Riflessioni

Sulla “damnatio memoriae” e la sua utilità

18.08.2022

Nel diritto romano vigeva la cosiddetta “damnatio memoriae“: si trattava di una pena che colpiva qualunque autorità politica si fosse macchiata di colpe gravi verso le istituzioni. La “damnatio memoriae” andava dall’annullamento degli atti emanati, alla distruzione delle opere effettuate, alla rimozione di qualunque immagine, fino ad arrivare all'”abolitio nominis“, la cancellazione del nome.
La morte civile, insomma. Il silenzio.
La gravità di questa condanna era direttamente proporzionale all’importanza che la fama rivestiva nelle società antiche. La parola “fama” deriva infatti dal greco “φημί” (“phemì“, ossia “dico“), a riprova di quanto essa fosse insostituibile non solo per conservare la memoria di una persona o per esaltarla, ma anche semplicemente per sapere chi fosse.
Nella società odierna disponiamo di ben altre strategie per ricordare qualcuno o per raccogliere informazioni sul suo conto, eppure una cosa, sia pur “mutatis mutandis“, è rimasta la stessa: l’importanza di far parlare di sé.
C’è una sola cosa al mondo peggiore del far parlare di sé, – scrive Oscar Wilde ne “Il ritratto di Dorian Gray” – ed è il non far parlare di sé.
Non a caso Alighiero Noschese raccontava  che molti esponenti del mondo dello spettacolo e della politica gli chiedevano di fare la loro stessa parodia, pur di non essere considerati personaggi di secondo piano.
Allora io mi chiedo e propongo: perché non condannare al silenzio i politicanti beceri, che della “res publica” conoscono soltanto ciò che attiene al cadreghino? Perché non silenziare i cosiddetti haters, che sono riusciti a fare dell’odio un mestiere e per giunta anche remunerativo? Perché non ricorrere alla “damnatio memoriae” quando diventa più che mai evidente il fatto che questi individui fanno e farebbero di tutto pur di ottenere un briciolo di fama? Vi immaginate quale sarebbe su di loro l’effetto della condanna al silenzio?
Un esempio fra tanti: continuo a leggere articoli sull’ormai immancabile tormentone del Festival di Sanremo, sull’opportunità o meno di censurare “nonsoqualerap” per i suoi testi sessisti, sulle patetiche uscite di Amadeus….Ma perché non spegnere la TV, perché non cambiare canale, perché non dedicarsi ad altro?
E, Sanremo a parte, perché non riscoprire che esiste ancora un mondo autentico, vero, bello, al di là della violenza e della stupidità?
Mi potreste obiettare che, così facendo, la “damnatio memoriae” rischierebbe, alle lunghe, di colpire anche persone che non la meritano, diventando così (come spesso accadeva anche nell’antica Roma) una sorta di vendetta personale, buona per sbarazzarsi dei propri nemici…
No, miei cari, no. Le persone che meritano si fanno riconoscere dalle proprie azioni. Non temono la “damnatio memoriae“. Non hanno paura di ciò che si dice di loro. E tanto meno del silenzio, perché la bellezza della loro anima resta  scritta dentro di noi.
Silenziosamente.
In interiore homine habitat veritas” (S, Agostino)…

Maddalena Vaiani

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