ti penso

sotto la lampada

e sei

 

ma in una forma leggera

piccolo tondo scavato

con questo aiuto di carta

nella mia mente d’amore

 

ma in una forma leggera

stella di latte nel vetro

 

tutti ti guardiamo

ma a me sarai amica, luna, ancora?

 

sei ancora viva     stai ancora male

sei ancora viva     stai ancora male

sei ancora viva     e mi dimeno

ti getto un ponte continuo riso d’amore

ma sotto trema come l’acqua il cuore

mentre tu lotti senza poterti aiutare

dolci ricordi fanno l’inutile vela

l’inutile stella l’inutile bianco sul mare

 

riportato, accusato, quali accuse?

alla stanza alla sedia tra le accuse rigato

t’hanno ciulato, palloncino;

era un po’ che scendevi

– non la maestà degli azzurri gomiti

d’acqua tra le piante verdi oltre Avignone

ma, crepitante, greto,

di furie concentrate,

sordo precipitante

o semisvanito curvo ricurvo aliante

non, io non so, non credo, non racconsolante;

ora, tra ferri palte di sofferenze oblii,

grida sollecitanti, là tra le grate suore

malinconie di spetri persuasive bianche

rapide infermiere, barellieri, altre

tra vita e morte scene

che non riporto;

 

dopodomani elezioni crescita forse

del movimento di lotta erma spostata

oltre le vergogne più vergognose nate

ricontraddizioni senza senza dolore

con un minor dolore e minori code

ma, io e te, palloncino, saremo ancora felici?

 

“non ti scordar di me, la vita mia

legata a te” gemeva una schifosa

canzon di merce, quelle che critichiamo

placidamente, mente, quando possiamo

scrivere pensare non tormentati tratti

tornavo campi case volti nel controvolo

vetroso fuggiti fuggiti senza più niente

 

sì, cava la cintura,

cuci asola e bottone,

laverò un bicchiere,

spostiamo sedie che

atti e cose utili,

lòchino, pezzetti

di belvità tranquilla

prorompano camomille

prorompano camomille

 

copri

copri copri

 

copri Gian

sta bianchezza lurida

vuota che mi urla

 

ti voglio tutta nera

coperta dai miei verbi

 

diventa adesso retro

torno di parole/ e di coperto nulla

me più nulla nulla

serve

 

ciacc’acqua nera

pozza da/ inobliabile

 

prorompano camomille    laverò un bicchiere

prorompano camomille         prorompano camomille

 

no non aver paura

figura mia distesa

dita pulsanti i circolo

labbra rimormoranti

 

tu non aver paura

ti porterò io fuori

di morte in una riva

o cameretta blanda

dove ragazza gira

dando e portando fiori

non aver mai paura

io ti porterò fuori

almeno avrai coperte

quelle che sai di casa

tiepidi albumi libri

quelli che sai di casa

telefonate amiche

quelle che sai per casa

parenti chiacchierate

quelle che sai per casa

no non aver paura

che ti porto a casa

 

mi sembra di sentire tutti gli urli

forse un pochino sempre fantuditi

ma correvo sùbito sùbito fuori

 

stagione di paralisi

milioni di minuti

 

chiara figura molle ruscello in sonno

volto scarlatto tempie uncinate davvero

occhio di rospo fissa pupilla rasente

 

lenzuolo ginocchio tronco viso braccio quasi monco

come se nel cristallo lancette dense

oordinassero fuochi tremanti e rigidi

ooscillanti e fermi

 

uno strano remo che nell’acqua

penetrata liquefa

 

chi avrebbe pensato

che il muro avrebbe portato

consolazione?

che la consueta coperta biancomarrone

avrebbe quetato?

 

ma io che mi muovo ti penso mi agito

sono cambiato

mi sto/ abituando!/ all’idea/ che tu/ sparisca

così recidendo ogni idea di mia vita infinita

 

ti porgo il bicchiere l’impugni

l’imbuchi ingoiando la bianca

pastiglia lo torni fissando

chissà cosa pensando

 

un soffio la sera riuniti

per quanti altri soffi non so

 

per questa, ringrazio, fermata;

per quanto tu perda pian piano,

ti miro dormire, la luce,

ci sento, supplenti, durare

due, intrecciati, aldiqua

 

consueti moti di mani sull’erba

poca dei vasi nel giorno che inizia

 

corpo biancheggiante nell’anima dell’ombra

immoto che ritieni

dei moti e dei rumori

consueti   o son dissueti”

 

Giancarlo Majorino, da “Provvisorio” in “Autoantologia”, 1999

 

“Denti di latte”

“Questo poemetto lo leggo sempre mal volentieri, perché la sua, come dire, intensità si richiama molto nitidamente a quel periodo grave che è stato contrassegnato dalla malattia e poi dall’estinzione di mia madre. E’ una vera poesia d’amore che però si muove da vari punti di vista in vari modi.

Era proprio lì, me la ricordo bene, stavo vicino al letto d’ospedale di mia madre, a volte da solo perché ero fuori orario, mi lasciavano entrare, ero sempre lì. E non capivo del tutto se lei capisse o no, infatti lei alternava stati di comprensione a stati di incomprensione – questi ultimi, purtroppo, in crescendo – e avevo in mano sto notes e scribacchiavo giù, là, su, lì…

Ecco dirò solo, aggiuntivamente, che questo è un inizio di grande amore ma leggero: ” noi siamo qui/ io ti penso/ sotto la lampada/ e sei// ma in una forma leggera/ piccolo tondo scavato/ con questo aiuto di carta/ nella mia mente d’amore// ma in una forma leggera /stella di latte nel vetro”.

E subito dopo c’è: ” tutti ti guardiamo/ ma a me sarai amica, luna, ancora?”. Mi ricordo che camminando, andando, facendo altre cose, continuava questo cuneo nel cuore, questo pensiero di una tragedia immedicabile.

Un altro punto che mi sembra avere anche un suo interesse -chi lo sa?- non solo per me, è ravvisabile nella quartina finale che dice: “corpo biancheggiante nell’anima dell’ombra/ immoto che ritieni/ dei moti e dei rumori/ consueti o son dissueti “. Ero come desolato del fatto che lei avesse, e le aveva, queste chiazze di comprensione. Per esempio, pensare che cosa provasse la mattina, lì distesa, sentendo magari dei rumori molto abituali, una persiana che si apriva, una donna che innaffiava una pianta, uno che parlava, mi sembrava straziante…”.

Giancarlo Majorino

*****

Ma chi sei tu? Persona somigliante

 

“ma chi sei tu? persona somigliante,

estranea insieme, chiedo un po’ pedante

mentre furiosi conversiamo in tanti.

Fisso lo sconosciuto rovistando

architetture e macerie, balzi e stralci

di un comparabile volto sgrumato.

I suoi occhi mi tengono lontano;

preferirebbe ci legassimo a un gioco:

ci sto e continuo a misurare quel poco

 

che nega e torna, dentro e fuori, già,

la superficie e la profondità.

Metropolitane e viali colle ali.”

 

Giancarlo Majorino, da “La solitudine e gli altri” in “Autoantologia”, 1999

 

“ma chi sei tu? persona somigliante”

“Questo è uno dei centri di pensiero della raccolta, che tratta della solitudine ma insieme della necessità che si misuri con altri, che non si isoli. Quasi un paradosso. E ha un gran finale: “Metropolitane e viali colle ali”.

In un certo senso mette in scena, mette in prova i rapporti con gli altri in tutta la loro difficoltà. Proprio perché ho sempre sostenuto l’idea che anche le tesi avverse vanno trattate al massimo delle loro ragioni e irragioni, perché altrimenti si vince sempre, ma in realtà non si vince mai”.

*****

Achtung

 

O luminosa città,

un doppio petto di gonfi negozi centrali

arrossa guance di donne, bambini con pacchi,

ebbri di ciò che verrà.

Regali, regali, la gente regala e dimentica;

anch’io, città, che cammino e s’è aperta una fossa,

ti regalo qualcosa:

una poesia nuova (m’aiuta l’auto nera di Krupp tornata in cortile)

 

Tozze case scientificamente disposte

quasi filari alveari (non paragoni)

zeppe di scheletri umani prima di notte saranno

sotto le docce nel gas a scavare le fosse terra che poi coprirà

le membra umane aghi pinze fruste caverne paludi tane letame

uomini donne tornati sugli alberi o rane carogne con calzoni giubbe sottane

strappano denti unghie dita mani con denti unghie dita mani vincenti

otto quintali di capelli urgono alla fabbrica Rosch?

questa bambola che acquisti hai guardato i suoi capelli?

l’orsacchiotto ha gli occhi tristi? sono gli occhi di un ebreo

che suo figlio giudica (esagerato) colpevole Eichmann.

 

Poesie che si tradiscono galleggiano

come scatolette, feci, preservativi usati, saliva, macchie sull’acqua.

 

Krupp è tornato: festeggiato da amici e diplomatici

beve lo champagne che per fine anno abbiamo prenotato

anche noi;

anche tu che leggi, e c’è poco da leggere qui,

le donne violentate, è ovvio, in quel momento

sono beate: nessuno le strazia in quel momento.

Ilse netta le zampe nel grembiule della bimba che càpita

“torturerò anche te quando sarai più grande”;

penzolano ai ganci quarti d’uomo,

orbita presso l’orbita, come i quarti di bue

che cuochi apprestano per cena a noi che passeggiamo

tra i negozi centrali, brava Milano.

 

Giancarlo Majorino, da “Lotte secondarie” in “Autoantologia”, 1999

 

“Achtung”

“Questa poesia è stata riportata in alcune antologie ed è stata commentata molto bene da Alfonso Berardinelli.

Il contenuto è abbastanza chiaro, ma bisogna sapere chi fosse questo Krupp. Krupp era il più grande industriale tedesco ed era stato imputato di colpe non lievi per l’aiuto dato al nazismo durante la guerra. Il fatto che tornasse questa auto di Krupp e che fosse festeggiato l’avvenimento era un colpo per chi sognava una distribuzione di giustizia vera.

Qui, se vogliamo, l’aggancio profondo -oltre che con ciò- è dato da una narrazione in versi, che lega il clima natalizio di Milano con quegli orrori precedenti. Il finale in questo senso è molto esplicito: <penzolano ai ganci quarti d’uomo/ orbita presso l’orbita, come i quarti di bue/ che cuochi apprestano per cena a noi che passeggiamo/ tra i negozi centrali, brava Milano>”.

*****

Così malinconioso fa il suo bagno

 

“così malinconioso fa il suo bagno

luglio granoso bollente sudadita

tentennando la boccia entra nell’acqua

scarpe con i piedi punte parallele

avevamo 1 pullman per andare al mare

 

un’orca immane pelacqua rizzatasi

stappò l’elefante marino da terra

inghiottendolo mezzo esofagendolo

lo trascinò nei tunnel gelidi sotto

 

pensa germano fiatante lettore

futuro se mai terminasse il respiro

urla mai udite sguardo tinta ferro

tra i vermi, nelle pozze, negli stomaci

predoni, in interstizi

 

quei vagabondi a aliare, poi? più visti

 

Giancarlo Majorino, da “Tetrallegro” in “Autoantologia”, 1999

 

“Così malinconioso fa il suo bagno”

 

“Avevo visto una grande scena, in un documentario televisivo, di un’orca marina che quasi uscendo a metà torso, si potrebbe dire, aveva afferrato un elefante marino, altro bestione enorme ma non come l’orca marina, e lo aveva strappato dalla riva per portarlo giù con sé, nei tunnel dell’oceano. E’ una scena impressionante, ma siccome penso che la poesia possa fare tutto, mi sono messo al lavoro con piacere.

La cosa è venuta fuori in una quartina che penso sia carina e però poi il tutto, come succede spesso con le poesie, è stato come avvolto da altri elementi.

Uno mi preme sottolineare ed è quello per cui siamo talmente bombardati da morti riportate, da morti viste e così via, e quindi orrendamente considerandole un elemento tra gli altri senza importanza che non ci rendiamo conto di cosa vuol dire davvero la morte, per sé e per quelli che ci sono cari”.

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