Affabulazioni

L’arte della gioia

30.08.2022
Il 30 agosto del 1996 se ne andava Goliarda Sapienza.
Non c’è niente da fare, come diceva mia madre, ogni dieci anni bisogna rileggere i libri che ci hanno formato se si vuol venire a capo di qualcosa.
(Goliarda Sapienza)
E “L’arte della gioia” sarà sempre per me uno di quei libri preziosi, da riaprire magari a caso, ritrovandoci nuove risposte o vecchie domande, magari sotto i petali raggrinziti di una rosa, sepolta qui tra queste pagine.
(Sonia Simbolo)
“Il male sta nelle parole che la tradizione ha voluto assolute, nei significati snaturati che le parole continuano a rivestire. Mentiva la parola amore, esattamente come la parola morte. Mentivano molte parole, mentivano quasi tutte.
Ecco che cosa dovevo fare: studiare le parole esattamente come si studiano le piante, gli animali.. E poi, ripulirle dalla muffa, liberarle dalle incrostazioni di secoli di tradizione, inventarne delle nuove, e soprattutto scartare per non servirsi più di quelle che l’uso quotidiano adopera con maggiore frequenza, le più marce, come: sublime, dovere, tradizione, abnegazione, umiltà, anima, pudore, cuore, eroismo, sentimento, pietà, sacrificio, rassegnazione.”
“Ma le promesse di libertà che le onde e il vento andavano ripetendo, si frantumavano lungo i muri dei palazzi fioriti di rose e pampini di lava tagliente. Non c’era libertà in quelle strade, e vicoli, e piazze ambigue, traboccanti di soli uomini con pagliette e bastoni arroganti, spiati da ombre femminili nascoste fra le tendine delle finestre o nel buio dei bassi sempre socchiusi.”
“Ecco come comincia la divisione [tra i sessi: ndr.]
Secondo loro Bambolina, a soli cinque anni, dovrebbe già muoversi diversamente, stare composta, gli occhi bassi, per coltivare in sé la signorina di domani. Come in convento, leggi, prigioni, storia edificata dagli uomini. Ma è la donna che ha accettato di tenere le chiavi, guardiana inflessibile del verbo dell’uomo. In convento Modesta odiò le sue carceriere con odio di schiava, odio umiliante ma necessario. Oggi è con distacco e sicurezza che difende Bambolina dai maschi e dalle femmine, in lei difende se stessa, il suo passato, una figlia che col tempo potrebbe nascerle…Ti ricordi Carlo, ti ricordi quando ti dissi che solo la donna può aiutare la donna, e tu nel tuo orgoglio di uomo non capivi? Ora capisci? ora che hai avuto una bambina, capisci?”
“Fra venti, trent’anni non accusate l’uomo quando vi troverete a piangere nei pochi metri di una stanzetta con le mani mangiate dalla varechina. Non è l’uomo che vi ha tradite, ma queste donne ex schiave che hanno volutamente dimenticato la loro schiavitù e, rinnegandovi, si affiancano agli uomini nei vari poteri.”
“A me hanno insegnato che nell’anima di un uomo non c’è posto per dubitare.”
“Questo vi insegnano per chiudervi, carusi, in una corazza di doveri e false certezze. Come a noi donne, Mattia: altri doveri, altre corazze di seta, ma è lo stesso.”
“Freud ha scoperto che l’anima non è una stella fissa eterna e immutabile dentro di noi, ma una luce che rotea seguendo le pulsazioni delle vene e dei nervi, che si oscura e s’accende, e come il cuore, la vista, il fegato, è possibile di malattie guaribili o mortali. La sua scoperta è una sferzata paurosa alla sicurezza dell’uomo del passato.”
“Si vede che sono nata per stupire, è un ritornello che mi perseguita da quando sono al mondo.”
“[…] Perché poi quell’eterna glorificazione della giovinezza? Il giovane serve, produce, sgrava i figli, fa la guerra prima di avere coscienza di se stesso. Ma a quarant’anni, a cinquanta l’essere umano – se non è perito nella guerra sociale continua – diventa pericoloso, si pone dubbi, richiede libertà, riposo, gioia. Anche la parola vecchiaia mente, è stata rimpinzata di fantasmi paurosi, come la parola morte, per farti star calma, ossequiosa di tutte le leggi costituite. Che cos’è la vecchiaia, quando comincia? Al tempo di Stendhal una  dona a trent’anni era vecchia. Io a trent’anni ho appena cominciato a capire e vivere. Chi ha osato varcare quella soglia senza ascoltare pregiudizi e luoghi comuni? Forse più di quanti immagini se puoi incontrare visi sereni, sguardi calmi e sapienti. Ma nessuno ha mai osato parlare per timore – sempre l’eterno timore – di rovesciare i falsi equilibri stabiliti. Davanti alla porta chiusa di quella parola paurosa, la tentazione di entrare, osservare tutto, ti prende. Certo a ogni angolo puoi incontrare la tua morte. Ma perché aspettarla lì fuori, le spalle curve, le mani molli nel grembo? Perché non andarle incontro e sfidarla giorno per giorno, ora per ora, rubando a essa tutta la vita possibile? […] Quando Modesta non sapeva nuotare la distanza di quello sguardo la faceva tremare di speranza e di timore. Ora solo una pace profonda invade il suo corpo maturo, e ogni emozione della pelle, delle vene, delle giunture. Corpo padrone di se stesso, reso sapiente dall’intelligenza della carne. Intelligenza profonda della materia.. del tatto, dello sguardo, del palato. Riversa sullo scoglio Modesta osserva come i suoi sensi maturati possano contenere senza fragili paure d’infanzia tutto l’azzurro, il vento, la distanza. Stupita scopre il significato dell’arte che il suo corpo s’è conquistato in quel luogo, breve tragitto dei suoi cinquant’anni. È come una seconda giovinezza con in più la coscienza precisa d’essere giovani, la coscienza del come godere, toccare, guardare. Cinquant’anni, età d’oro di scoperte, età felice ingiustamente calunniata dall’anagrafe e dai poeti. Come ridire quel pomeriggio d’estate sdraiata sullo scoglio, sfiorata dalle ultime carezze del sole che cala? Come ridire la gioia di quella scoperta? Come raccontarla ad altri? Come comunicare la felicità di ogni atto semplice, di ogni passo, di ogni incontro nuovo, di visi, libri, tramonti, albe e pomeriggi domenicali sulle spiagge assolate?”

 

“Lei – E come dovevo amarti? In silenzio, lasciandomi adorare come una statua?
Lui – Ma l’amore è mistero, silenzio. In silenzio io ti veneravo. Mi bastava guardarti per essere felice giorni e giorni. Non avevo bisogno di parlare. L’amore è un miracolo, e come tale…
Lei – L’amore non è un miracolo, è un’arte, un mestiere, un esercizio della mente e dei sensi come un altro. Come suonare uno strumento, ballare, costruire un tavolo.”
“- Io non mi sono mai innamorato, ma tu quante volte, mamma?
– Tutte le volte che è stato necessario.”

“Non starò a raccontarvi passo per passo la lotta che ognuno conosce per dimenticare. Soffrii esattamente come tutti. Ma l’amore non è assoluto e nemmeno eterno, e non c’è solo l’amore fra uomo e donna, possibilmente consacrato. Si poteva amare un uomo, una donna, un albero e forse anche un asino, come dice Shakespeare. Il male sta nelle parole che la tradizione ha voluto assolute, nei significati snaturati che le parole continuano a rivestire. Mentiva la parola amore, esattamente come la parola morte. Mentivano molte parole. Mentivano quasi tutte. Ecco che cosa dovevo fare: studiare le parole esattamente come si studiano le piante, gli animali… E poi, ripulirle dalla muffa, liberarle dalle incrostazioni di secoli di tradizione, inventarne delle nuove, e soprattutto scartare per non servirsi più di quelle che l’uso quotidiano adopera con maggiore frequenza, le più marce, come: sublime, dovere, tradizione, abnegazione, umiltà, anima, pudore, cuore, eroismo, sentimento, pietà, sacrificio, rassegnazione.

Chiunque abbia avuto l’avventura di doppiare il capo dei trent’anni, sa quanto sia faticoso, aspro ed eccitante scalare il monte che dalle pendici dell’infanzia sale sino alla cima della giovinezza, e quanto rapido, una cascata d’acqua, un volo geometrico d’ali nella luce, pochi attimi e…ieri avevo le guance integre dei vent’anni, oggi – in una notte? – le tre dita del tempo mi hanno sfiorato, preavviso del breve spazio che resta e del traguardo ultimo che inesorabile attende…Primo, menzognero terrore dei trent’anni.
Che avevo fatto? Avevo sprecato le mie ore? Non goduto abbastanza del sole e del mare? Solo in seguito, all’epoca d’oro dei cinquant’anni, epoca forte calunniata dai poeti e dall’anagrafe, solo in seguito sai quanta ricchezza c’è nelle oasi serene dell’essere con se stessi, soli. Ma questo viene dopo.
Si casca stando coi piedi sulla terra, ragionando troppo, non come me che ho gli occhi pieni di nuvole e comete. E’ una fortuna della sorte avere una testa che ti permette di batterti con le idee. Le persone che posseggono una grande tensione morale invecchiano sì, ma integre come i marmi immortali dei templi.”
“Come ridire quel pomeriggio d’estate sdraiata sullo scoglio, sfiorata dalle ultime carezze del sole che cala? come ridire la gioia di quella scoperta? come raccontarla agli altri? come comunicare la felicità di ogni atto semplice, di ogni passo, di ogni incontro nuovo… di visi, libri, tramonti e albe e pomeriggi domenicali sulle spiagge assolate?”
“Il male sta nelle parole che la tradizione ha voluto assolute, nei significati snaturati che le parole continuano a rivestire. Mentiva la parola amore, esattamente come la parola morte. Mentivano molte parole, mentivano quasi tutte. Ecco che cosa dovevo fare: studiare le parole esattamente come si studiano le piante, gli animali… E poi, ripulirle dalla muffa, liberarle dalle incrostazioni di secoli di tradizione, inventarne delle nuove, e soprattutto scartare per non servirsi più di quelle che l’uso quotidiano adopera con maggiore frequenza, le più marce, come: sublime, dovere, tradizione, abnegazione, umiltà, anima, pudore, cuore, eroismo, sentimento, pietà, sacrificio, rassegnazione.”
Goliarda Sapienza, da “L’arte della gioia”, 1994
Il romanzo, che Goliarda aveva terminato nel 1976, rimase chiuso in un baule per vent’anni, rifiutato dagli editori perché giudicato “immorale”. 
Fu il marito di Goliarda, Angelo Pellegrino, che, nel 1998,
lo fece pubblicare postumo a proprie spese e in un numero limitato di copie.

Lascia un commento