Pensieri

Tutta la paura del mondo

01.07.2022

“La prima volta che ho avuto un attacco di panico stavo giocando a biliardino. In porta. E stavo vincendo (sono brava a biliardino, io!).
A un certo punto mi mancò il respiro, mi sentii strana ed ebbi l’assoluta certezza di essere sul punto di morire. Ma non morii.

La seconda volta, un paio di mesi dopo, ero al funerale del padre di un mio amico. Era il sindaco di una piccola città e il suo funerale fu un lungo corteo all’aperto. Stavo camminando da sola in mezzo a un fiume di gente. Iniziai a tremare e pensai che sarei morta lì, in mezzo a tutti. Mi allontanai e mi misi seduta sui gradini davanti a una casa cercando di respirare mentre mi girava la testa e combattevo per non farmi notare. Ero convinta di morire. Non morii.
In compenso per alcuni mesi anche solo fare i dieci scalini che separavano la casa dei miei genitori dal resto del mondo, si rivelò un’impresa titanica.
Mi sottoposi a ogni tipo di esame diagnostico, compreso una tortura per capire se avevo la labirintite. Ma, almeno dal punto di vista clinico, ero sana come un pesce.
Eppure io stavo male, malissimo, ogni volta che mettevo il naso fuori di casa. E quando lo facevo dovevo avere tutta una serie di feticci: le pastigline di valeriana, una bottiglietta d’acqua, i fiori di Bach.
Un giorno, mentre andavo dal dentista con mia madre, iniziai a piangere e strepitare in mezzo alla strada perché mi sentivo male: stavo morendo. “Mamma aiuto, aiuto non respiro, non mi sento più la faccia, le gambe. AIUTO MAMMA!”. Mia madre si prese un colpo ma riuscì a convincermi ad arrivare dal dentista. Che era un medico dentista e, ascoltando il racconto di cosa mi era successo, mi disse che avevo “solo” avuto un attacco di panico.
Avevo 21 anni, era il 1995: Google non aveva tutte le risposte, e nessuno che io conoscessi aveva mai sentito parlare di attacchi di panico. Pensai di essere matta: ma studiavo e capivo quello che leggevo, così mi convincevo che non lo ero. Ammetto che quello che avevo escogitato fosse un metodo un po’ spannometrico per misurare la mia sanità mentale, ma non ne avevo altri. Me lo feci bastare.

Quella volta, i miei attacchi, se ne andarono così come erano venuti e nemmeno un anno dopo ero tornata quella di prima.
Quella che non si ascolta.

Mi hanno lasciata in pace per 15 anni, gli attacchi di panico, ma quando sono tornati mi hanno travolta costringendomi a raccontare scuse e vergognarmi di me stessa ogni volta che, dovendo salire in macchina (a prescindere dal fatto che fossi sola o con qualcuno), mi paralizzavo. Una sera ero attesa a un evento, la mia amica Chiara mi aspettava. La chiamai in lacrime e le dissi che non ce la facevo: ero vestita e truccata e non riuscivo a muovermi dalla paura dei 2km e mezzo che dovevo percorrere. Lei fu grandiosa: “li facciamo assieme, parla con me. Adesso ti alzi e vai in macchina e parliamo finché non arrivi”. Ho pianto tutte le lacrime che avevo, ma sono arrivata da lei, che mi ha abbracciata stretta e mi ha detto: “sono fiera di te”.
E quella è stata la goccia che, assieme alla promessa fatta a un amico che non c’è più, ha fatto traboccare il vaso della mia voglia di vivere e mi ha fatta decidere di curarmi.
Ho scelto uno specialista competente e uno psicologo che ancora ringrazio: il primo mi ha permesso di tenere a bada i sintomi, il secondo di capire che i miei attacchi di panico erano il risultato della mia ossessione alla perfezione, della mia rabbia silenziata, del mio voler essere quello che gli altri si aspettavano che io fossi: “Deborah le hanno messo addosso un vestito di 5 taglie più piccolo e lei, che è una brava bambina, ci si costringe dentro. Ma ogni tanto una manina sbuca fuori perché proprio non ce la fa più: quella manina è il suo attacco di panico. Non lo sgridi anche lei, se ne prenda cura. Non riduca ancora la taglia di quell’abito, abbia un po’ di pietà di sé”.

Sono passati tanti anni da quando ho avuto le ultime crisi di panico, da quando sentivo di essere sul punto di morire. Ogni tanto, quando sono troppo stanca e non mi concedo di staccare in tempo, so che me ne arriverà uno. Ci rimarrò un pochino male ma, sapendolo riconoscere, passerà in fretta, lasciandomi libera di vivere.

Continuo ad avere alcune paure assolutamente irrazionali che non so gestire, ma ormai ci rido sopra e adotto un piano B (che di solito prevede una strada statale al posto di un’autostrada!).
Non c’è niente di male a soffrire di ansia, di attacchi di panico, di depressione o di qualunque disturbo ‘invisibile’ (che le malattie mentali sono invisibili). Si tratta ‘solo’ di malattie e non ce le scegliamo: ci capitano e basta.

Non vergognatevi di quello che siete: delle vostre debolezze e della vostra imperfezione. Esistono medici e cure. Esiste sempre una possibilità.
Quando ve la sentirete provate ad agguantarla. Nel frattempo stringete le chiappe e sappiate che io vi sto abbracciando.

Deborah Dirani; “Tutta la paura del mondo”

*****

Foto di Sonia Simbolo

Lascia un commento