Ciak

Metafore…

02.08.2022

Pablo – Perché te ne stai fermo lì come un palo?

Mario – Come una lancia conficcata?

Pablo – No! Immobile come una torre degli scacchi.

Mario – Più tranquillo di un gatto di porcellana?

Pablo – Cosa ti ha portato a creare metafore?

Mario – Don Pablo?

Pablo – Metafore, ragazzo mio!

Mario – E che cosa è?

Pablo – Esprimere qualcosa con un paragone, capisci?

Mario – Si spieghi con un esempio.

Pablo – Bene, quando dici che il cielo piange……cosa vuoi intendere?

Mario – Be, è facile: che piove!

Pablo – Bene questa è una metafora.

Mario – Ma perché una cosa così semplice ha un nome così complicato?

Pablo – Il nome non ha niente a che fare con la facilità o difficoltà di una cosa. Secondo la tua teoria, allora una cosa piccola che vola non dovrebbe avere un nome così lungo come farfalla. E rifletti: elefante, ha lo stesso numero di lettere di farfalla ma è mille volte più grande e non può volare. Su cosa rifletti ora?

Mario – Mi piacerebbe moltissimo essere un poeta!

Pablo – Ragazzo, in Cile sono tutti poeti. Ma fare il postino è qualcosa di speciale. Devi andare sempre in giro e almeno non ingrassi. Noi poeti in Cile siamo tutti dei ciccioni.

Mario – Se fossi un poeta potrei dire quello che voglio.

Pablo – E cosa vuoi dire?

Mario – Questo è il problema! Proprio perché non sono un poeta non so neanche dirlo!

[…]

Pablo – Ho intuito che tu fossi ancora qui.

Mario – Sto riflettendo!

Pablo – E per riflettere devi rimanere qui? Chi vuole diventare poeta, deve incominciare a pensare camminando. Vai ora lungo la spiaggia fino alla posta, e per la strada, guardando il mare agitato puoi concepire delle metafore.

Mario – Mi faccia un esempio.

Pablo – Ascolta questa poesia :

Qui nell’Isola il mare, un grande mare.

Ogni istante esce da se; dice: si, no, no, no, no;

dice si nel blu, nella schiuma, al galoppo;

dice no, no. Non può star fermo, io sono il mare, ripete

sbattendo contro una pietra senza riuscire a convincerla;

con sette lingue verdi di sette cani verdi,

di sette tigri verdi, di sette mari verdi,

la conduce su di lei, la bacia, la bagna,

e si batte il petto ripetendo il suo nome!

Che ne pensi?

Mario – Strano…!

Pablo – Strano? Ma sei un critico severo!

Mario – No, non la poesia. Strano è come mi sento quando lei recita le sue poesie.

Pablo – Caro Mario, devi essere un po’ meno confuso quando parli, e poi non posso trattenermi con te tutto il giorno.

Mario – Come posso spiegarglielo? Quando lei ha recitato la poesia, le parole andavano ora di qua, ora di là.

Pablo – Ah, come il mare!

Mario – Si si, si muovevano proprio come il mare.

Pablo – Questo è il ritmo.

Mario – Ed io mi sono sentito molto strano, con tutto questo movimento mi sono sentito girare la testa.

Pablo – Ti è girata la testa?

Mario – Si, ho ballato, dondolavo, mi cullavo come una barca sulle sue parole.

Pablo – Come una barca sulle sue parole…

Mario – Sì, sì…

Pablo – Lo sai cosa hai fatto?

Mario – Cosa?

Pablo – Una metafora!

Mario – Non vale perché è nata casualmente.

Pablo – Non c’è immagine che non nasca per caso, ragazzo mio. Persino il mondo è un caso, un caso gigantesco.

Mario – Lei crede, che il mondo – io intendo tutto il mondo, con il vento, gli alberi, le montagne, il fuoco, gli animali, le case, i deserti, la spiaggia……

Pablo – Potresti anche dire: eccetera, eccetera.

Mario – Eccetera! Crede che tutto il mondo sia la metafora di qualcosa? ……Don Pablo?

Pablo – Mario?

Mario – Ho detto qualcosa di molto stupido?

Pablo – No, no.

Mario – Lei ha un’espressione così strana!

Pablo – No, no, sto solo riflettendo.

Mario – Su quello che le ho chiesto?

Pablo – E così. Vedi Mario, vogliamo prendere un appuntamento? Ora io vado in cucina e mi preparo un omelette di aspirine, per riflettere sulle tue domande e così domani potrò risponderti.

 

Dal film “Il postino”, di Michael Radford, 1994

 

Ode al mare

 

Qui nell’isola
il mare
e quanto mare
esce da sé stesso
in ogni momento,
dice di sì, di no,
di no, di no, di no,
dice di sì nell’azzurro,
nella spuma, nel galoppo,
dice di no, di no.

Non può stare tranquillo,
mi chiamo mare, ripete
battendo su una pietra
senza ottenere di convincerla,
allora
con sette lingue verdi
di sette cani verdi,
di sette tigri verdi,
di sette mari verdi,
la percorre, la bacia,
la inumidisce
e si colpisce il petto
ripetendo il suo nome.

Oh mare, come ti chiami,
oh compagno oceano,
non perdere tempo e acqua,
non scuoterti tanto,
aiutaci,
siamo i piccoli
pescatori,
gli uomini della riva,
abbiamo freddo e fame,
sei il nostro nemico,
non colpire così forte,
non gridare a questo modo,
apri la tua cassa verde
e offri a tutti noi
tra le mani
il tuo regalo d’argento:
il pesce di ogni giorno.

Qui in ogni casa
lo amiamo
e benché fatto d’argento,
di cristallo o di luna,
nacque per le povere
cucine della terra.

Non custodirlo,
avaro,
mentre scivola freddo come
lampo bagnato
sotto le sue onde.

Vieni ora,
apriti
e lascialo
vicino alle nostre mani,
aiutaci, oceano,
padre verde e profondo,
a dar termine un giorno
alla povertà terrestre.

Lasciaci
raccogliere i frutti dell’infinita
piantagione delle tue vite,
i tuoi frumenti e le tue uve,
i tuoi buoi, i tuoi metalli,
lo splendore bagnato
e il frutto sommerso.

Padre mare, sappiamo già
come ti chiami, tutti
i gabbiani diffondono
il tuo nome sulle spiagge:
ora, comportati bene,
non scuotere i tuoi crini,
non minacciare nessuno,
non rompere contro il cielo
la tua bella dentatura,
tralascia per un momento
le gloriose storie,
da’ ad ogni uomo,
ad ogni
donna e ad ogni bambino,
un pesce grande o piccolo
ogni giorno.

Va’ per tutte le strade
del mondo
per distribuire pesci
ed allora
grida,
grida
perché ti odano tutti
i poveri che lavorano
e dicano,
affacciandosi all’imboccatura
della miniera:
“Ecco che viene il vecchio mare
a distribuire pesci”.

Poi torneranno giù,
nelle tenebre
sorridendo, e per le strade
e per i boschi
sorrideranno gli uomini
e la terra
con sorriso marino.

Ma
se così non vuoi,
se non ne hai voglia,
aspetta,
aspettaci,
dovremo provvedere,
per prima cosa
regoleremo i problemi
dell’umanità,
dapprima i più grandi,
quindi tutti gli altri,
ed allora
entreremo in te,
taglieremo le onde
con un coltello di fuoco,
su di un cavallo elettrico
salteremo la spuma,
cantando
ci immergeremo
fino a toccare il fondo
delle tue viscere,
un filo atomico
terrà a bada i tuoi fianchi,
pianteremo
nel tuo giardino profondo
alberi
di cemento e acciaio,
ti legheremo
mani e piedi,
sopra la tua pelle gli uomini
passeggeranno sputando,
togliendoti grappoli,
costruendo armature,
montando sulla tua groppa per domarti
e per dominarti l’anima.

Ma questo accadrà quando
noi uomini
avremo regolato
il nostro problema,
il grande,
il gran problema.

Tutto regoleremo
poco a poco:
Ti obbligheremo, mare,
ti obbligheremo, terra,
a far miracoli,
perché in noi stessi,
nella lotta,
sta il pesce, sta il pane,
sta il miracolo.

 

Pablo Neruda

(La poesia “Ode al mare” viene recitata nel film)

 

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