Affabulazioni

Colapesce

29.06.2022
“Lettera al primo amore”:
“Cara Elène, mentre ti scrivo mi appari com’eri allora quando per la prima volta ti vidi. Allora tu eri splendida e il tuo splendore non cessò mai di abbagliarmi, anche quando nel pieno della mia immaturità feci di tutto per offuscare l’azzurra dignità del tuo sguardo. Ti scrivo a tanti anni dai fatti che voglio raccontare, e ti scrivo perché tu fosti, come si dice, il mio primo amore. Non so se i primi amori sono tutti altrettanto tormentati come fu il mio e, credo, anche il tuo. Ma per cominciare vorrei dirti che mi innamorai di te prima di conoscerti, perché era quella l’epoca in cui il primo amore poteva essere un nome, un nome che veniva prima della persona.”
“Lettera alla figlia”:
“Mia cara, sono stato per te un padre assente, lo so, ma ora non ti scrivo per dimostrarti il contrario, ti scrivo per dirti come fu e in quali circostanze mi trovai quando dovetti separarmi da te. A dir tutta la verità io ancora non so bene quel che allora accadde a me e a tua madre, mentre invece credo di aver intuito quel che tu confusamente sentivi in un’età in cui non ti era facile capire quel che succedeva intorno a te. E in questo, credimi, non sono stato assente. Ci pensavo ogni giorno, e cercavo di vedere con i tuoi occhi anche le cose che accadevano tra me e tua madre. Nella finzione, in una “fiction”, si sa come stanno le cose e come tutto va a finire, perché la “fiction” è una storia inventata, e per uno scrittore è un progetto estetico che dev’essere organizzato e portato fino alla fine, con una certa strategia, alla conquista di un significato e di un’emozione complessiva. Nella vita invece non si sa mai bene quello che accade, e mentre accade il punto di vista è troppo vicino e ci sono troppe interferenze estranee dentro i pochi fatti essenziali, quelli che contano veramente, interferenze che ci distraggono dall’immediatezza dell’accadere e sono fuorvianti.”
“Lettera al padre”:
“Caro babbo, lo sai che per me tu eri l’esempio vivente di tutte le perfezioni? Il tuo naso era perfetto, le tue orecchie erano perfette, la forma della tua testa era perfetta, la scriminatura che divideva da una parte i tuoi pochi capelli era perfetta, e tu, mi ricordavi per tutte queste perfezioni che ti attribuivo, un attore, di quel cinema anni Trenta che cominciò a sfornare una serie di divi a cui tutti avremmo voluto assomigliare. C’era solo una piccola cosa in te che non era perfetta: l’unghia dell’indice della tua mano sinistra era leggermente deformata, era un po’ più spessa delle altre e incarnita. Normalmente non si notava, ma i bambini hanno un occhio speciale per notare anche la più lieve imperfezione, e io l’avevo notata e ti avevo domandato come mai quell’unghia era diversa dalle altre. Tu mi dicesti che quando eri piccolo un colpo di martello sbagliato ti aveva spappolato la punta del dito e che l’unghia rimarginandosi era diventata così. Io pensai solo al dolore che dovevi aver provato e poi pensai che le unghie delle altre tue dita erano tutte belle tonde e talmente curate che sembravano appena uscite dalla manicure. Più tardi, quando non ero più un bambino ma un adolescente che cominciava a toccarsi facendo fantasie, non so perché una volta mi sorpresi a pensare che forse la storia del colpo di martello non era vera e che quel dito poteva essere difettoso dalla nascita. Perché lo pensai? Forse perché oscuramente sentivo di aver ereditato da te un’imperfezione che non riguardava solo il mio corpo, ma una parte esigente di me che non avevo ancora bene individuata.”
Raffaele La Capria, da “Colapesce”, 1997
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Foto di Paola Filippini

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