Pensieri

Hermann Hesse: La cura

13.07.2022

“Ah sì, sono in disaccordo con me stesso?
Sì sì, può darsi.
Ho la disgrazia, vede, di contraddirmi continuamente.
La realtà Io fa sempre, è solo lo spirito che non lo fa, e nemmeno la virtù e nemmeno lei, non molto stimato signore.
Ad esempio, dopo una faticosa camminata sotto il solleone posso morire dalla voglia di un bicchiere d’acqua e dichiarare l’acqua la migliore cosa del mondo.
Ma un quarto d’ora più tardi, dopo aver bevuto, non c’è niente che m’interessi meno dell’acqua e del bere.
E così mi succede col mangiare, col dormire, col pensare.
I miei rapporti col cosiddetto “spirito”, ad esempio, sono identici a quelli che ho col mangiare e col bere.
Talvolta non c’è nulla, al mondo, che mi attiri così forte e mi sembri più indispensabile dello spirito, della possibilità di astrarre, della logica, dell’idea. Ma poi, quando ne sono sazio e sento il desiderio e il bisogno del contrario, ogni forma di spirito mi nausea come cibo guasto.
So per esperienza che questo modo d’agire viene considerato arbitrario e privo di carattere, anzi addirittura illecito, ma non sono mai riuscito a capire perché.
Come sono costretto, infatti, ad alternare di continuo alimentazione e digiuno, veglia e sonno, così devo anche oscillare di continuo tra natura e spirito, tra empirismo e platonismo, tra ordine e rivoluzione, tra cattolicesimo e spirito protestante.
Che un uomo, per tutta la vita, possa venerare sempre lo spirito e disprezzare sempre la natura, essere sempre rivoluzionario e mai conservatore o viceversa, mi sembra, sì, una gran prova di virtù, di carattere e di fermezza, ma mi sembra anche, e non meno, una cosa esiziale, folle e ripugnante, come se uno volesse sempre solo mangiare o dormire.
Eppure tutti i partiti, politici e culturali, religiosi e scientifici, si fondano sul presupposto che un così pazzo atteggiamento sia possibile, sia naturale.
Anche lei, signore, non trova giusto che io, in certi momenti, sia innamorato cotto dello spirito e gli attribuisca le qualità più incredibili, mentre in altri lo detesti e lo rigetti, e ricerchi, in vece sua, l’innocenza e la pienezza della natura.
Ma perché?
Perché ciò che è naturale le pare privo di carattere, ciò che è sano e ovvio le pare illecito?
Se riesce a spiegarmelo, sono disposto a dichiararmi battuto, a voce e per iscritto, su tutti i punti. In tal caso le riconoscerò quanta più realtà mi sarà possibile, le conferirò un’aureola di realtà!
Ma vede? Non riesce a spiegarmelo!
Lei se ne sta lì, e sotto il suo panciotto ci sarà, non lo nego, tutto un menu consumato, ma non c’è un cuore, e dentro il suo cranio imitato alla perfezione ci sarà dello spirito, ma niente natura.
Non ho mai visto nulla di più ridicolmente irreale di lei signor reumatico, signor paziente!
La carta le fa capolino dagli occhielli, lo spirito le cola dalle cuciture, signor mio, perché dentro di lei non ci sono che giornali e cartelle delle imposte, Kant e Marx, Platone e le tabelle degli interessi.
Basta un mio soffio, e lei si volatilizza.
Basta che io pensi alla mia donna o anche solo a una piccola primula gialla per escluderla totalmente dalla realtà!
Lei non è un oggetto, non è un essere umano: è solo un’idea, una squallida astrazione.”

“Perché la vita non è un conto o una figura matematica, ma un prodigio. È sempre stato così, per me: tutto si ripeteva, le stesse angosce, gli stessi desideri e le stesse gioie, le stesse seduzioni, battevo sempre il capo negli stessi spigoli, lottavo con gli stessi draghi, inseguivo le stesse farfalle, mi ritrovavo nelle stesse identiche situazioni, eppure era un giuoco eternamente rinnovato, nuovamente bello, nuovamente pericoloso, nuovamente eccitante. Mille volte sono stato spavaldo, mille volte esausto, mille volte puerile, mille volte frigido e vecchio, e nulla è durato a lungo, ogni cosa tornava a ripetersi senz’essere mai la stessa. L’unità che io venero dietro la molteplicità non è un’unità noiosa, grigia, concettuale, teoretica. È la vita stessa, piena di giuoco, di dolore, di risa. È stata rappresentata nel Dio Siva che danza ‘il mondo in frantumi’, e in molte altre immagini, poiché essa non ricusa alcuna rappresentazione, alcun simbolo. Tu ci puoi entrare in ogni istante, essa ti appartiene in qualunque momento in cui tu non conosca più né tempo né spazio né sapienza né ignoranza, in cui tu esca dalla convenzione, in cui tu appartenga, in amore e dedizione, a tutti gli dèi, a tutti gli uomini, a tutti i mondi, a tutte le età. In quegli istanti tu senti in te stesso, contemporaneamente, l’uno e il molteplice, ti vedi passare accanto Buddha e Gesù, parli con Mosè, senti sulla tua pelle il sole di Ceylon e vedi i Poli irrigiditi nel ghiaccio.”

“In nulla al mondo, infatti, io credo così profondamente, nessun’altra idea mi è più sacra di quella dell’unità, l’idea che l’intero cosmo è una divina unità e che tutto il dolore, tutto il male consistono solo nel fatto che noi, singoli, non ci sentiamo più come parti inscindibili del Tutto, che l’io dà troppa importanza a se stesso. Molto dolore avevo sofferto in vita mia, molte ingiustizie avevo commesso, molte sciocchezze e amarezze mi ero procurate da me; tuttavia ero sempre riuscito a riscattarmi, a dimenticare e a sacrificare il mio io, a sentire la grande unità, a riconoscere come illusoria l’antitesi tra dentro e fuori, tra singolo e universo, entrando ad occhi chiusi, docile, nell’unità.”

Hermann Hesse, da “La Cura”, 1978

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Nell’immagine: Loui Jover, “Abyss”

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