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In memoria delle vittime di Hiroshima e Nagasaki

17.08.2022

La mattina del 6 agosto 1945, alle ore 8,15, l’America, sotto la presidenza di Harry Truman, sganciò la bomba atomica “Little Boy” sulla città di Hiroshima. Tre giorni dopo, una seconda bomba atomica, “Fat Man”, fu sganciata sulla città di Nagasaki.

Questa pagina è dedicata alla memoria delle vittime.

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“Non c’è vita
che almeno per un attimo
non sia stata immortale”
Wislawa Szymborska, da “Gente sul ponte”

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9 agosto 1945: il fungo atomico causato da “Fat Man” su Nagasaki

 

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Quando dici Hiroshima

 

“Quando dici Hiroshima

credi forse ti risponderanno dolcemente

“Ah, Hiroshima”?

Hiroshima – Pearl Harbour

Hiroshima – lo stupro di Nanchino

Hiroshima – i roghi a Manila,

donne e bambini bruciati con la benzina

e gettati nelle fosse.

Se dici Hiroshima,

risuonano echi di fiamme e sangue.

[…]

Se dici Hiroshima,

affinché giunga il dolce rimando

“Ah, Hiroshima”

noi dovremmo prima lavare le nostre mani sporche.”

 

Sadako Kurihara,”Quando dici Hiroshima”, da “La voce di Hiroshima. Ciliegi di Hiroshima e poetica della bomba atomica”, 2019

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Alfred Eisenstaedt/Pix Inc./The LIFE Picture Collection/Getty Images

 

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La bambina di Hiroshima

 

Apritemi sono io…
busso alla porta di tutte le scale
ma nessuno mi vede
perché i bambini morti nessuno riesce a vederli.

Sono di Hiroshima e là sono morta
tanti anni fa. Tanti anni passeranno.

Ne avevo sette, allora:

anche adesso ne ho sette perché i bambini morti non
diventano grandi.

Avevo dei lucidi capelli, il fuoco li ha strinati,
avevo dei begli occhi limpidi, il fuoco li ha fatti di vetro.

Un pugno di cenere, quella sono io
poi il vento ha disperso anche la cenere.

Apritemi; vi prego non per me
perché a me non occorre né il pane né il riso:
non chiedo neanche lo zucchero, io:
a un bambino bruciato come una foglia secca non serve.

Per piacere mettete una firma,
per favore, uomini di tutta la terra
firmate, vi prego, perché il fuoco non bruci i bambini
e possano sempre mangiare lo zucchero.”

 

Nazim Hikmet, “La bambina di Hiroshima”

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Alfred Eisenstaedt/Pix Inc./The LIFE Picture Collection/Getty Images

 

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Quel giorno

 

“Quel giorno
un vecchio pescatore
gettava le sue reti,
come sempre.
Un bambino
librava nell’aria il suo aquilone,
fiero del suo lavoro,
e lo mostrava a sua madre
che allattava l’ultimo nato.
All’improvviso,
nel cielo
apparve un grosso uccello nero.
E un nuovo sole si accese.
Il grande albero
aprì la sua nera chioma,
avvolgendo tutto.
Fu solo un istante
e poi il nulla.
In un attimo
non ci fu più nessuno,
non ci fu più niente.
Il vecchio pescatore scomparve
in quel rogo infernale
e con lui la piccola giunca,
il porto,
il serpente di carta,
la lieta famigliola
e tutto ciò che,
un giorno,
era stato Nagasaki.
Quel giorno è lontano ormai,
ma in noi deve essere vivo il ricordo,
la paura di quel giorno,
di quell’ultima follia,
per poter dire ancora,
per sempre,
MAI PIÙ.”
Giovanni Capotorto, da “Fogli diVersi”
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Questa poesia è dedicata non solo ai bambini di Hiroshima e Nagasaki,, ma anche a tutti quelli che sono stati uccisi dalle nostre guerre:
Bagaglio del ritorno
“Un settore di piccole tombe al cimitero.
Noi, i longevi, lo oltrepassiamo furtivi,
come i ricchi oltrepassano i quartieri dei poveri.
Qui giacciono Zosia, Jacek e Dominik,
prematuramente sottratti al sole, alla luna,
al mutare delle stagioni, alle nubi.
Non molto hanno messo nel bagaglio del ritorno.
Frammenti di viste
in numero non troppo plurale.
Una manciata d’aria con una farfalla in volo.
Un sorso di amaro sapere sul gusto della medicina.
Piccole disobbedienze,
una delle quali mortale.
L’allegro inseguimento d’una palla per strada.
Pattinare felici sul ghiaccio sottile.
Quello laggiù e quella accanto, e quelli di lato:
prima che riuscissero a crescere fino alla maniglia,
a guastare un orologio,
a fracassare il loro primo vetro.
Malgosia, di anni quattro,
due dei quali distesa a guardare il soffitto.
Rafalek: gli mancava un mese ai cinque anni,
e a Basia le feste di Natale
con la nebbiolina del fiato nel gelo.
Che dire poi di un giorno di vita,
di un minuto, di un secondo:
buio, s’accende una lampadina, di nuovo buio?
KOSMOS MAKROS
CHRONOS PARADOXOS
(L’universo è infinito
Il tempo è un paradosso)
Solo il greco sulla pietra ha parole per questo.
Wislawa Szymborska, da “La gioia di scrivere”
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Un bambino di 10 anni porta sulle spalle il corpo del fratellino morto, aspettando che venga cremato
.
«Vidi questo bambino che camminava, avrà avuto all’incirca 10 anni. Notai che trasportava un bimbo sulle spalle. In quei giorni, era una scena abbastanza comune da vedere in Giappone, spesso incrociavamo bambini che giocavano con i loro fratellini e sorelline portandoli sulle spalle. Ma quel bambino aveva qualcosa di diverso» (Joe O’Donnell)

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